Marguerite Rigoglioso,
il valore della riscoperta e dell’attualizzazione delle antiche pratiche sacerdotali femminili

Sarah Perini

La prima volta che mi sono ritrovata di fronte alla figura e all’opera di Marguerite Rigoglioso ho provato sensazioni differenti, gioia e stupore, dubbio e curiosità. Da un lato la gioia di incontrare chi come me sceglie la strada di una ricerca interdisciplinare che mette a confronto la storia, il mito, il simbolismo, l’antropologia, la religione, il sacro, il femminile; poi la curiosità di scoprire il messaggio di chi ha il coraggio di esprimere la propria tesi, seppur controcorrente, non solamente all’interno dell’ambiente accademico, da sempre meno facilmente aperto all’innovazione di certe tematiche, ma di sostenere una tesi apparentemente molto “forte” anche all’interno di un ambiente all’avanguardia  come può essere quello dei gender studies e quello delle discipline olistiche che mettono al centro della propria ricerca anche una pratica del sacro.

Marguerite porta scompiglio in accademia, porta scompiglio tra ricercatrici, porta scompiglio tra praticanti di discipline spirituali. È innovativa, è provocatoria, è determinata ad esprimere il proprio punto di vista e a dimostrare come possa essere portatore di verità diverse, nella dimensione intellettuale, pratica e spirituale.

Da qui deriva lo stimolo di essere finalmente stupita da qualcuno che finalmente sembra in grado di scuotermi da ciò che anche nell’innovazione ero giunta a considerare come assodato. Il dubbio che mi resta ancora è legato all’attesa di vedere in azione questa ricercatrice multisfaccettata che sa passare dalla ricerca accademica alla pratica rituale attualizzata.
Chi di noi non si è mai domandata che cosa facevano realmente le sacerdotesse nell’antichità? Come impiegavano la loro vita rituale, di quali compiti erano incaricate, quale ritualistica precisa seguivano? La curiosità e la volontà di riscoprire queste pratiche risiede in molte donne e in molti uomini che sentono la chiamata a riscoprire usi e costumi maggiormente collegati ad una spiritualità primigenia, profondamente insita nell’essere umano. Grazie all’opera di storiche, antropologhe, archeologhe che cercano di ricostruire un quadro più possibilmente vicino alla realtà storica, oggi abbiamo la possibilità di scoprire parte di questi dati.

Il coraggio di Marguerite Rigoglioso si indirizza anche nel proporre grazie all’attività della sua Seven Sisters Mistery School, la possibilità di partecipare a seminari di studio e di pratica di alcune tradizioni di sacerdozio femminile da lei approfondite nella ricerca, l’obiettivo finale di attualizzare e proporre alle donne di oggi (e in alcuni casi anche agli uomini) nuovi ed antichi strumenti per ripristinare le antiche vie di conoscenza ed esperienza delle sacerdotesse, per recuperare oggi un ruolo vitale nel servizio spirituale diventando un forza spirituale e sociale attiva sul pianeta.
Nell’attesa quindi di partecipare al primo seminario che Marguerite porterà qui in Italia quest’anno (grazie all’opera organizzativa di Morena Luciani e Valeria Trisoglio) ho preparato questo excursus sull’opera della Rigoglioso intitolata Partenogenesi, il culto della nascita divina nell’antica Grecia, finalmente tradotto in lingua italiana, grazie alla traduzione di Valeria Trisoglio, alla curatela di Luciana Percovich, alla generosità di Gen Vaughan ed alla disponibilità della casa editrice Psiche 2.

Dobbiamo innanzitutto premettere che la sua ricerca è altamente provocatoria, poiché prende le tessere di quel puzzle che è la religione dell’antica Grecia e le ridispone secondo nuove combinazioni per avanzare tesi non convenzionali sull’antico mondo mediterraneo. Esplorando la storia e i miti greci l’autrice individua diversi metodi non-ordinari attraverso cui si credeva che una donna potesse dare alla luce una prole divina o dotata di attributi divini: “La mia ipotesi è che i mezzi usati dipendessero dalla struttura ontologica con cui i diversi culti a cui le sacerdotesse erano consacrate interpretavano l’universo. Per riscoprire dove e come le donne possono esser state agenti attivi e autonomi nel tentativo di offrire quello che spero sia un quadro completo e accurato del sacerdozio femminile nell’antica Grecia. Io suggerisco che un simile concetto sia alla base del significato di parthenos, vocabolo che solitamente si traduce come “vergine” o “fanciulla”, ma i cui molteplici e contraddittori significati hanno spesso suscitato una certa confusione tra i classicisti. In breve, propongo che il termine parthenos, in un determinato momento storico e in alcuni casi specifici, indicasse una sacerdotessa impegnata a conservare le sue energie vitali per incanalarle nel tentativo di concepire in modo miracoloso.”

La tesi principale della Rigoglioso si articola intorno alla chiarificazione del ruolo sacerdotale delle sacerdotesse greche dedite alle pratiche partenogeniche in particolare: propone cioè che una classe sacerdotale femminile, e in particolare la figura della “vergine sacra”, possa aver avuto una posizione ben più rilevante nella fondazione della civiltà greca di quanto non si ritenesse in precedenza.
Più specificatamente, sostiene Rigoglioso, determinati ordini sacerdotali della Grecia antica erano specializzati nel tentativo di concepire nuove vite in svariati modi non-ordinari come elevata pratica spirituale; l’obiettivo specifico di tale pratica era il dare alla luce un eroe o un’eroina, una guida spirituale dotata di particolare talento o quello che si riteneva fosse un essere soprannaturale – un individuo che non si credeva potesse fare il suo ingresso nel mondo attraverso i “normali” canali sessuali; poiché si trattava di un’anima speciale, in qualche modo in grado di portare grandi benefici all’umanità, oppure di presentare o rinforzare particolari sistemi di valori per il genere umano.

Questo è dunque il suo primo contributo accademico dedicato a un tema, quello della nascita divina, che non era mai stato prima trattato estensivamente in relazione ai gruppi sacerdotali femminili della Grecia antica.
Il saggio prosegue analizzando le figure femminili in posizioni d’autorità nelle diverse forme cultuali attraverso una molteplicità d’interpretazioni e prospettive innovative che toccano gli aspetti partenogenici di alcune dee greche, la natura, le caratteristiche e l’agire di queste divinità in maniera più fedele a come erano state originariamente concepite.
Grazie ad un’analisi particolarmente dettagliata di come i vari ordini sacerdotali femminili greci avessero preso a modello le dee partenogeniche nel tentativo di procreare tramite un concepimento divino e di come poi, in seguito alle pressioni del patriarcato, avessero ceduto all’unione con dèi maschili basata sullo hieros gamos, l’autrice contribuisce a riunificare temi disparati e a sciogliere annosi paradossi inquadrandoli in una matrice più ampia. Riesce così a riunire in un unico, significativo, complesso le numerose leggende d’unioni di donne e dèi che un tempo apparivano bizzarre e non correlate tra loro.

Inoltre, il reinterpretare i diversi “stupri” perpetrati dalle divinità maschili come esempi d’intrusione maschile nei misteri femminili della nascita divina, fornisce il tassello mancante nella trattazione del femminile come agente attivo nel convegno umano-divino. Di conseguenza, anche la collera “mitologica” delle dee nei confronti delle leggendarie donne coinvolte in simili episodi appare chiaramente comprensibile alla luce del conflitto che, in quel periodo di transizione, stava scuotendo i culti della nascita divina. Vengono così riscattate dal regno della “finzione” le identità e le pratiche di donne che possono esser state delle sacerdotesse storicamente esistite. Allo stesso modo la tesi qui sostenuta restituisce un senso compiuto a numerosi rituali femminili precedentemente indecifrabili.
Uno dei punti che questo saggio illustra chiaramente è come, nel mondo antico, la verginità e la maternità fossero ritenute due condizioni simultaneamente possibili, capaci di coesistere come aspetti complementari sia della divinità femminile che della sua controparte umana, la donna, nelle loro manifestazioni più elevate e potenti.

Numerose indicazioni rinvenute in ambito archeologico, storico e letterario avvalorano la teoria secondo cui le divinità femminili erano caratterizzate da un prestigio e da una levatura nettamente superiori nella cultura pregreca rispetto alla religione olimpica. Inoltre, quasi tutte le dee pregreche erano considerate madri generatrici e vergini allo stesso tempo, figure partenogeniche capaci di generare il cosmo e tutte le creature della Terra, inclusi gli esseri umani, dalla loro stessa essenza, senza bisogno di un compagno: “La definizione di parthenos come “vergine” si rivela problematica anche perché questo termine rimanda spesso a una donna che aveva avuto dei figli, come indicato dal derivato parthenios  (o partheneias; pl. partheniai) che significa “figlio/a di una parthenos”. Il significato più antico di Parthenos non era ‘vergine’ ma ‘nubile’” e suggerisce che il termine possa essersi originato tra le antiche popolazioni matriarcali delle terre poi occupate dai Greci, genti che non avevano l’usanza del matrimonio permanente, che tracciavano la discendenza lungo la linea femminile. Il vocabolo parthenos non significava necessariamente “giovane donna” o “fanciulla”, il termine risulta impiegato per identificare una sacerdotessa e una profetessa. Ritengo, quindi, che il termine partheneia indicasse lo stato di purezza e preparazione rituale ritenute necessarie perché una sacerdotessa potesse cimentarsi in un tentativo di concepimento divino. Originariamente la partheneia delle sacerdotesse fosse considerata analoga allo stato di “madre vergine” della Grande Madre o, in altre parole, alla Sua capacità procreativa partenogenica. Inoltre, si credeva che solo sacerdotesse in grado di sviluppare poteri straordinari, molto probabilmente in seguito a un rigoroso addestramento spirituale, fossero in grado di procreare in modo miracoloso. La verginità era effettivamente uno dei requisiti necessari per raggiungere questo obiettivo, ma doveva essere accompagnata da molte altre caratteristiche ottenute con fatica che, idealmente, consistevano in un cuore puro unito ai massimi livelli possibili di maturità e saggezza spirituali.”

Il libro della Rigoglioso documenta estensivamente la teoria secondo cui dai culti di queste Vergini Divine scaturirono degli ordini sacerdotali femminili che aspiravano a replicare le capacità partenogeniche delle dee cui erano consacrati; il culto della nascita divina, nella sua versione preolimpica era una questione esclusivamente femminile il cui obiettivo era la procreazione di bambine speciali.
La documentazione analizzata dall’autrice suggerisce che, con la transizione al patriarcato, anche gli ordini sacerdotali femminili dell’antica Grecia subirono dei cambiamenti decisivi. Non più dedite al tentativo di riprodurre le eccezionali capacità partenogeniche delle dee che servivano, le sacerdotesse furono invece precettate per dare alla luce la presunta progenie delle divinità maschili composta prevalentemente, anche se non esclusivamente, da bambini maschi.

Viene quindi offerto un nuovo punto di vista sul controverso concetto religioso di “matrimonio sacro”, o hieros gamos, che non si limita a dimostrare come effettivamente nell’antichità si svolgesse un rituale sessuale tra una figura umana e una ipoteticamente divina, ma situa il rito nella corretta collocazione storica in quanto rivisitazione patriarcale di un’usanza più antica espressamente volta a ottenere nascite divine: “Tuttavia, con l’avvento del patriarcato, quando i corpi delle donne, e forse anche il culto della nascita divina nel suo complesso, caddero sotto il controllo maschile, la verginità venne oppressivamente identificata con l’assenza di sessualità o erotismo e tutto ciò finì per essere connesso alla “purezza morale”. Fu a quel punto che l’obbligo alla verginità, un tempo appannaggio e responsabilità delle sacerdotesse della nascita divina, o sante parthenos, venne imposto a ogni donna nubile. La castità delle donne fu così equiparata alla loro virtù morale e, per estensione, al loro stesso valore, intrappolandole in un modello che era stato interpretato in modo errato e che, soprattutto, non avrebbe mai dovuto essere applicato alle masse.”

Le sacerdotesse partenogeniche, le vergini, le ninfe erano figure specifiche dedite a pratiche e rituali specifici, antichissimi ed alla base di espressioni religiose primordiali, in seguito cooptate e modificate a causa delle trasformazioni culturali e sociali ed al cambiamento di paradigma, dal passaggio da una società gilanica ad una società patriarcale: “Conducendo un’analisi più approfondita si scopre che la grande maggioranza delle ninfe era composta da giovani vergini, molte di queste ninfe vergini erano espressamente riconosciute come madri dei figli di dèi come Zeus, Poseidone, Dioniso, Apollo ed Ermes. Quando il frutto di queste unioni era un bimbo, come avveniva nella grande maggioranza dei casi, era generalmente onorato come il fondatore di un lignaggio e la cittadina, la città, la colonia o la caratteristica geografica (un monte) a cui era associato spesso prendeva il nome da lui. Se si trattava di una bambina, invece, era spesso considerata una “ninfa” come la madre e ne seguiva le orme avendo dei figli da un dio oppure diveniva la moglie dell’eroe/condottiero/re locale. Alcune volte era anche considerata dotata di altri poteri speciali. In quanto madre dei figli di un dio, la “ninfa” stessa risultava spesso eponima di una cittadina, città, isola o lago. Quindi, come madri di eroi ed eroine attraverso la loro unione con gli dèi, le ninfe svolgevano le stesse funzioni che io ho attribuito alle sacerdotesse della nascita divina e a loro risulta associato anche l’elemento finale che caratterizza quelle che io ho identificato come sante parthenoi, l’apoteosi”.

Un altro aspetto di valore dell’opera della Rigoglioso è insito nel fatto di rielaborare dei dati precedentemente non compresi nella giusta luce, su argomenti quali i culti misterici legati agli oracoli di Delfi e Dodona ed ai collegamenti degli antichi riti quivi svolti con le costellazioni delle Pleiadi e del Toro. Marguerite analizza le diverse caratteristiche di rilievo, solitamente trascurate, degli oracoli di Dodona e Delfi, soprattutto in relazione alle donne e al femminile, proponendo un’analisi della dea Dione di Dodona e del personale oracolare femminile impiegato presso entrambi i siti più esaustiva di ogni altra tentata in precedenza. L’indagine della possibile connessione tra questi due luoghi di culto e le costellazioni del Toro e delle Pleiadi ci porta a una migliore comprensione della valenza di tali sistemi stellari nella religione greca e della loro connessione col femminile, nonché della partecipazione delle profetesse ai misteri celesti, oltre che a quelli ctoni.

Inoltre possiamo trovare un’attenta analisi dei simboli, animali totemici, piante ad uso oracolare,  collegati alle figure sacerdotali femminili. Svelando ad esempio come sia la colomba che l’ape fossero simboli della nascita divina, questo testo offre una spiegazione più dettagliata del perché le sacerdotesse oracolari di Dodona e Delfi fossero identificate con tali animali totemici. Similmente, fa emergere con chiarezza come mai il folclore di questi luoghi fosse ricco di storie di nascite divine ed offre un coerente fondamento logico al motivo per cui sia la profezia che la partenogenesi erano spesso ritenute appannaggio esclusivo delle sacerdotesse oracolari.

In conclusione l’autrice lascia aperta la porta a possibili approfondimenti del materiale analizzato e soprattutto sprona a rivedere approfonditamente le storie dei culti antichi e delle donne che li hanno costruiti ed attraversati, domandandosi anche in che modo si possa attualizzare l’esperienza contenuta in questo antico sapere: “Vista la grande mole di materiale analizzato che sembra indicare come la nascita divina fosse una pratica religiosa perseguita in buona fede nell’antica Grecia, viene naturale domandarsi: c’è una qualche possibilità scientifica che una donna possa esser riuscita a generare dei figli senza la partecipazione di un uomo? ….. Questo studio non ha preso in considerazione il concepimento non-ordinario come fenomeno scientifico, ma come evento spirituale posto in una dimensione che va oltre le leggi della natura. L’idea che gli esseri umani possiedano la capacità di sfidare il normale funzionamento del proprio corpo in modi miracolosi è perdurata nel tempo. La ritroviamo, ad esempio, nei resoconti delle “abilità sovrumane” sviluppate da uomini e donne speciali in Oriente. Simili abilità magiche, inclusa la capacità di assumere sembianze animali, sono state attribuite agli sciamani di ogni cultura. Indipendentemente dalle opinioni individuali circa l’effettiva possibilità di sviluppare tali poteri, è ragionevole presumere che le praticanti esperte in campo spirituale fossero entusiaste di esplorare “l’ultima frontiera” delle pratiche magico-spirituali, ovvero la capacità di creare la vita dal proprio corpo in modi non-ordinari. Ed effettivamente il generare la vita da se stesse con metodi magici non avrebbe potuto essere considerato il definitivo trionfo della mente/spirito sulla materia? Raggiungere un simile risultato non avrebbe forse reso la praticante stessa una sorta di creatrice divina?”

A prescindere dagli interrogativi che lo studio dell’opera di Marguerite solleva, la teoria presentata potrebbe fornire un modello di riferimento utile per l’interpretazione di un’ampia gamma di fenomeni in campo archeologico, antropologico, religioso e folclorico.Grazie ad esempio ad una nuova esplorazione dei testi gnostici con temi partenogenici, o anche da un’analisi della natura, delle origini e dello scopo originario degli ordini sacerdotali verginali presenti in molte tradizioni storiche, ricollocando le sacerdotesse vergini nel ruolo che probabilmente era loro riconosciuto nel mondo antico, ovvero agenti attivi e consapevoli nel processo della nascita divina piuttosto che astanti passive o vittime di stupro, il lavoro dell’autrice potrebbe stimolare eventuali studi futuri sulla più famosa madre vergine, Maria.

Suggerisce inoltre un nuovo modo di guardare alle sacerdotesse dell’antica Grecia, considerandole non solo come esperte di ritualistica, ma come sante donne in profonda connessione con gli aspetti esoterici, misteriosi e occulti della religione greca. Anche avvalorando il punto di vista più cauto, considerando la nascita divina una pratica presente unicamente nella dimensione del “mito”, il lavoro che deve ancora essere compiuto per riportare pienamente alla luce queste storie e per inquadrarle adeguatamente all’interno di una più ampia cornice, si prospetta come un’opera in grado restituire autorevolezza e dignità alle donne e al femminile passato, presente e futuro.

 

25-01-2013

 

 

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