Il lavoro domestico e di cura non pagato, una sfida politica e teorica sempre più attuale Antonella Picchio
La questione del lavoro non pagato domestico e di cura svolto in ambito familiare, soprattutto dalle donne, è attualmente oggetto di rilevazioni statistiche sofisticate (ISTAT) e di analisi economiche esterne all’economia strettamente femminista (Rapporto Stiglitz, Sen, Fitoussi), mentre in ambito femminista sta circolando un documento della Libreria delle donne di Milano che pone la questione dell’intreccio tra lavoro pagato e lavoro di cura in un contesto politico di libertà femminile. In questa fase mi sembra giunto il momento di riprendere la radicalità femminista di un vecchio dibattito sul lavoro domestico aperto in Italia nel 1971 dai gruppi di Lotta Femminista e dal libro di Mariarosa Dalla Costa, “Potere femminile e sovversione sociale”. Non si tratta di voler tornare al passato, ma di riprendere un percorso di analisi e di iniziativa politica che da allora si è perso in molti rivoli. Il lavoro di riproduzione sociale non pagato, costituisce un terreno normalmente essenziale per la sostenibilità dei sistemi capitalistici e cruciale nella crisi attuale nella quale l’attacco alle condizioni e al senso del vivere di donne e uomini reali è drammatico e tra le cause principali della crisi. Il femminismo consente di assumere una prospettiva di analisi basata sull’esperienza delle donne particolarmente adeguata a cogliere i processi reali e le sue tensioni, deve tuttavia individuare anche connessioni più ampie e praticare una politica generale capace di attraversare la realtà anche nei suoi processi strutturali e sistemici: produzione di merci, distribuzione del reddito, mercato del lavoro salariato, welfare, globalizzazione. 2-03-2010
|