I Pensieri vagabondi di Amalia

Questo libro è rimasto nel cassetto molti anni.
L'introduzione - che qui riportiamo - è stata scritta nel 1993 da
Maria Attanasio (1954-1995).

 

Non si tratta di un diario, né di un'autobiografia, anche se non mancano elementi dell'uno e dell'altra. E' piuttosto un'opera di riflessione sul passato e sul presente, sul senso della vita e della cultura, scritta da una donna che alla cultura "scolastica" è arrivata tardi, a cinquant'anni, grazie ai corsi "150 ore" che alla fine degli anni Settanta furono aperti anche alle casalinghe.


Stimolata da Lea Melandri, sua insegnante di italiano, Amalia ha cominciato a scrivere con una sorta di passione inarrestabile, prendendo spunto dagli elementi culturali che le venivano forniti, per rileggere la propria vita, dando voce a un mondo interiore ricchissimo, nel quale convivono cultura contadina e consapevolezza di sé come donna.

La prima parte del manoscritto contiene il racconto, abbastanza omogeneo, dell'infanzia e della giovinezza di Amalia, trascorse in un piccolo paese dell'Appennino piacentino. La vita grama, il lavoro dei campi, l'impatto frustrante con la scuola elementare e le pratiche religiose, le credenze e i riti contadini, la prima esperienza di lavoro lontano da casa, come mondina nel Vercellese. Poi la guerra, la fame, il matrimonio e l'ingresso nella famiglia del marito, unica donna tra molti uomini adulti che le affidano completamente la gestione della masseria che hanno rilevato. Infine, la venuta a Milano, dove il marito ha trovato lavoro, e la solitudine della città, interrotta da frequenti viaggi in campagna, dove il suocero e i cognati contano unicamente su di lei per il governo della casa. La sospirata nascita di una bambina, dopo dieci anni di attesa, non fa che aggravare il pesante fardello di Amalia.

A questo punto, c'è una cesura: Amalia non racconta che a cenni i vent'anni che seguono, privi di eventi significativi e affogati in una quo tidianità metropolitana che non ha spazi di libertà e di benessere per una casalinga incolta e sradicata dal suo mondo. E' alienazione e depressione vera, fino alla decisione di iscriversi al corso delle "150 ore".

Il tono del manoscritto cambia: non più ricordi, i "pensieri vagabondi" si incanalano ora in un alveo fecondo, quello della comunicazione con le compagne e le insegnanti, della presa di coscienza femminista, del serrato confronto con le materie di studio. Non soltanto avviene, questo confronto, con la lingua e la letteratura, materie preferite, ma anche con le materie scientifiche.

Lucida e ironica (anche nei confronti di se stessa), Amalia parla di antropologia, fisica, chimica; ragiona con Pitagora e Galilei, cita Freud e Roland Barthes. E con una semplicità non priva di autorevolezza, trasporta "metaforicamente" i grandi personaggi che incontra nei libri di scuola fra le pareti di casa sua, misurandoli con la propria vita e con la propria esperienza. Entusiasmandosi alle nuove conoscenze, Amalia non perde però un suo istinto, nativo e contadino, di disincanto. All'annuncio glorioso delle sue vittorie in campo culturale, fa sempre da contrappunto un borbottio sommesso di pena e di fatica per le miserie quotidiane dell'umanità, per il fardello che non è mai lecito deporre.

Non mi illudo, con quanto ho scritto, di aver reso seppure in minima parte la ricchezza e l'efficacia di questi "pensieri vagabondi". Il personaggio che sta dietro alla lunga esposizione (una enciclopedia, o forse una "summa" filosofica) è certo un personaggio particolare, dotato di una originalità di vedute che oggi forse è permessa solo a chi, essendosi formato al di fuori dell'istruzione ufficiale, può pennettersi di ignorare la parcellizzazione del sapere, e guardare alla conoscenza come a una grande sfera intatta che è possibile agguantare una volta per tutte.
Per ingoiare questo frutto succoso, Amalia non rinuncia a quello che già sa, vale a dire a quel sapere contadino che di solito viene posto fuori dalle porte del "vero" sapere. Per questo, quando prende in mano per la prima volta nella sua vita la penna, dando vita a un fiume irrefrenabile di parole scritte, e non più solo pensate, Amalia resta se stessa, non patisce scissioni, non soffre di sensi di inferiorità e trova il coraggio per dialogare con la storia, con il mito, con la cultura "alta" senza deporre le sue semplici armi, e senza perdere il gusto dei divertimento e dell'ironia.
A dare spessore alle pagine di Amalia c'è, oltre alla personalità straordinaria della scrittrice, anche l'esperienza straordinaria che le ha favorite: l'esperienza dei corsi "150 ore" per le casalinghe. Leggendo i pensieri di Amalia si può avere un'idea di cosa siano stati - non solo in termini di istruzione ma anche di evasione dai ghetti familiari e di socializzazione - quei corsi per le donne che li hanno frequentati.

Esistono altre testimonianze, scritte o filmate, su quella esperienza. Ma i Pensieri vagabondi sono più di una semplice testimonianza. Non solo per quello che vi è scritto, ma per come è scritto.
Alcune pagine (soprattutto all'inizio) sono bellissime, si leggono con istintiva partecipazione, come i racconti o le poesie ben riuscite, e non si taglierebbe né si aggiungerebbe una virgola, tanto la forma è perfetta nella sua apparente facilità, nella sua felice immediatezza.

Naturalmente, essendo il manoscritto una specie di quaderno di appunti, o un brogliaccio di vita, non sempre la forma è così luminosamente compiuta. Inoltre, la divisione degli argomenti (che segue semplicemente l'ordine temporale di scrittura) è caotica.
Maria Attanasio


Segnaliamo anche la recensione di Elena Urgnani pubblicata sul sito "donnestoria"



Amalia Molinelli
I Pensieri vagabondi di Amalia
pag.120, 5 euro

Il Libro è disponibile presso la sede della Libera Università delle donne di Milano e presso la Libreria delle donne di Milano