Documento di associazioni di donne da presentare a Prodi

L’ ITALIA CHE VERRA’:

UN NUOVO PATTO TRA DONNE E UOMINI PER LA DEMOCRAZIA  DEL XXI° SECOLO

 

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 Le donne e il declino italiano

La vita delle donne in Italia è segnata attualmente da una emergenza democratica.  Il clima generale  nel mondo, improntato a un mercantilismo aggressivo e, dopo la seconda guerra all’Iraq, decisamente avviato all’utilizzo della guerra come forma di governo,  ha fatto sorgere problemi etici e culturali sui concetti di libertà, responsabilità e giustizia, che incrociano in modo particolare la vita delle donne.

In Italia, un regime mediatico-istituzionale, che non ha pari in tutte le altre democrazie europee e occidentali, per cinque anni consecutivi ha operato per dissolvere il patrimonio di saperi e di pratiche politiche, che avevano coniugato la tradizione dell'emancipazionismo progressista e cattolico e le esigenze di libertà femminile del movimento femminista. Tale regime  ha messo in crisi i meccanismi  di dialogo sociale su cui era cresciuta in Italia la partecipazione politica delle donne che, pur presenti sempre con percentuali molto basse nei luoghi di rappresentanza sin dal 1946, avevano tuttavia mantenuto un potere di concertazione attraverso i meccanismi associativi, conservando in questo modo una forma di “empowerment”; ha provocato  una inversione di tendenza rispetto al  trend definito dopo la Conferenza di Pechino e ha causato significative perdite per le donne, soprattutto nella sfera della “bio-politica”  e  in quella  della partecipazione alla  “decisionalità” nella politica istituzionale.

Altrettanto significativo  è quanto avviene  a livello di immaginario, nei media,   in particolare  nella televisione, dove la presenza di stereotipi femminili, che incarnano nuove soggettività  di donne  rivendicative e  caricaturali, sono espressione del disagio di  un’Italia politica sempre più dominata dalla debolezza maschile, mascherata da machismo. Solo una debolezza maschile così radicata poteva precludere un dialogo con le soggettività politiche delle donne e far precipitare il nostro paese  agli ultimi posti delle classifiche internazionali per la presenza femminile  nelle istituzioni di rappresentanza.

In realtà,dopo la Conferenza ONU sulle Donne di Pechino, l’Italia si era posta all’attenzione internazionale per una svolta non solo nel riconoscimento giuridico dei diritti umani, ma anche per il tentativo di attuare politiche istituzionali dirette a introdurre un’ottica di genere nella vita politica italiana (la Direttiva Prodi-Finocchiaro del 1997, la legislazione contro la tratta della prostituzione, la legislazione contro la violenza domestica, ecc).

Ma il percorso compiuto dalle donne nelle istituzioni si è dimostrato troppo fragile per garantire da un arretramento che si è puntualmente verificato nel corso degli ultimi cinque anni nel completo disinteresse di tutto il ceto politico.  I dati parlano da soli: l’Italia è al 51° posto  nella classifica del World Economic Forum di DAVOS per la situazione  delle donne e si trova ultima  tra i paesi dell’Europa a 15.  I valori dello stato sociale,  che incidono sulla vita delle famiglie e delle donne sono entrati in ombra,  lasciando il posto a battaglie ideologiche sulla bio-politica e la bio-etica, attraverso le quali  si è cercato di nascondere le incapacità di governo. Allo stesso tempo le formule liberiste tatcheriane  hanno acuito i processi di precarizzazione del lavoro, rendendo incerto il futuro di tante giovani , soprattutto del Sud dell’Italia.

  Il silenzio dell’Italia in ambito internazionale corrisponde alla chiusura dello  spazio pubblico nazionale alle libere voci di donne, creando un ulteriore problema di immagine al nostro paese, che accresce la generale perdita di credibilità e competitività dell’Italia. 

 

A tutto ciò occorre reagire con un nuovo patto politico tra donne e uomini .

La democrazia liberale, nata dalla rivoluzione francese più di due secoli fa, fu fondata su un patto politico che escludeva le donne dalla cittadinanza;  forse anche  per questo oggi si ritrova con il solo strumento della guerra di dominio come modalità di relazione e governo mondiale.

E’ quindi giunto il momento di esprimere nelle istituzioni della  politica la ricchezza della differenza sessuale, mettendo in questione un’idea di cittadino, soggetto universale, apparentemente neutro e onnicomprensivo, ma di fatto solo maschile e occidentale, idea che è alla base dell’esclusione delle donne dai centri decisionali e delle condizioni di disparità. Esclusione ed emarginazione delle donne sono dunque in radice.

Perciò occorre un nuovo patto sociale, un nuovo “patto di convivenza” che rifondi la democrazia e l’assetto istituzionale, che, basandosi sul riconoscimento dei due generi, superi ogni gerarchia fra i sessi  e la storica distinzione tra pubblico e privato edificata sul presupposto di ruoli sociali prestabiliti in base al sesso e si appoggi su una relazione trasformata, nella politica e nella vita personale, nel pubblico e nel privato sociale, tra uomini e donne. Solo attraverso questo nuovo patto l’Italia potrà riconoscere le proprie potenzialità e cercare le proprie forme di giustizia sociale, interagendo attivamente con i laboratori sociali che si sono aperti nei paesi del nord europeo e del mediterraneo (per esempio la Spagna attuale) e nei movimenti delle donne del Sud del mondo.

 

I lineamenti   del  nuovo patto

Il nuovo patto politico tra donne e uomini in Italia dovrà essere gestito attraverso il dialogo sociale, che comprenda i luoghi del femminismo  e consenta la verifica costante delle associazioni di donne, e l’impegno in tal senso da parte dei partiti del centro-sinistra; a fondamento delle nuove forme istituzionali, sociali e civili del nostro paese. Con questa formulazione vengono superati gli schematismi di una concezione angusta delle “pari opportunità”; viene prefigurata quella democrazia  partecipativa, conflittuale e  al contempo creativa, che connota l’agire politico delle donne; viene costruita la possibilità per le soggettività femminili e femministe di esprimere liberamente una loro propria visione della congiuntura che l’umanità planetaria si trova a dover attraversare.

Un nuovo patto politico tra donne e uomini, cioè il mettere  a tema la differenza sessuale come criterio operante nella politica, potrebbe fornire all’Italia anche la possibilità di agire  con maggior vigore in ambito internazionale sui temi della pace e della convivenza tra popoli differenti; permetterebbe non solo azioni innovative nella definizione delle “politiche di genere” in ambito europeo, ma potrebbe portare anche contributi sostanziali alla strategia dell’empowerment e del mainstreaming che attualmente orientano le relazioni istituzionali di genere all’interno delle Nazioni Unite .

Il nuovo patto sociale deve avere ricadute, non  solo giuridiche e istituzionali, ma anche sociali e pratiche su tutta l’organizzazione della vita associata a partire dal riconoscimento del valore della riproduzione biologica e sociale e del lavoro di cura, che dovrebbe superare i parametri angusti del calcolo del PIL. Il riconoscimento alle donne di responsabilità e diritti propri, quali i diritti riproduttivi, (purtroppo oggi, in Italia e nel mondo, sotto attacco) un inizio di diritto sessuato, è certamente un primo passo verso questa direzione, così come lo sarebbe un dibattito non ideologico sui grandi temi della biopolitica e della bioetica.

  

Proponiamo quindi cinque aree di azione prioritarie per un assetto sociale anche a misura di donna .

  

1. Lavoro e welfare

 

1.1  Le azioni di questo governo hanno particolarmente penalizzato le donne: l’estrema e selvaggia flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro delle e dei giovani, lungi dall’agevolare la conciliazione tra lavoro e vita familiare, l’ha resa ben più difficile. Si è verificato un nuovo allontanamento delle donne dal mercato del lavoro. Il lavoro femminile è concentrato in settori fortemente esposti alla concorrenza internazionale e/o caratterizzati da prestazioni dequalificate e a basso reddito. Assistiamo a un’ampia frantumazione nel mercato del lavoro e nel lavoro, attraverso una moltiplicazione delle forme contrattuali precarie, tanto nei settori privati che pubblici, acuita dalla recente legge 30 di riforma del mercato del lavoro. Per le giovani immigrate che, al raggiungimento del 18° anno di età, non sono più a carico dei genitori, la precarietà può significare non avere un contratto minimo di un anno, e quindi la messa in discussione del permesso di soggiorno: il rapporto tra forme di lavoro precario e permesso di soggiorno è in generale un grave problema, che va affrontato e risolto in termini completamente diversi dalla logica della Bossi-Fini.

 

Occorre quindi riportare a unità il mondo del lavoro e rivendicarne il protagonismo e la visibilità, dando voce e maggiore rappresentanza anche al lavoro precario, al lavoro dipendente più povero, ai lavoratori e alle lavoratrici emarginati. Da qui la necessità di introdurre il nuovo concetto di “lavoro economicamente dipendente” con la conseguente estensione dei diritti (e dei costi) attribuiti oggi al lavoro subordinato a tutte le fattispecie economicamente dipendenti  (a partire dalle collaborazioni):   stabilire una “correlazione” diretta fra la fatica e l’impegno nel lavoro ed una retribuzione giusta, con un corredo di diritti universali, indipendentemente dalle forme dei contratti, estendendo lo Statuto dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Andare oltre la legge 30 significa abolire le norme che precarizzano il rapporto di lavoro,  favoriscono la destrutturazione del sistema produttivo, pubblico e privato;  indeboliscono la contrattazione collettiva; alimentano ulteriori forme di svantaggio e sostituirle  con un sistema di norme e diritti complessivamente alternativo.

 

  1. Far diventare il contratto subordinato a tempo indeterminato la normale forma di lavoro e di assunzione, limitando i casi di contratti cosiddetti flessibili.

  2. Ridurre le tipologie non a tempo indeterminato, sia attraverso interventi legislativi e contrattuali che puntino anche a una loro progressiva stabilizzazione, sia attraverso un aggravamento del loro costo unitario.

  3. Lottare contro il lavoro nero è  prioritario per un paese in cui ancora troppe donne e giovani, troppi immigrati, troppe imprese si situano fuori dalla legalità, dai sistemi di protezione sociali, non solo per evidenti ragioni etiche e di solidarietà, ma anche per impedire forme di concorrenza sleale, per restituire alla collettività ingenti quantità di ricchezza attualmente evasa, per rompere quelle stesse connivenze tra soggetti deboli che minano la solidarietà generale (indicativa la condizione delle assistenti familiari).

  4. Il part time, penalizzante per la carriera, per la formazione e per il futuro previdenziale di tante lavoratrici, non può essere considerato come l’unica forma di conciliazione per le donne.

 

1.2  Solo con una maggiore stabilità e qualità  del lavoro, comparti importanti dei sistemi di welfare potranno innovarsi e ampliare la portata degli interventi, perché la pubblica amministrazione e il sistema dei servizi si dequalificano e si indeboliscono, se la prestazione lavorativa è svolta con tipologie precarie.

La progressiva riduzione della qualità e della quantità dello stato sociale, fino al suo progressivo, e programmato, smantellamento, hanno ricreato un clima di irrigidimento dei ruoli e si stanno riproducendo  nuove forme di ghettizzazione delle donne.

Di fronte a una diffusa precarizzazione dei rapporti di lavoro e alla discontinuità nel reddito,  i giovani e le giovani coppie incontrano insopportabili difficoltà nell’accesso all’abitazione, al credito, ai servizi, alla possibilità di dar vita a famiglie, di scegliere consapevolmente di fare i figli voluti, da cui consegue, per le donne, una frustrazione sistematica del desiderio di maternità e del diritto all’autodeterminazione..

 

  • Il sistema del welfare oggi, deve rispondere alle nuove domande e ai nuovi bisogni che si presentano nelle società moderne: i flussi migratori, la frammentazione delle reti familiari, la discontinuità dei cicli di vita, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, il progressivo invecchiamento della popolazione, l’alta e crescente percentuale di donne tra i poveri, le famiglie monoparentali, le donne sole, l’aumento del disagio mentale. I prossimi anni dovranno pertanto essere caratterizzati da un grande investimento sul primo e vero patrimonio del nostro paese: le persone, che affermi il diritto al sapere, alla formazione permanente, al benessere, a un sistema di tutele in grado di accompagnare la persona nel ciclo di vita rendendola più forte e autonoma.

  • Il welfare  deve essere improntato a un’idea di Stato laico che sappia riconoscere e valorizzare le differenze e  che non discrimini le prestazioni e i diritti delle persone in base alle loro scelte affettive o di convivenza. Ciò rappresenta anche la condizione per costruire una società che dia nuovamente senso alle parole uguaglianza e libertà.

  • Il  welfare deve assicurare ai giovani l’accesso al sistema di protezione sociale  da cui oggi molti di loro sono sostanzialmente esclusi.

 

1.3  Per incentivare il lavoro femminile e nello stesso tempo arrivare a una vera e sostanziale condivisione delle responsabilità familiari occorre:

Ø                 garantire i livelli di reddito, il diritto alla formazione e la copertura contributiva durante i  congedi di maternità, parentali, familiari.  

Ø                 sostenere le imprese che contrattano misure condivise di flessibilizzazione  delle condizioni e dei tempi di lavoro

Ø                 realizzare la totalizzazione dei contributi; la non penalizzazione del part-time ai fini pensionistici; la riduzione a un importo pari all’assegno sociale della soglia per poter avere la liquidazione della pensione prima dei 65 anni; l’estensione ai lavoratori parasubordinati dell’insieme dei diritti sociali, a partire da una piena tutela in materia di malattia, maternità, congedi, infortuni, indennità di disoccupazione e sostegno al reddito; il sostegno ai bassi redditi, sia fiscalizzando tutta o parte della contribuzione, sia rafforzando il loro rendimento ai fini pensionistici.

Ø                 estendere  alle donne immigrate in possesso di permesso di soggiorno (e non della carta di soggiorno) il diritto all’assegno di maternità, invalidità civile, congedi parentali, ecc., a tutte le prestazioni di natura non contributiva, ossia assistenziali.

Ø                 in particolare per le donne meridionali, erogare un reddito di inserimento che garantisca accesso alla formazione e al mercato del lavoro ed estendere diritti e prestazioni di sicurezza sociale anche ai periodi di non lavoro.

Ø                 Garantire che il livello minimo delle prestazioni sia adeguato a un dignitoso tenore di vita (vedi, in particolare, gli assegni di maternità per le disoccupate o inoccupate o anche per alcune tipologie di lavoratrici atipiche e autonome  che oggi sono irrisori, anche quando sono garantiti).

 

1.4 Per quanto riguarda il lavoro autonomo e l’imprenditorialità, le  donne devono essere sostenute a formarsi come imprenditrici di valore, in tutte le opportunità possibili. A tal fine la legge 215 del 1992 va corposamente rifinanziata, snellendo ulteriormente le procedure burocratiche, inserendola in un complesso di leggi e provvedimenti volti al credito e al microcredito, per facilitare da parte delle donne  l’accesso alle risorse finanziarie e per sostenerle nel “fare impresa”, prevedendo un ruolo attivo degli enti locali e un’attenzione particolare alle donne del Mezzogiorno.

 

Il mondo dell’agricoltura offre un  esempio di una nuova solidarietà e di una nuova parità. La presenza femminile  nell’economia agricola è un fatto, che richiede tuttavia misure per il pieno riconoscimento della risorsa costituita dalle donne per l’agricoltura e per la società. Le donne inoltre hanno espresso una forte soggettività e coscienza critica sulla gestione dei beni comuni quali l’acqua, il suolo, le risorse energetiche, il paesaggio e l’ambiente. Se, tradizionalmente, in agricoltura, è prevalso il protagonismo maschile nei livelli decisionali e di rappresentanza, l’idea  oggi emergente di multifunzionalità dell’agricoltura apre alle donne un nuovo ruolo da protagoniste. Esempi di multifunzionalità sono l’Agriturismo, in cui  il lavoro di cura (cibo e accoglienza) diviene impresa,  la Scuola in Fattoria  e le Fattorie Sociali.

Il territorio rurale è troppo spesso considerato cortile delle città, non è quasi mai dotato di servizi flessibili rispetto a tempi e a modi di vita, diversi da quelli urbani. Tali servizi, in questo caso, sono anche strumento di mantenimento d’insediamenti umani che altrimenti sparirebbero e che dovrebbero essere considerati un bene di tutti. Oggi che nel mondo agricolo italiano la presenza femminile s’impone come uno dei parametri positivi, adottare misure dirette a una strutturazione e cura dell’ambiente e dell’habitat, dei servizi forniti nelle campagne, di strutture e infrastrutture che permettano un buon livello di vita anche come un reddito indiretto  per le famiglie  e per le donne si propone come un tema di grande attualità .

 

1.5 Contro le discriminazioni

Allo scopo di dare piena attuazione al principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione – allargandolo ai cittadini e alle cittadine immigrati - e alle normative europee, affrontando il divieto di discriminazione per tutte le cause collegate alle differenze di sesso, di razza o origine etnica, di religione o convinzioni personali, di opinioni politiche, di disabilità, di età, di orientamento sessuale, di condizioni personali o sociali:

  • costituire una Authority contro le discriminazioni di genere, recuperando l’articolazione territoriale (consigliere di parità rafforzate dal rapporto con l’Authority centrale e con gli enti locali).  L’Authority dovrebbe:  dare migliore e più rapida attuazione agli strumenti normativi esistenti, integrandoli tra loro, dando a tutte coloro che abbiano sofferto una discriminazione la possibilità di adire in giudizio; esercitare il monitoraggio del processo di recepimento delle direttive e dei regolamenti europei e la valutazione ex ante, in itinere e finale delle iniziative legate all’utilizzo dei fondi;  vigilare sulle eventuali discriminazioni per le donne nell’accesso al credito e nelle pratiche bancarie

Poiché con la trasformazione del collocamento e la diffusione delle agenzie per il lavoro private, le discriminazioni – anche quelle dirette ed evidenti – si sono moltiplicate e ancora potranno moltiplicarsi facilmente, si tratta di rafforzare gli strumenti contro le discriminazioni :

  1. Rivedere il Dlgs 276/2003 nella definizione del divieto di discriminazione (art 10) che permette eccezione troppo ampie

  2. Rivedere ruolo e  regolamentazione delle agenzie del lavoro.

 

 1.6    Impegni a livello europeo

 

  • Adozione di politiche macroeconomiche  che contribuiscano a rilanciare lo sviluppo sostenibile e maggiore intervento pubblico a sostegno di innovazione ricerca, infrastrutture , trasporti , servizi

  • Legislazione di regolamentazione dei lavori atipici e miglioramento della legislazione esistente in materia (miglioramento direttiva su tempo determinato, miglioramento proposta su interinale)

  • Rilancio e maggior fondi per Cooperazione allo sviluppo  e all’interno di questi per la promozione dei diritti delle donne.

  • Politiche migratorie meno restrittive.

  • Superare i ritardi e le disattenzioni in ambito europeo, oltre che italiano, al problema, politico più che umanitario, del diritto d’asilo, riconoscendo alle donne la persecuzione per motivi di genere come motivo che dia diritto all’asilo (si veda la ricerca, finanziata dalla Commissione dell’UE “Refugee women hoping for a better future”)

  • Sostegno alla campagna in atto per la riapertura della discussione sulla proposta di istituire la cittadinanza europea basata sulla residenza anziché sulla cittadinanza nazionale.

 

  1.7  Sviluppo e qualificazione dei servizi sociali

  • Realizzazione di una rete di asili nido per il raggiungimento dell’obiettivo dell’UE della copertura del 33% del fabbisogno entro il 2010 ( oggi siamo attorno al 7-8%)

  • sviluppo dei servizi per gli anziani e le persone non autosufficienti, dei servizi di sostegno alle famiglie che si fanno carico dei non autosufficienti e dei disabili, soprattutto in termini di assistenza pubblica domiciliare, anche attraverso un welfare mix di pubblico e privato che preveda l’inserimento delle assistenti familiari immigrate e native all’interno della rete di servizi del welfare locale, contributi alle famiglie per la loro regolarizzazione, ecc.; estensione di questi contributi anche per colf e baby sitter

  • politiche locali dei servizi, dei tempi e degli orari che favoriscano la conciliazione tra tempi di lavoro, di cura e di relazione,  e la condivisione delle responsabilità famigliari,  attraverso il miglioramento della tipologia e dell’accesso ai servizi, la flessibilità e la diversificazione degli orari, il miglioramento del sistema dei trasporti pubblici e l’ottimizzazione dei tempi della mobilità

  • sostegno e rilancio della rete dei consultori familiari pubblici: diffusione nel territorio, incremento del personale specializzato, ammodernamento delle attrezzature, affinché i consultori possano svolgere la loro funzione di prevenzione  e di sostegno alla salute riproduttiva, senza essere oggetto di pressioni, interventi e interferenze politiche ed ideologiche

  • deducibilita’ dall’IRPEF delle spese  per la cura della famiglia

  • rafforzamento della politica di genere nel settore sanitario;

  • miglioramento dei servizi sanitari e del relativo accesso, in particolare per le donne immigrate;

  • formazione degli operatori sociali e sanitari   al rispetto delle varie religioni e culture e a tutela e cura della salute, anche in relazione a un’utenza immigrata.

 

2. Scuola , Cultura e Media

Il sapere e la formazione all’interno del sistema scolastico e universitario deve essere accessibile per tutti e di qualità, perché è un  elemento centrale e strettamente intrecciato a un modello solidale di mercato del lavoro e a uno sviluppo di qualità. La scuola pubblica laica, pluralista, democratica ne è strumento essenziale.

Riteniamo fondamentale:

  • abrogare le recenti leggi di riforma della scuola e dell’università;

  • modificare la legislazione sul lavoro dei minori in stretta connessione con il contrasto ad ogni forma di lavoro minorile e con l’obiettivo del raggiungimento dell’obbligo scolastico a 18 anni, prevedendo i necessari interventi economici, nell’ambito del diritto allo studio, per sostenerne la fruizione

  • superare la polarizzazione di genere delle scelte scolastiche e formative; il rapporto tra donne, scienza e tecnica  implica una riflessione radicale rispetto al formarsi dei saperi, alle loro relazioni con i poteri economico-politici, alle culture che hanno dominato e cancellato altri approcci alla conoscenza e a un possibile rapporto, meno devastante, con il mondo e la natura, le povertà e le risorse dello sviluppo

  • garantire le possibilità di una formazione continua lungo tutto l’arco della vita

  • affrontare il problema della dispersione (ora affrontato nella scuola in una prospettiva inefficace, perché neutra)

  • riconoscere titoli di studio ottenuti in patria dalle immigrate e dagli immigrati e la loro professionalità pregressa, con conseguente accesso agli ordini professionali

  • riqualificare e sviluppare il tempo pieno nelle scuole;

  • sviluppare l’educazione alla  multiculturalità.

 

Infine, il tema dei libri di testo. Va ripreso con l’editoria scolastica e con le scuole il progetto europeo POLITE, che consente, come già avvenuto nella scorsa legislatura con i due vademecum sulla rivisitazione delle discipline scolastiche in un’ottica di genere, di riunire intorno a un progetto comune sui saperi di genere, la loro trasmissione e valore educativo, esperte/i di diverse discipline, esponenti di differenti approcci epistemologici.

 

Molto più difficile si pone il riconoscimento della differenza sessuale in ambito culturale e dei media. Per questo tuttavia sono auspicabili le iniziative previste in questi campi dalla Piattaforma di Pechino e mai attuate. Vanno studiate con  molta capacità innovativa dalle nuove istituzioni che proponiamo, al fine  di promuovere un  rinnovamento qualitativo dei media e di garantire la presenza delle donne nei grandi dibattiti nazionali, attraverso la promozione delle donne nei ruoli dirigenti, tenendo presente criteri di competenza e  qualità. Va altresì valorizzato l’approccio all’intercultura, sia come conoscenza e scambio tra le culture,  che come via  alla accoglienza  e alla convivenza tra persone, etnie, religioni, gruppi diversi, sia infine come riconoscimento del contributo del bagaglio culturale e dei valori di cui sono ricche le donne immigrate.

 

  • Istituire una Commissione mista – istituzionale e insieme aperta a donne e uomini del mondo dell’istruzione e della cultura -  presso il Ministero della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, in collegamento anche con le competenze regionali in materia di formazione professionale, per il coordinamento di tutte le iniziative che hanno l’obiettivo di sviluppare la cultura della differenza di genere in tutti gli ambiti del sapere

  • Inserire la formazione ai problemi di genere nelle scuole di giornalismo

  • Modificare tutte le norme relative alle risorse e al patrimonio culturale  e ambientale (ivi compresi i settori della musica, dello spettacolo e delle arti figurative), che impediscono l’esprimersi delle nuove  professionalità tecniche, scientifiche, culturali e artistiche delle donne

  • Rivedere le disposizioni legislative in materia e inserire in eguale misura, uomini e donne, nelle commissioni all’uopo preposte.

 

3.         Governance democratica

 

Poiché l’assunzione dei modelli tradizionali – maschili – come modelli neutri, onnicomprensivi e che pretendono all’universalità, è alla base dell’esclusione delle donne dai centri decisionali,  i faticosi tentativi messi in  opera per pesare come donne nelle assemblee elettive e nei centri di decisione politica e istituzionale non sono stati sufficienti per  sciogliere il nodo di fondo: come promuovere una democrazia e un assetto istituzionale fondati sul riconoscimento dei due generi. E’impossibile infatti che un ceto dirigente solo maschile sappia interpretare e risolvere questioni quali i diritti riproduttivi, i problemi delle famiglie, la rigidità del welfare, le discriminazioni nel lavoro. E’ quindi indispensabile, nelle istituzioni nazionali e locali e nei ruoli pubblici , la presenza in ugual misura di  uomini e donne competenti e capaci di realizzare politiche in cui entrambi i generi si riconoscano .

  • La questione della selezione politica è questione democratica generale. Per affrontare la questione del chi e come decide sulle candidature e sulla qualità delle stesse, alcuni strumenti, certamente non esaustivi, devono essere individuati nelle leggi elettorali e nelle scelte dei partiti e delle coalizioni: dai nomi alternati per sesso nelle liste proporzionali, alle primarie di partito o di lista, con l’impegno da parte dei partiti di consultare le proprie iscritte e le associazioni femminili territoriali per recepire proposte di candidature di donne, alle primarie di coalizione e di  collegio, in cui le candidate possono presentarsi, competere e ottenere voti di donne e uomini. In base alle leggi elettorali in vigore, si tratterà di individuare le procedure che sviluppino il massimo di democrazia partecipativa e di espressione delle soggettività politiche.

  • Come obiettivo di una rivoluzione democratica, che a partire dai due generi affronti i nodi più generali di un nuovo rapporto tra società civile e istituzioni, del superamento di forme autoreferenziali della politica istituzionale, e sia in grado di riconoscere e confrontarsi con le soggettività politiche attive nello spazio pubblico, proponiamo l’obiettivo di una presenza nelle assemblee elettive del 50% di donne e del 50% di uomini,

 

Rispetto agli strumenti e agli  “organismi di pari opportunità” cui si è dato vita in questi anni a livello nazionale: Ministra delle pari opportunità, Dipartimento per le pari opportunità, Commissione nazionale di parità, Comitato di pari opportunità presso il Ministero del lavoro, altre commissioni e comitati nazionali, consigliere di parità ecc.,nonostante il valore e l’impegno di molte donne che in questi organismi hanno scelto di cimentarsi, si sono evidenziati i limiti delle leggi, in generale riduttive e inadeguate, in base alle quali sono stati istituiti. Inadeguatezza aggravata inoltre dalla nuova legislazione e dalle politiche dell’ attuale governo.  Per tale motivo, va ripresa negli organismi di pari opportunità esistenti, la  valutazione di limiti e potenzialità, in previsione di possibili riforme.  A tal proposito avanziamo le seguenti proposte dirette a rafforzare la sinergia tra politica istituzionale, autonomia femminile e superamento della frammentazione della società civile femminile:

  • Istituire un Forum Nazionale delle associazioni femminili e femministe – ivi comprese quelle delle donne immigrate - ( attraverso un Albo cui le associazioni si iscrivono) che si riunisca almeno una volta l’anno,  al cui interno venga eletto un Comitato permanente, sostitutivo della attuale Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità,  che elabori ed istruisca  le problematiche su cui il Forum è chiamato ad esprimersi.

  • Istituire, per sostenere le attività del Forum, e come riferimento per le politiche di governo, un Istituto per le politiche di genere (Gender Institute) , che offra servizi permanenti, quali: ricerche su temi pregnanti e indicati dal Forum, statistiche di genere, osservatori legislativi; “bilanci di genere”, assistenza per la progettazione sui fondi europei, nazionali e regionali; elaborazione di proposte e sostegni per la valorizzazione delle capacità imprenditoriali, professionali e culturali delle donne, corsi di formazione, avvalendosi anche di rappresentanti competenti di Università, Istat, Cnel, Cnr, ecc., che possono svolgervi parte del loro lavoro di ricerca (per evitare ricerche suppletive).

  • Consentire l’utilizzazione dell’ l’8 x 1000 anche per il finanziamento alle associazioni femminili, con la possibilità di indicare a quale associazione, sia di carattere nazionale che territoriale, si destinano i fondi

  • Consentire la  deducibilità dall’IRPEF delle erogazioni a favore delle associazioni femminili.

  • Istituzione di una Commissione parlamentare permanente  per ciascuna delle due Camere, per il mainstreaming della dimensione di genere in tutta la legislazione

  • Istituzione di un Ministero – con portafoglio – per le politiche di genere, per l’empowerment delle donne e il mainstreaming della dimensione di genere in tutta l’attività dell’esecutivo, tenendo presente, ma andando oltre,  la Direttiva Prodi-Finocchiaro del 1997.

  • Valorizzazione del coordinamento delle Consulte e Commissioni P.O. regionali in sede di Conferenza Stato-Regioni.

 

4. Diritti umani. Violenza contro le donne . Tratta degli esseri umani

La persistenza e l’aggravarsi di fenomeni di violenza contro le donne (violenze sessuali, violenze familiari, omicidi, violenze contro le bambine, mutilazioni sessuali, ecc.) denotano una problematica comune, anche se in forme diverse, a tutto il pianeta; perché la violenza nei rapporti tra i due sessi è questione antica e complessa, che si ripresenta sempre in forme diverse nelle diverse fasi storiche,  lontana dall’ essere risolta dalla cosiddetta “civiltà” occidentale, e che anzi riveste oggi caratteri inediti e insieme spesso drammatici.

Le nostre proposte si limitano ovviamente solo ad affrontare i problemi emergenti,:

  • attuazione degli impegni previsti dalla Direttiva Prodi-Finocchiaro del 1997 per un’azione attiva e continuativa di prevenzione,  per la sensibilizzazione e formazione dei soggetti istituzionali e degli operatori dei servizi coinvolti – dagli operatori sociali e sanitari alle forze dell’ordine - nelle politiche concrete di assistenza alle vittime di violenza,  da inserire nei piani socio-sanitari e nei progetti di formazione

  • Varo, anche in Italia, di un Piano nazionale contro la violenza alle donne, adeguatamente finanziato, che punti a creare una rete nazionale e a consolidare reti locali in tutte le città e le province, allargando il metodo della rete antiviolenza del progetto Urban, che oggi si estende in 25 città e che ha sedimentato nei rapporti tra stato ed enti locali, istituzioni, associazionismo femminile ed enti di ricerca una collaborazione e un patrimonio di conoscenze prezioso. E’ questa la strada maestra da seguire per ridurre la violenza contro le donne e i minori e dare aiuti concreti alle persone in difficoltà in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, senza escamotage pubblicitari inutili, se non addirittura dannosi per le donne

  • Allocazione di risorse anche finanziarie per il sostegno ai centri antiviolenza e il sostegno agli enti locali per istituire  servizi permanenti, centri di ascolto e di emergenza, – superando la precarietà attuale – con personale sempre più qualificato e capace di lavorare in rete affiancando le donne maltrattate o violate in un progetto di vita autonomo

  • monitoraggio, da parte del Governo, dei risultati della legge contro la violenza sessuale e della legge contro l’allontanamento del familiare violento, i cui risultati sono solo parzialmente conosciuti grazie alle associazioni delle donne e ai centri antiviolenza finanziati dagli enti locali. Raccolta ed elaborazione, da parte di tribunali, forze dell’ordine, strutture sanitarie,  dei dati sulla violenza contro le donne.

 

 Tratta

Sono note:

  • le novità con cui continuamente si presenta e si trasforma il fenomeno della tratta di esseri umani per sfruttamento sessuale e   per altre forme di schiavitù .

  • il modello italiano per contrastare questo drammatico fenomeno, modello apprezzato a livello internazionale come il sistema più avanzato per la protezione e l'assistenza delle vittime della tratta e le correlate strategie di contrasto alla criminalità organizzata: l’art. 18 della legge sull’immigrazione Turco-Napolitano (1998), le azioni che ne sono conseguite, i risultati ottenuti

  • i danni provocati dalla legge Bossi-Fini e dalle politiche dell’attuale governo rispetto alla piena e corretta applicazione dell’art.18, le difficoltà e le contraddizioni della situazione attuale.

Le proposte a livello nazionale e internazionale sono numerose e si basano sull’esperienza e sulla richiesta di applicazione delle analisi e delle proposte contenute nei documenti ufficiali dell’UE (Dichiarazioni, Linee guida, Risoluzioni, Convenzioni che si sono succedute negli anni) e dell’ONU fino al Protocollo del 2000 contro la criminalità organizzata, per altro non ancora ratificato da numerosi paesi.

  • L’efficacia di qualunque proposta risiede soprattutto nel considerare la tratta come un crimine contro l’umanità come previsto dal Tribunale penale internazionale e nel partire, per qualunque politica si ritenga necessaria, dalla restituzione alle “vittime”dei loro diritti violati e nel rilanciare e valorizzare il problema dei diritti umani delle donne Se si considera la tratta solo come un segmento dell’immigrazione clandestina attivando i canali prevalentemente repressivi ed emergenziali, non si fanno molti passi avanti,  perché tornate in patria le vittime di tratta si trovano in una grave situazione di stigma sociale e di difficoltà economiche, e perché il potere di ricatto delle organizzazioni criminali è comunque molto forte. Infine occorre rilanciare un forte impegno culturale per prevenire lo sfruttamento e il dominio sulle persone e la violazione di diritti e dignità.

  • E’ necessaria una cooperazione europea e con i paesi di provenienza delle persone oggetto di tratta nonché una cooperazione stretta fra governi e organizzazioni non governative, poiché queste ultime hanno sviluppato e realizzato progetti per la prevenzione e la reintegrazione e hanno esperienza nel campo, ma non hanno fondi sufficienti. I programmi migliori sono quelli che uniscono la prevenzione con le attività di reintegrazione, e questi dovrebbero essere inclusi nei programmi nazionali per la lotta contro la tratta di persone ed essere presi in considerazione nelle future riforme del sistema sociale dei paesi d’origine.

  • La restituzione dei diritti umani violati dovrebbe guidare i decisori per le politiche europee coordinate a livello continentale, a partire dalle buone pratiche nazionali; in Italia si devono ripristinare i principi definiti e incarnati nell’art.18, rifiutando la confusione tra tratta, prostituzione e immigrazione clandestina, superando la concezione del permesso di soggiorno temporaneo a breve termine e di natura premiale, evitando ostacoli e vincoli alla volontaria e positiva collaborazione con le Forze dell'Ordine e la Giustizia, che non solo non rispettano i diritti delle vittime, ma limitano anche le possibilità di ottenere la loro collaborazione per il contrasto alle organizzazioni criminali.

  • Proponiamo quindi:

  1. Un Comitato di coordinamento nazionale e interistituzionale (Governo, Enti Locali e ONG)

  2. Una Commissione interministeriale per creare le condizioni di applicazione uniforme ed efficace della legge (formazione di unità specializzate all’interno della Polizia di Stato, incentivazione dell’attività investigativa, indicazioni precise alle questure, rilascio di permessi momentanei,  presenza di mediatori culturali ai processi,  misure per il ricongiungimento familiare, etc.)

  3. Coinvolgimento del Ministro degli Esteri come interfaccia tra applicazione dell’ art..18 e rappresentanze consolari presenti in Italia

  4. Promozione di interventi di prevenzione nei paesi di origine delle vittime del traffico e sfruttamento e interventi  di mediazione dei conflitti  locali in tema di prostituzione migrante

  5. Nomina di un responsabile unico in ogni questura per l’art. 18

  6. Ratifica del protocollo ONU di Palermo sul traffico di esseri umani

  7. Elaborazione di un Rapporto nazionale sul bilancio di 5 anni di lavoro e i risultati dell’attuazione dell’articolo 18 a livello nazionale e locale

 

 

5.  Politica globale, convivenza internazionale  e pace

 

Lo stato attuale del mondo e gli eventi che si sono succeduti dopo l’11 Settembre 2001 inducono  a riflettere sulla parola democrazia che sembra aver subito un complesso processo di eterogenesi dei fini che la porta a coincidere spesso con la “supremazia” del più forte. Il XXI° secolo si è infatti aperto con una terribile ferita inflitta all’Occidente, che ha reagito in nome della propria idea di democrazia con forza superiore alla sfida, senza cercare le ragioni di quell’offesa. L’ONU, dopo la caduta del Muro di Berlino,  con le Conferenze degli anni novanta, aveva riconosciuto la necessità di intervenire per la riduzione delle enormi disuguaglianze economiche e di status che erano  all'origine dei grandi flussi migratori, ma anche della crescita delle ingiustizie e delle pratiche di dominio verso i soggetti più deboli . Tuttavia quel decennio si è chiuso con l’ossimoro della guerra umanitaria, dichiarata dalla Nato e non dalle Nazioni unite in Kossovo, che ha aperto la strada all’idea della guerra “preventiva” come strumento delle relazioni internazionali. Purtroppo un simile clima non favorisce il raggiungimento di una convivenza internazionale capace di assicurare la “qualità della vita” a tutto il pianeta.  Gli otto obiettivi del millennio, che erano stati definiti dall’ONU a questo scopo rischiano dunque  di essere resi vani, così come la funzione delle Nazioni unite. In questa congiuntura l’agire delle società civili trans-nazionali  è particolarmente importante, così come sono importanti alcune delle idee di quello che viene definito l’altermondialismo dei movimenti che si raccolgono nei Forum Sociali Mondiali. Le donne, che sono presenti  sin dall’inizio in questa mobilitazione mondiale e che in moltissimi paesi del Sud del mondo hanno dimostrato di essere fondamentali per il mantenimento dei loro contesti di vita, possono esprimere un grande potenziale di innovazione nella definizione di nuove regole di convivenza , ma tuttora non godono di una sufficiente autonomia singola e collettiva per far valere i loro punti di vista. E’  dunque necessaria nell’attuale contesto politico globale una forte  attenzione verso il mutamento delle relazioni tra uomini e donne e verso la soggettività femminile come risorsa per una migliore convivenza mondiale. In un epoca d’intolleranza crediamo che l’ascolto e il rispetto delle differenze, cominciando dalla differenza fondamentale tra uomini e donne ,   possano  ispirare legislazioni e provvedimenti e essere di grande aiuto per  governare con giustizia la complessa contemporaneità.

 

Le donne in Italia hanno avviato pratiche per realizzare una cultura di pace e intendono contribuire sempre di più a realizzare una nuova forma di convivenza a livello globale.  Per questo motivo si ritiene fondamentale proseguire nell’impegno per la attuazione della Risoluzione 1325/2000 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite.

 

In questo senso l’Italia  potrebbe avere un ruolo positivo nel rafforzare l’azione delle donne per  la trasformazione della politica all’interno delle Nazioni unite . A tal fine, occorre agire in sede ONU per contribuire alla definizione di un nuovo multilateralismo,  rovesciando  l’attuale trend di scarsa presenza a livello internazionale da parte delle associazioni di donne italiane  e riportare l’Italia a dialogare con gli altri paesi del mondo tenendo presente la propria originalità e il contributo delle proprie esperienze .Le politiche di genere e sviluppo dovrebbero quindi cercare di orientarsi verso un sistema di governabilità  democratica ai vari livelli, da quello locale a quello globale, tenendo in particolare conto le esperienze e le pratiche  delle donne nei confronti delle istituzioni decentrate. Questa iniziativa potrebbe essere sperimentata attraverso  il seguente  percorso:

 

  • Nella prospettiva di breve periodo si potrebbe cercare  di valorizzare  il protagonismo delle donne nei contesti  di livello locale, operando anche in sede ONU per far riconoscere un nuovo spazio alle istituzioni locali, i cui interventi andrebbero comunque riorganizzati all’interno di programmi nazionali.

  • In una prospettiva di medio periodo, occorrerebbe anche costruire modalità innovative di intervento che tengano in conto il  dialogo  e l’azione comune tra le reti di donne del Nord e del Sud del mondo, che intervengono nei vari livelli di governo della convivenza locale e globale, assicurandosi che  le istituzioni multilaterali riconoscano un simile assetto  strategico.

  • Nel lungo periodo invece  l’Italia potrebbe costruire,  insieme ad altri paesi dell’area mediterranea, modalità innovative per il raggiungimento della “dell’empowerment delle donne”, identificando nuovi percorsi possibili, nuovi sistemi di misura e nuovi indicatori per il raggiungimento di questo obiettivo, che appare maggiormente condivisibile  dalle donne di culture differenti. Si tratta di una concezione di politica estera che tiene in particolare conto le differenti esperienze, al fine di dare ai soggetti nuovi la possibilità di stabilire dei diritti di fatto e non solo de jure. 

 

Hanno promosso il Documento

ARCIDONNA, CANDELARIA,
CAUCUS  DELLE DONNE-COMITATO ROMANO,
ASSOCIAZIONE GENERI E GENERAZIONI, 
LOBBY EUROPEA DELLE DONNE, PAESE DELLE DONNE,
ASSOCIAZIONE ZORA NEALE HURSTON

 

Il documento è stato discusso nell’assemblea nazionale del 26 novembre scorso. E’ in corso la raccolta delle adesioni delle associazioni femminili e femministe e delle singole personalità femminili.