Barbara Mapelli, Galateo per donne e uomini.

Marina Piazza



Nei periodi in cui le trasformazioni appaiono accelerare e i timori aumentano, poiché sembrano mancare i tradizionali riferimenti sociali, si sentono minacciate o disorientate le singole soggettività e i segnali comunicativi sembrano confusi, occorre ripercorrere i significati del proprio essere nel mondo, dell’esservi in relazione con altri e altre, per imparare che senso abbia per ognuno il divenire uomo o donna nel contemporaneo. Per imparare che senso abbia, ora, costruire nuove relazioni tra i due sessi.

Così Barbara Mapelli presenta il suo tentativo di trovare non nuove modalità di cortesia formale in un ipotetico galateo aggiornato alla fase che ci troviamo a vivere, ma nuovi modi di essere di donne e uomini che agiscano da grimaldello per una relazione che tragga la sua forza dalla differenza, ben lungi da una inattuale neutralità/asessualità o da una ancora pervicace perentorietà del maschile.

La fase che ci troviamo a vivere viene individuata da Barbara con la parola frattempo –tra un passato di relazioni ineguali tra donne e uomini e un futuro di rappoorti più armonici e felici. Insomma un intermezzo che bisogna colmare non di sospensione e attesa ,ma di azioni e propositi. E di azioni e propositi è intessuto il suo saggio e non a caso alle azioni e propositi lei appone il nome di virtù. Atti di opposizione al già visto, al consueto, al già fatto e al già detto, pensieri e azioni di libertà, atti di rivolta contro gli stereotipi. Non atti unilaterali delle donne, al contrario atti condivisi, tesi all’obiettivo di superare quella lunga estraneità che in questi anni ci ha diviso e contrapposto per far posto all’ospitalità, al riconoscimento di un’alterità che si offre come risorsa che dilata l’esperienza. Senza precludere – per entrambi -il cammino del ritorno a sé, delineando in un certo senso un andirivieni continuo tra vicinanza e distanza, bypassando possibili con-fusioni.

Un percorso necessario, ma nello stesso tempo difficile, un cammino che occorre appunto lastricare di virtù.

La virtù del coraggio e cioè la capacità di “lasciare il proprio riparo e mostrare chi si è, svelando ed esponendo se stessi”, come scrive Hanna Arendt, senza cancellare la consapevolezza del proprio limite, ma correndo i rischi di essere nel mondo, di sentirsi responsabili dei propri comportamenti e atteggiamenti. Per questo, scrive Barbara, è una virtù dell’inizio, solo a partire dal coraggio può avere inizio un percorso di cambiamento. E non è dimostrazione di forza muscolare e a volte irresponsabile, come spesso è declinata al maschile, ma si nutre della sua stessa fragilità. “Farsi forza della propria debolezza”, scrive Carolyne Heilbrun. Non a caso questa capacità è insita più spesso nelle donne, perche le donne sanno quanto la forza apparente possa svelarsi poi in arroganza impotente. Mentre la forza nasce anche dall’assunzione della consapevolezza della dipendenza. Nessuno è autonomo, tutti siamo dipendenti e questa consapevolezza fa trasmutare la fragilità in coraggio, perché non si può vivere senza esporsi al rischio del legame .

Questo ci dice la nostra esperienza, l’esperienza della nostra vita quotidiana se riusciamo a leggerla e se la intessiamo filo per filo con un’altra virtù, quella della perplessità. Un’incertezza che nasce da un continuo ricercare, accettando il rischio e il pericolo, ma sfuggendo alla perentorietà delle norme e delle ingiunzioni. La perplessità, scrive Barbara, può mettere in dialogo le differenze – quelle di genere innanzitutto, per imparare anche le altre - avvalendosi anche di un’altra virtù, quella dell’ironia. Spesso maltrattata in luoghi pubblici e riservata a luoghi privati, anche dalle donne. Che la praticano più come autoironia, piuttosto come understatement, a volte sublime, a volte nocivo per questo trattenersi, al di là del dovuto, dall’alzare la mano, dal farsi vedere e riconoscere oltre che dal farsi vedere. E che invece andrebbe inserita in quel prezioso alone di leggerezza, di cui parla Calvino nelle sue Lezioni americane.

E poi l’attenzione all’ascolto, che è anche rispetto verso la posizione dell’altro, riconoscimento di una difficile ricerca degli uomini di un’identità non ingabbiata negli stereotipi. E la consapevolezza dell’ambivalenza che è in ciascuno e ciascuna di noi, riconosciuta non come “peccato”, ma come virtù indispensabile alla nostra esistenza che abita più mondi. E ancora il rispetto, la distanza che nasce dalla misura, dal “prendere le misure” della vicinanza/lontananza dall’altro.

E’ un buon elenco quello che fa Barbara nel suo libro. Accompagnato da uno sforzo continuo di superare le asprezze, le ruvidezze, in un costante anelito di individuare quegli spiragli da cui possa passare una relazione nuova tra donne e uomini. Ma per poter accedere a questa nuova qualità della relazione, credo sia ancora necessario vedere limpidamente e con coraggio appunto dove noi – donne e uomini di buona volontà – siamo posizionati, interrogarsi anche su quale sia la relazione tra il posto delle donne nella nostra società e la massa di pregiudizi, luoghi comuni, stereotipi, immagini dei media, dichiarazioni di sfiducia preventiva con cui le donne stesse si devono quotidianamente confrontare, insomma su quale sia la natura di quel “frattempo” in cui abitiamo e che Barbara evoca. Che, ben lungi dall’essere una cornice armoniosa, è infarcito di stereotipi, dispositivi che bypassano la complessità del mondo e della società in cui viviamo al fine di rassicurarci e in realtà imprigionano. Sono doppiamente ingannatori: non solo gestiscono il traffico della classificazione del mondo, ma lo deformano e lo gerarchizzano. Ma, poiché pescano brandelli di realtà sono anche più mobili, più fluttuanti, fanno parte dei codici culturali di una fase storica. Mi verrebbe da impiegare un ossimoro: sono rigidamente fluttuanti.

Allora è sensato porci la domanda: a che punto siamo oggi con il declinare di vecchi pregiudizi/stereotipi e con il rafforzarsi e l’imporsi di nuovi pregiudizi e stereotipi? Quali sono le alterazioni ambientali che modificano anche l’espressione degli stereotipi ? Quali sono in estinzione e quali sono gli emergenti? Oppure sono come camaleonti, si confondono con l’ambiente circostante e si rendono invisibili per sopravvivere meglio, al di là delle trasformazioni oggettive e soggettive che coinvolgono donne e uomini?

Nell’Italia del 2014, quello che almeno si può affermare senza possibilità di smentita è che la cifra di analisi non può essere che la complessità dei comportamenti e delle posizioni. Donne che sono entrate nella vita pubblica (nella politica, nei CDA delle aziende e delle municipalizzate) senza eccessivo scandalo, ma anche giovani donne che faticosamente cercano di non essere sommerse dalla precarietà del lavoro e del reddito; donne in carriera con mariti facilitanti e figli e donne mobbizzate e respinte dal mercato del lavoro per il solo fatto di diventare madri; scolarizzazione di eccellenza che viene ignorata quando si tratta di decidere un’assunzione; affermazione pubblica dell’impossibilità per un paese di non valorizzare la presenza delle donne nel mercato del lavoro e nell’organizzazione sociale pena il fallimento di questo stesso paese e contemporaneamente la mancanza di qualsiasi misura concreta per arrivare a questo obbiettivo; pubblicità e Tv che umiliano le donne.

E anche per quanto riguarda gli uomini, abbandono, per la trasformazione stessa del mercato e dell’organizzazione del lavoro della concezione di un corso di vita basato sul lavoro e contemporaneamente sottolineatura insistita del valore della competizione, della decisionalità, della ambizione; emergere della figura dell’uomo che si occupa dei figli perché ne ha desiderio o che condivide il lavoro famigliare non perché “aiuta” ma perché lo ritiene sensato e contemporaneamente ostilità e crudeltà verso gli uomini che chiedono il congedo parentale.

In questa rappresentazione contradditoria e complessa, dove si posizionano e come agiscono gli stereotipi?

Vorrei fare un esempio, riferendomi alla recente campagna contro gli stereotipi di genere condotta da Pubblicità Progresso. Idea base della campagna era quella di posizionare vari cartelli per due giorni in diverse città alle fermate dei tram, raffiguranti diverse facce di donne, giovani, curate, di bell’aspetto con un fumetto che usciva dalla bocca: quando torno a casa vorrei ….,quello che chiedo alle istituzioni….,dopo gli studi mi piacerebbe….al lavoro vorrei…L’aspettativa era che le donne finissero le frasi.La realtà è andata in altro modo: sono stati gli uomini(filmati) a completare le frasi in questo modo: quando torno a casa vorrei che mio marito mi menasse, quello che chiedo alle istituzioni è un ferro da stiro, oppure un vibratore, dopo gli studi mi piacerebbe farmi mantenere, al lavoro vorrei stare sotto la scrivania, ecc. ecc.

Quello che vorrei sottolineare a partire da questo esempio è che l’intenzione di agire sugli stereotipi e di rovesciarli ha dato adito a una sorta di rabbia collettiva e di attacco compulsivo alla nuova presenza delle donne nella società, degenerando in forme di violento sessismo. Forse queste manifestazioni di ostilità sono soprassalti residuali del passato, espressione di una resistenza al cambiamento, che tuttavia non mi sentirei di sottovalutare come cornice sociale in cui si colloca la marcia di avvicinamento vero di donne e uomini.

Si potrebbero fare molti altri esempi, ma quello che mi sembra importante di fronte agli stereotipi vecchi e nuovi è la postura che si adotta. E cioè il riconoscimento della complessità dell’oggi, che non si lascia riassumere nella scorciatoia delle semplificazioni e delle generalizzazioni, che punta allo spiazzamento continuo come gioco dell’intelligenza, come risposta inevitabile alla inevitabile complessità del moderno, come valorizzazione delle differenze, rischiando anche il conflitto. Le differenze non vanno abolite, ma valorizzate, messe in relazione senza pretendere di dissolverle in una falsa omogeneità. Ma per arrivarci, è necessario un duro lavoro: quello di disordinare i codici, di interrogare gli stereotipi fino alla sfinimento, di disfarli, a cominciare dalla prima infanzia. E questo lavoro non è superato, siamo soltanto all’inizio.

E forse, pur partendo da angolature diverse, Barbara e io siamo arrivate alle stesse conclusioni.


Barbara Mapelli, Galateo per donne e uomini. Nuove adultità nel contemporaneo,
Mimesis edizioni, euro 18, 199 pagine


2-01-2015

 

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