Cantando dietro i paraventi

di Sara Sesti


Jun IchiKawa, la "Piratessa"


Il bel film di Ermanno Olmi si svolge su un duplice piano narrativo: quello teatrale, in cui il racconto ha la forma di rappresentazione da palcoscenico, e quello puramente cinematografico, all'aperto, che abbandona al godimento visivo azioni ed emozioni. L'intreccio si basa sulla storia di una donna guerriera, rintracciata negli archivi di Pechino dedicati alla pirateria e celebrata dal poeta Yuentsze Yunglun che la pubblica a Canton nel 1830.

Per uno strano equivoco, un giovane studente occidentale approda in un teatro-bordello. Allo sconcerto iniziale si sostituisce lentamente l'emozione della seduzione e ad essa si sovrappone la magia del palcoscenico, il cui incanto confonde sogno e realtà.
La messinscena riguarda la celebre "Piratessa Ching", una donna che dopo l'avvelenamento del marito, un ammiraglio al servizio del governo imperiale, si vota alla pirateria attaccando mercantili, navi da guerra e villaggi costieri, seminando il terrore nei mari cinesi.

Dopo decine di arrembaggi e saccheggi, i pirati di Ching - che portano con sè mogli e figli piccoli - vengono circondati dalla flotta dell'imperatore. Le imbarcazioni di questi sono talmente numerose che il mare quasi non basta. Lo scontro sembra inevitabile, ma i vascelli governativi, anziché sferrare l'attacco decisivo, rimangono immobili e lanciano aquiloni...

Ancora il passato, la storia, la guerra. Come nel precedente capolavoro, Il mestiere delle armi, Ermanno Olmi distribuisce, in forma di favola, il suo messaggio di pace: è l'immagine di mille aquiloni che colorano il cielo nelle sequenze finali del film. Cadono in acqua o sulla giunca dei pirati. Su ognuno c'è scritto: del castigo e del perdono, brandelli dell'antico apologo del Drago e la Farfalla: "Il Drago Imperiale, sovrano del vento e della pioggia, invoca la farfalla Hu-Die perché ripieghi le sue ali sui petali dei fiori".

La piratessa Ching, magistralmente interpretata da Jun IchiKawa, accoglie l'invito a deporre le armi. Sulle note della Sinfonia Fantastica di Berlioz il poeta cinese Yuentsze-Yunglun recita: "Da quel momento, i quattro mari furono sicuri, i contadini vendettero le spade e comprarono buoi per arare la terra, e le voci delle donne rallegravano il giorno cantando dietro i paraventi…"

In questa sorta d'ipertesto sulla pace e sul rispetto della diversità, il regista recupera l'importante "funzione specchio" del teatro per una riflessione sull'immobilità del presente e sulla fuggevolezza del tempo. Ricrea lo spazio ideale di una storia "assolutamente" cinese in una realtà conforme all'intera umanità, sul lago di Scutari, in Montenegro, che si rivela meraviglioso scenario per le giunche, i cannoni e gli stendardi del lontano Oriente.

La metafora di Olmi " che la guerra - ogni guerra si può - si deve fermare, che il perdono è più forte della legge" è affascinante, ma sembra alludere a qualcosa che oggi è purtroppo inesistente. Forse per questo, nonostante la bellezza del film, si esce un po' insoddisfatti...