La violenza degli uomini e l'habeas corpus delle donne

di Tamar Pitch


Silvia Levenson, Cenerentola
 


La violenza contro le donne è un problema degli uomini, e del maschile. Intendo dire che essa deve essere letta e indagata all'interno dei rapporti che gli uomini hanno con le donne: tutti gli uomini, giacché questa non è una violenza episodica o eccezionale, né patologica nel senso di essere agita da uomini con problemi psicologici o sociali, ma in qualche modo, invece, normale e anzi strutturale. Essa è insieme risultato e sintomo di culture e mentalità, profondamente radicate sia nel senso comune che nelle istituzioni che il senso comune incorporano, sostengono e contribuiscono a produrre. Culture e mentalità che in modi diversi e intensità diverse troviamo ovunque nel mondo.

La violenza contro le donne, insomma, non è patrimonio solo né soprattutto di società dove il dominio degli uomini sulle donne è ancora pienamente legittimato anche sul piano giuridico: società spesso viste come «arretrate» o addirittura «barbare». Né, in Italia, essa è agita soltanto o prevalentemente da sconosciuti scuri di pelle. Essa viceversa permea di sé anche le società, come la nostra, dove donne e uomini hanno raggiunto la parità nella titolarità dei diritti. La violenza contro le donne è familiare, in tutti i sensi di questa parola.

La violenza intesa come stupro, omicidio, maltrattamento fisico non è separabile da altre forme di violenza e discriminazione, psicologica, culturale, sociale, politica, che certo sono assai diffuse anche in Italia. Né può essere disgiunta da una questione cruciale: il non riconoscimento pieno della libera soggettività delle donne, questione che non è soltanto culturale, ma anche giuridica. Questo riconoscimento non c'è senza riconoscere alle donne la piena responsabilità in ordine al loro corpo, pervicacemente negata invece da leggi come la legge 40 sulla procreazione assistita. Alle donne, insomma, tutte le donne, viene ancora negata la garanzia elementare dell'habeas corpus.

La violenza contro le donne, in quanto violazione dei diritti umani della metà della popolazione di un paese, è questione fondamentale per una democrazia e uno stato di diritto. Non dunque semplice, per così dire, problema sociale, per quanto essa non abbia raggiunto in Italia neppure questo statuto, ma questione dirimente di civiltà sociale, politica, giuridica. Essa nega in radice la libertà delle donne, in primo luogo la libertà di dire da sé chi si è e chi si vuole essere. La limitazione e compressione della libertà di metà della popolazione di un paese, per non parlare del suo diritto alla vita e alla salute, dovrebbe mettere in luce quanto debole e limitato sia ciò che chiamiamo democrazia e stato di diritto. Una democrazia e uno stato di diritto che si fondano sulla separazione tra pubblico e privato, e rendono dunque invisibile e più o meno legittimo ciò che avviene dentro le cosiddette «sicure» mura di casa.

Le libertà conquistate dalle donne in Italia negli ultimi trenta, quaranta anni hanno dato luogo a un immaginario maschile in cui sembrano riproporsi antichi miti e antiche paure di un femminile onnipotente e minaccioso, pericoloso per l'ordine sociale e finanche per quello cosiddetto «naturale», cui è dunque necessario contrapporre norma e tradizione, ossia il «maschile» tradizionalmente inteso. E' un maschile, tuttavia, in gran parte ormai ampiamente delegittimato, senza che un maschile nuovo sia venuto alla luce. In un contesto di questo genere, la violenza fisica è diventata per molti uomini l'unica risorsa per tentare una affermazione di sé.

Allora, le leggi non bastano, soprattutto quelle penali. E tuttavia l e leggi sono necessarie, se non altro per il loro significato simbolico. Potremo imparare, in questo senso, dalla ley integral spagnola, dove la questione della violenza sulle donne è esplicitamente definita come una questione di fondo per la democrazia e lo stato di diritto, e dove al centro non c'è la vittimizzazione, ma la tutela dei diritti delle donne, della loro libertà.

Dovremo però leggerla nel contesto più vasto di cui è parte, quell'insieme di leggi e misure che riconoscono e dunque legittimano sul piano simbolico e culturale la libertà delle donne, il loro statuto di soggetti pieni, l'integrità e inviolabilità del loro corpo, di cui è momento fondamentale e dirimente il riconoscimento della loro piena e unica volontà in ordine alla procreazione.

Di questo contesto fa parte anche la politica istituzionale, che oggi vede in Spagna tante ministre quanti ministri. Ciò che intendo dire è che una legge specifica contro la violenza sulle donne, in cui sono contenuti non solo e non soprattutto misure penali, ma invece misure e dispositivi giurisdizionali, economici, sociali, culturali, educativi come appunto fa la ley integral, benché augurabile, poco potrà fare se non si pone mano ad un radicale mutamento istituzionale e un ancor più radicale mutamento nella cultura e negli atteggiamenti degli uomini.

I e le rappresentanti nelle istituzioni hanno dal canto loro in primo luogo la responsabilità e il dovere di cancellare o mutare leggi che rifiutano alle donne, oltre al diritto alla salute, anche e soprattutto l'habeas corpus, alla faccia dell'eguaglianza formale e sostanziale con gli uomini, in ragione del non riconoscimento della loro piena libertà di scelta in ordine alla procreazione.
 

 questo articolo è apparso su il manifesto del 25 novembre 2006