Dell'infinita plasmabilità di corpi e desideri…..

di Luciana Percovich


Laurie Anderson

 


Tre sono gli aspetti sollevati dalla legge sulle PMA che mi stanno particolarmente a cuore: la sproporzione tra lo sviluppo tecnologico e la coscienza condivisa sulle implicazioni delle sue applicazioni, l'inadeguatezza di questa coscienza/conoscenza, degli scienziati e dei tecnici come delle-gli utenti e l'incommensurabilità che la maggior parte delle donne continua a sentire tra esperienza soggettiva e discorso scientifico, tra il proprio mondo privato e la scienza.

Mi fa problema dunque innanzitutto la sproporzione tra le capacità manipolatorie tecnologiche portate proprio al cuore della sostanza del vivente e l'inadeguatezza della coscienza, la leggerezza e lo spirito "pionieristico" che accomuna ricercatori, venditori di tecnologie e utenti. (Frontali- Zucco 2004) Per questo sono convinta della necessità di porre dei confini, dei limiti al loro utilizzo e sento contemporaneamente la necessità di un "supplemento d'analisi", verso un salto di conoscenza e di coscienza. Per prendere tempo, per avere il tempo di fermarsi a riflettere su possibilità che prima non erano date e ora si presentano già confezionate e pronte per l'uso. Solo a poterle comprare.

Sulle tecnologie che vanno al cuore della sostanza del vivente, la dispensa del corso Al limite del corpo, del 1997, rimane a tutt'oggi una riflessione attuale, articolata, pacata e allargata agli aspetti psicologici, sociali e politici che la Procreazione Medicalmente Assistita si porta dietro. Quanto al dibattito più in generale su Donne e Scienza degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, voglio ricordare solo un punto fermo acquisito in quegli anni grazie alle ricerche del femminismo, provocate dalle pratiche dei gruppi di self help e per la salute delle donne, sulle origini della Scienza Moderna.
Nata in Europa tra il Cinquecento e il Seicento, essa era ed è un progetto maschile (il temporis partus masculus di Bacone) che "condensa il duplice impulso ad appropriarsi del materno (sostituire la capacità di generare la vita attraverso processi artificiali elaborati per via la tecnologica) e a reprimerlo (ridurlo a puro principio passivo oggetto di manipolazioni)" (E.Fox Keller, 1985), ed emerge come nuovo ordine economico e scientifico insieme (C. Merchant, 1980). Nel suo centro ideologico troviamo i concetti di passività e controllo, da applicare sia nella sfera della produzione che della riproduzione, concetti che allora emergevano nella forma galvanizzante di un Progetto, ora li sperimentiamo nella loro forma già parzialmente realizzata di Consumo pianificato ma presentato come Domanda di Mercato.

Ed è per questo che il secondo fattore, l'inadeguatezza della coscienza/conoscenza, degli scienziati e dei tecnici come delle-gli utenti, dopo 4 o 5 secoli di sviluppo tecnologico quasi esclusivamente in mano maschile, fa ancora più problema, anzi mi incute sgomento. In particolare mi sta a cuore la coscienza delle donne, passata dal bisogno/desiderio di vincere la fecondità, diventata debordante nel lungo periodo di assoggettamento all'uomo, al desiderio/bisogno di vincere un'infertilità repentinamente diffusa. E se il controllo della fertilità ha comportato nel recente passato uno sviluppo di strategie difensive e di crescita del senso di sé, di autonomia di giudizio e di assunzione di responsabilità, la "cura" della sterilità significa riconsegnare i corpi a tecnologie esterne a sé e al proprio controllo. Quasi a rinnovare una plasmabilità - per un attimo sospesa - dei corpi/menti femminili al desiderio (?) dell'uomo.
Che dire infatti dell'infinita disposizione delle donne a lasciar manipolare i loro corpi? Dalle mutilazioni genitali all'accettazione del forcipe, dalle infibulazioni ai parti pilotati dalle agende dei ginecologi, dagli aborti clandestini e cruenti all'inseminazione meccanica…. Tutto senza limiti.
Forse non basta invocare semplicemente la forza brutale del dominio e la "mobilità" del desiderio femminile.
Sembra quasi di trovarsi di fronte a un meccanismo assai più profondo e indicibile, come di un senso di colpa legato al potere di dare la vita, che ciascuna si è trovata nel corpo. Senza che ci fosse, che ci sia, una elaborazione culturale e sociale che aiutasse e aiuti ad accogliere, condividendola e imparando a governarla, questa potenza. Quale l'origine di questo senso di colpa? Un'origine interna, ontologica, collegata alla natura stessa dei corpi, alla disparità del venire al mondo, maschi e femmine, solo da un corpo di donna ? E/o che peso hanno avuto mille anni e più di espropriazioni, roghi, stupri, manipolazioni psicologiche e fisiche?

Arrivo così al terzo aspetto, quello dell'incommensurabilità tra esperienza privata e il resto del mondo. Questa incommensurabilità non so nemmeno come interrogarla, perché è opposta al mio sentire, alla consapevolezza che ho costruito dentro di me nel tempo che ogni mio gesto, anche il più piccolo, contribuisce a spostare il futuro in una piuttosto che in un'altra direzione.
Mi pare oggi più che mai che molte donne restino bloccate sul grumo di mistero racchiuso nel loro corpo, grumo che perversamente le ha nutrite in passato come un godimento segreto che ha dato a tante la forza di sopravvivere a mutilazioni e degradazioni, accettando in cambio solo la speranza in una potenza - sterile, quella di dare la vita in un mondo che remunera solo chi dà la morte.
Le donne cioè oggi mi sembra che si siano lasciate scivolare addosso senza nulla trattenere le esperienze nate dalle pratiche sperimentate dalle "femministe" di riappropriazione dei propri corpi uniti alle menti, e tutti i dibattiti sulla scienza e sul limite elaborati negli ultimi trent'anni da una minoranza appassionata che tuttavia, evidentemente, non ha saputo parlare capillarmente a ciascuna. E ora come sempre tante donne prendono per buoni, usano e fanno propri nei loro corpi i semplici cascami di un'impresa scientifica diventata Impresa Globale addetta alla Manipolazione a scopo di lucro dei semi delle piante e dei gameti umani, per cancellare "le imperfezioni della natura che sbaglia" (V. Shiva) e sostituirle con la linearità e la regolarità della catena di produzione artificiale e "necrotecnologica" (M. Daly), che produce "semi geneticamente modificati" non in grado di riprodursi.


Uno sproposito sentirsi rovesciare addosso tutta questa farneticazione per chi semplicemente vorrebbe tanto avere un figlio ma non ci sta riuscendo (da quanto tempo? dopo quali trattamenti ormonali? a che età? in che condizioni di vita e di stress? dove? ecc. ecc.)?
Ma questo desiderio dove inciampa? Da quale nuova singolare miopia sono colpite le donne proprio mentre sembravano acquistare forza e fiducia in sé? Oppure, se non è così, dove sono le loro proteste? Che stanchezza di "mettere al mondo il mondo" si è insinuata tra le tante che arrestano lo sguardo sulla soglia di casa e scacciano via la voglia di interrogarsi su cosa genera desideri e sterilità, malanni e cure? Non esistono desideri innocenti, isolati dal resto del mondo. Chi lo pensa corre lo stesso rischio di scambiare una "missione di guerra" con un viaggio organizzato, da cui tornare a casa con le foto ricordo e dire c'ero anch'io, anch'io sono riuscita a fare shopping, anch'io ho la mia carrozzina da spingere nel parco……

E' ancora lontana l'uscita da questo nuovo tunnel? A quando la ripresa in carico dello sguardo sul futuro, della responsabilità e del controllo sui figli e le figlie ancora "nati di donna"?