Il disegno di legge dello (s)concerto
di Marina Pasqua

 

Testo del Disegno di legge

Il disegno di legge governativo sulla violenza contro le donne, approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre scorso, delude ed esige una azione forte da parte delle/dei parlamentari. Più volte preannunciato dalla ministra Barbara Pollastrini, nella versione che arriva alle Camere modifica alcune fattispecie di reati, ne introduce delle nuove e compie una rapida incursione nell’universo dei centri antiviolenza, senza accordare agli stessi il promesso riconoscimento. La prima riflessione è che, forse, a forza di “concertare”, si è persa di vista la donna come soggetto di diritto considerata invece soggetto debole con anziani e bambini.

La proposta governativa è frutto di un lavoro comune tra ministero della Famiglia, ministero della Giustizia, ministero delle Pari opportunità e della Solidarietà sociale. Ne scaturisce una tutela dei diritti umani in generale, l’assenza di una lettura di genere, l’ambiguità forte di alcuni interventi, volti a contemperare esigenze incompatibili tra loro. La centralità accordata alla famiglia è infatti incompatibile con una seria lotta contro la violenza di genere. Nell’art. 8 si parla di ricomposizione familiare come una delle prestazioni che si  dovrebbe fornire in favore delle vittime di reati tra cui i maltrattamenti in famiglia. Ciò oltre ad essere abominevole, disconosce la realtà. Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza non vogliono ricomporre la famiglia. Vogliono salvare la propria vita, la propria incolumità e vogliono tornare ad essere libere.

L’impianto prevalentemente repressivo del ddl andrebbe sostituito con una visione che “sessui” maggiormente il diritto penale laddove interviene in questa materia. Norme che contengano inequivocabili dichiarazioni di intenti, sulla scia della legge contro la violenza di genere in vigore in Spagna, era quanto la Ministra ci aveva promesso durante la giornata parlamentare contro la violenza di genere svoltasi a Roma il 23 novembre 2006. Invece questo disegno di legge non mette in primo piano la violenza di genere ma parla di violenza in generale. Fondamentale, perciò,  sarebbe separare con chiarezza la violenza di genere e la violenza domestica da quella dovuta a discriminazioni sessuali, e non perché, naturalmente, il tema non ci sia caro ma perché confonde i piani e rende l’intervento neutro.

Maggiori approfondimenti esigono, poi, i singoli interventi legislativi con riferimento ad alcune ipotesi di reato. E’, ad esempio, certamente positivo che venga riconosciuto il fenomeno dello stalking (art. 13 “Atti persecutori”). Significa sancire l’esistenza di una nuova fattispecie di reato che chi lavora nei centri antiviolenza conosce bene. Tuttavia è errato inserire questa norma  – così come pensato dal ddl –  nel codice penale dopo il reato di minacce, perché l’esperienza ci insegna che,  a volte,  lo stalking  è prodromico  all’omicidio. Più opportuno, allora, sarebbe collocare lo stalking dopo la violenza privata (art. 610 c.p.), uno dei reati, insieme a quello di molestie, peraltro, ai quali attualmente le condotte di stalking sono ricondotte in assenza di una specifica previsione normativa.

Riguardo al reato di maltrattamenti in famiglia che diverrebbe per l’art.10 del ddl “maltrattamenti contro familiari e conviventi”,  è importante che finalmente si scriva che il maltrattamento in famiglia è anche quello commesso in danno della/del convivente,  ma andrebbe inserito che i maltrattamenti si protraggono  anche dopo la fine del matrimonio o della convivenza.

Nell’art. 12 poi si introducono modifiche al reato di violenza sessuale. La legge 96/66 è una buona legge, esito di anni di battaglie. Ogni rimaneggiamento impone massima cautela. Già oggi si prevede, all’art. 609 bis co. 3 del codice penale, che “nei casi di minore gravità” la pena venga diminuita. Il disegno di legge introduce gli elementi da valutare per riconoscere la “minore gravità” e tra questi “le condizioni psicofisiche della vittima”. Il rischio è che si consentano, nei Tribunali, domande odiose e dettagliate alla persona offesa, domande che il venir meno della differenza tra violenza carnale e atti di libidine violenti avevano temperato, anche qui grazie all’esito di infinite, splendide battaglie.

E andiamo, per finire, ai centri antiviolenza. Il disegno di legge li nomina in due norme all’art. 7 e all’art. 19. Con il primo si introduce un “Registro dei centri antiviolenza”, con il secondo si parla di “Intervento in giudizio”. Quanto ai registri, occorrerebbe dire che i centri sono quelli gestiti da associazioni e cooperative di donne, e indicare le linee–guida alle quali le realtà esistenti hanno finora aderito,  liberandoci così dalle insidie di possibili brame di appropriazione dei centri antiviolenza da parte di soggetti che mai hanno inteso occuparsi di violenza di genere.

L’art. 19, infine, prevede l’intervento in giudizio degli enti locali e dei centri antiviolenza ma non la loro costituzione di parte civile. Il nostro codice di procedura penale,  all’art. 91, prevede l’istituto dell’intervento, che è diverso dalla costituzione di parte civile previsto, invece, dall’art. 76 dello stesso codice. Per legge,  in Italia, esiste la possibilità di costituzione di parte civile di associazioni quali – ad esempio – quelle  ambientaliste o antiusura ma non delle associazioni di donne. Quella dei centri antiviolenza avviene, quotidianamente, a sostegno della donna che ha subito violenza e con il suo consenso. Ma avviene grazie alla prassi giurisprudenziale. E la giurisprudenza, si sa, è mutevole. La nuova legge dovrebbe introdurre questa possibilità non limitandosi – come previsto dal ddl – al solo intervento che è meramente simbolico. Il venir meno della possibilità di costituirsi parte civile dei centri indebolirebbe le donne in giudizio.

Il dire che il danno arrecato a quella donna è danno arrecato a tutte le donne è sentimento politico appreso dall’esperienza dei collettivi femministi degli anni 70. Chi non ricorda “Processo per stupro”? Chi non ricorda come trattavano le donne in giudizio? I collettivi femministi fecero allora il loro ingresso nelle aule di giustizia, si costituirono parte civile. Oggi, nelle aule,  ci vanno i centri antiviolenza, che oltre ad assistere la donna che si costituisce parte civile, con il suo consenso, stanno al suo fianco in giudizio, parte civile anch’essi. Se passa il ddl, i centri potranno solo intervenite a fianco della donna, con un arretramento giuridico e politico spaventoso. Il danno arrecato a quella donna, non sarà più il danno arrecato a tutte le donne. E’ una presa di distanza:  io,   noi,  non siamo ferite come te. Non  siamo danneggiate come te, con te. “Interveniamo” solo al tuo fianco.

Spero che come avvocate dei Centri antiviolenza, in riunione a Milano nel mese di marzo, riusciremo, su questo punto, a esprimere un documento forte e unitario che qualcuno abbia poi la voglia e la passione di sostenere in Parlamento.

Rolex is hinting here that the Daytona line will see some rolex replica sale changes in the coming years. I don't think they will discontinue the 40mm wide model, but I expect a new, larger Daytona with a new movement to rolex replica sale come from the house of Rolex soon. I am taking credit for these watches. I met with Time & Gems a while ago when seeing their progress with DLC and PVD rolex replica uk treatments on Rolex watch modifications, and suggested that they give a two replica watches uk tone "Rolesor" watch this type of treatment. Black and gold is a very nice combo, (especially yellow gold and black), and to be honest, I don't think I've ever seen a Rolex mod that did this replica watches sale (though I could be wrong). So what Time & Gems did is black DLC coat the steel portions of these watches, and leave the gold replica watches uk parts of the watch and the dials alone.