La responsabilita' per la vita nell'autocoscienza maschile

di Beppe Pavan


Ho scelto volutamente quelle parole, per il titolo, perché sono quelle che mi paiono centrali nel confronto in atto.
Anche se... anche se dire "confronto" è cosa dura, dal momento che chi pontifica sfugge accuratamente a ogni confronto, perché ritiene la fede superiore alla ragione, mentre il confronto richiede riconoscimento reciproco. Quando poi un professore è anche papa il confronto non può aver luogo, per definizione: in cattedra sale il papa, non il professore.
Così accade che da un giorno all’altro cambino gli slogan, senza rossori: la misura della civiltà di un popolo era il rispetto per le donne, intorno al 25 novembre... adesso è il servizio alla vita, anche se questo significa andare contro le donne.
 
La vita
Esiste forse la vita a prescindere dai corpi viventi? Come si può servire la vita annientando i corpi viventi? A meno che per "vita" si intenda la propria "idea di vita": quindi, si pretende servizio a sé, in quanto capace/i di un pensiero così sublime e assoluto. Oppure si parla della vita come di un sinonimo di Dio, che è la stessa cosa. Siamo sempre nell’empireo delle idee.
Dire "vita" mette al centro dell’attenzione la persona che lo dice, come capo-scuola di una linea di pensiero che vuole far trionfare a tutti i costi, anche calpestando corpi viventi.
Dire "corpi viventi" mette al centro i corpi che chiedono rispetto del loro diritto a vivere e a vivere con pienezza e dignità. Davanti ai corpi deve fare un passo indietro chi potrebbe calpestarli imponendosi. Perché la vita, come la vedo io, non è disgiungibile dai corpi viventi; nasce nel ventre della madre, sia essa un fiore, un animale o un "cucciolo d’uomo"; la sua sorgente è l'amore: quello che attrae e lega due corpi e che fa dire alla madre "lo voglio, lo nutro, lo cresco...".
 
Responsabilità
E’ innanzitutto riconoscere la nostra parzialità: quella dell’uomo che sa di non poter dar vita a una vita, di non poter generare, partorire, allattare... e di dover, quindi, abbandonare ogni pretesa di dominio, di controllo, di superiorità.
Responsabilità è vivere il proprio compito paterno, biologico o adottivo/sociale, con la consapevolezza di una relazione importante e decisiva, nel bene e nel male, con quel cucciolo e quella cucciola, di cui la madre ti ha detto: "è nostro/a! Aiutiamolo/a a vivere e ad essere felice".
Responsabilità è riconoscere le differenze e imparare a conviverci. La prima, originaria, fondante, irriducibile, è quella sessuale, tra corpi portatori delle proprie esclusive competenze: non esistono corpi che non siano sessuati. E anche il conflitto tra uomo e donna, inaugurato dal patriarcato, è quello originale e originario: è il nostro vero "peccato originale", commesso con piena avvertenza e deliberato consenso; e ogni volta reiterato, ogni volta che commettiamo violenza contro una donna, un bambino, contro la natura, gli animali, i vegetali, l'aria, l'acqua... finché non affronteremo con consapevolezza e trasparenza il conflitto contro
le donne non saremo efficaci in nulla.
Le nostre relazioni intime sono laboratorio del saper "partire da sé". Ma anche laboratorio di buon governo: non è efficace né credibile alcuna politica contro la violenza se non si è apertamente consapevoli di dover
partire da lì.
Una "città per bambini e bambine", ad esempio: è credibile se si comincia a cambiare le relazioni tra uomini e donne, perché la prepotenza maschile è causa di ogni violenza (v. Il Paese delle donne 7/06).
Corresponsabilità è, in positivo, aiutarci a camminare tutti e tutte insieme su questi sentieri di armonia e di felicità; in negativo, è guardare con indifferenza ai tentativi di prevaricazione e di dominio.
 
Ribellione
Questa volontà di dominio è specifica della cultura e delle pratiche patriarcali, inaugurate e reiterate dagli uomini che, insuperbiti dalla loro maggior forza fisica, hanno imposto e cercano di continuare ad imporre il loro ordine simbolico e la loro visione del mondo come l’unica possibile e accettabile per tutti e tutte.
Io, noi, ci ribelliamo a questa inaccettabile pretesa e riconosciamo con gratitudine la sovrana libertà e autonomia di ogni donna e del genere femminile. Nessun uomo può arrogarsi il diritto di legiferare e pontificare sul corpo di nessun altro, meno che mai su quello delle donne. Questo riconoscimento della fondamentale irriducibile differenza sessuale è occasione di liberazione anche per noi uomini: dal giogo opprimente del patriarcato, che ci costringe in ruoli competitivi che ci condannano a una quotidiana infelicità.
Liberarci è possibile, gratificante e liberatorio. E’ quanto andiamo scoprendo con la pratica dell’autocoscienza personale in gruppo, grazie allo scambio di esperienze e di pensieri che ci fanno intravedere e praticare orizzonti prima insospettati.



www.uominincammino.it

28-03-2008

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