PARADISE
NOW
di Gianna
Beltrami
Una piccola storia nella Storia, un racconto che suscita una grande emozione
e una struggente partecipazione. Il film , candidato all'Orso d'Oro a
Venezia, è del regista palestinese Hany Abu-Assad che ne ha scritto
anche il soggetto insieme a Bero Beyer.
Due ragazzi palestinesi, Khaled e Said, operai precari in un'officina
che ripara automobili, colleghi ma anche amici, si candidano per un' azione
terroristica. Sono stati persuasi alla bontà della loro scelta
da un intellettuale che li ha motivati così ad onorare dio e ad
aprire al paese un futuro di giustizia sociale.
I ragazzi vivono come i loro concittadini in una città misera,
squallida e degradata, sottoposti alla tensione di continui controlli
israeliani e alla minaccia di operazioni belliche. In questa situazione
anche i rapporti umani sono difficili, c'è sopraffazione sui deboli,
storie d'amore senza speranza, il collaborazionismo trova terreno fertile
nel clima generale di debolezza e insicurezza. Anche Said ha perso il
padre , ucciso perché collaborazionista, e nella sua decisione
di diventare terrorista ha peso il desiderio di riscattarne la figura.
L'azione predisposta con grande cura corrompendo anche un israeliano,
per qualche motivo non si compie e Said smarrito vaga con la sua carica
esplosiva incerottata al petto, angosciato e pieno di dubbi. L'azione
si deve ripetere e questa volta i ragazzi raggiungono senza difficoltà
Tel Aviv città opulenta con grattacieli e tabelloni pubblicitari
e bella gente che si gode la spiaggia e il mare. Un pugno nello stomaco
per chi vive nel degrado e forse una descrizione un po' troppo manichea.
Ci sarà uno sviluppo nella storia e solo uno dei ragazzi sarà
pronto al gesto, con disperazione e rabbia che non trovano altra forma
per ribellarsi e liberare sé e la sua terra dal loro stato.
Il film sembra quasi un documentario sulla schiavitù morale e materiale
dei palestinesi, sulla situazione politica senza sbocchi. Il ritmo del
racconto è secco ed asciutto, il dialogo molto essenziale, la comunicazione
è tutta agita dai corpi e dagli sguardi che soprattutto nei due
ragazzi sono molto intensi. La vestizione con le cariche esplosive dei
due kamikaze vorrebbe forse dimostrare un freddo controllo ma è
invece denso di grande angoscia.
E per tutto il film la disperazione di un popolo ci giunge in modo terribile
e sconvolgente insieme
all'atroce e crudele incapacità di trovare una via di riscatto
al di fuori della violenza.
20
novembre 2005
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