LETTERA APERTA DI UN
GRUPPO DI GIURISTE
SULLA
LEGGE PER LA PROCREAZIONE ASSISTITA
Frida Kahlo
Accade.
Dopo le battaglie laiche di un passato non lontano, il femminismo, l'acquisizione
di una diffusa consapevolezza sul diritto all'autodeterminazione dei singoli
individui in materia di vita e salute, sta per essere definitivamente
approvata da un Parlamento costituito per più del novanta per cento
da uomini una legge che, violando i principi di laicità dello Stato,
offende donne e uomini, negandone il diritto a scelte fondamentali della
vita e calpestandone il diritto alla salute, la loro e quella dei loro
figli.
Nel testo di legge, costruito sulla discutibile alternativa tra libertà
e divieto, la pretesa di dettare una morale di Stato si fa regola, ignorando
così la specificità della relazione di maternità
e la pluralità dei modelli genitoriali e familiari. E incongruenze
e insensatezze, in un susseguirsi di divieti segnato da seri interrogativi
di costituzionalità, disciplinano l'accesso alle tecniche di riproduzione
e le loro modalità.
Ci preoccupa anzitutto enormemente l'affermazione contenuta all'articolo
1, laddove la legge dichiara di assicurare, nell'applicazione delle tecniche
di procreazione medicalmente assistita, "..i diritti di tutti i soggetti
coinvolti, compreso il concepito...", così ponendosi in radicale
contrasto con i principi generali del nostro ordinamento che individuano
nella nascita la condizione indispensabile per l'accesso ai diritti.
La grossolana semplificazione con la quale si attribuisce al concepito
la qualità di soggetto portatore di diritti stravolge il senso
e la realtà della inscindibile relazione tra madre e concepito:
si prefigura per norma la possibile contrapposizione tra i diritti dell'una
e i supposti diritti dell'altro e si risolve il conflitto a favore dell'embrione,
ignorando che nel bilanciamento dei valori in gioco, secondo la Corte
Costituzionale "...non esiste equivalenza fra il diritto non solo
alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona,
come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora
diventare...". E' proprio questo il diverso bilanciamento di
valori determinato dal legislatore nella legge n. 194 del 1978 sull'interruzione
volontaria di gravidanza, ritenuta, sempre dai giudici costituzionali,
legge "a contenuto costituzionalmente vincolato" e oggetto per
questo, neppure tanto velato, del prossimo attacco dello schieramento
che ha prodotto questa legge sulla procreazione assistita. Non è
fantasioso prevedere effetti dirompenti della nuova soggettività
dell'embrione oltre il recinto della procreazione assistita, sulla disciplina
dell'interruzione di gravidanza.
Il pericoloso
messaggio di tale riduzione della soggettività alla biologia apre
la strada a conseguenze irragionevoli e perverse sul piano giuridico,
oltre che simbolico. Esse diventano chiare come la luce nel divieto di
revoca del consenso della donna dopo la fecondazione dell'ovulo, con conseguente
impianto dell'embrione, anche se malato. E' possibile che il legislatore
abbia qui impartito un tipico "ordine impossibile": secondo
l'articolo 32 della Costituzione, 2° comma, nessuno può essere
obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge, ma nessuna legge può violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana. E' del tutto evidente che questa legge lo fa e non
riusciamo ad immaginare che esistano un giudice e un medico disposti a
darle applicazione. E, tuttavia, il semplice fatto di avere formulato
un tale ordine rivela in modo inequivocabile quale sia la concezione del
corpo e della libertà femminile di questo legislatore.
Al divieto
di distruzione e di crioconservazione degli embrioni, stabilito nella
logica di prevenirne una utilizzazione diversa dall'impianto, si collegano
nella stessa legge, oltre al divieto di revoca del consenso all'impianto:
- Il divieto di produzione di un numero di embrioni superiore a tre e
l'obbligo dell'unico contemporaneo impianto. Per ragioni diverse da quelle
sanitarie, si adotta sulla donna una pratica che ha minori probabilità
di successo e le si impone un trattamento sanitario non adeguato alle
migliori possibilità di cui la scienza dispone: il diritto costituzionale
alla salute della donna è sacrificato per la preoccupazione di
non dare vita a embrioni che non possano essere impiantati;
- Il divieto di accesso alla fecondazione assistita alle coppie non sterili,
ma portatrici di patologie genetiche trasmissibili al concepito. La diagnosi
preimpianto (metodica che utilizza la procedura della fecondazione in
vitro), vietata espressamente dalla legge, non sarebbe utilizzabile per
la preventiva selezione di embrioni sani da trasferire in utero. L'esclusione
della coppia non sterile, portatrice di patologie, si pone in contrasto
con gli articoli 3 e 32 della costituzione, perché impedisce l'accesso
ad un trattamento sanitario ad una categoria di persone sulla base esclusivamente
della loro condizione personale di fertilità.
Un'altra
sorprendente espressione del "modello unico" di morale confezionato
dal legislatore è il divieto di accesso alla fecondazione eterologa
che, soli in Europa, vieteremo.
Non ci convince l'unico argomento della "
esigenza di garantire
al bambino diritti anche di natura sociale e psicologica
" (relazione
presentata dalla Commissione Affari Sociali alla Presidenza della Camera
dei deputati il 26 marzo 2003). Sappiamo, infatti, che la condivisa necessità
di garantire al nato uno status incontrovertibile troverebbe adeguata
risposta nella disciplina dei rapporti tra il nato ed il padre "sociale",
vietando il disconoscimento della paternità successivamente al
consenso dato dal partner maschile. E sappiamo anche che esistono soddisfacenti
soluzioni, previste in altri paesi, per il bilanciamento tra il diritto
all'anonimato del donatore del seme ed il diritto del nato a conoscere
la propria identità genetica.
Il divieto ci pare piuttosto ispirato dall'intento di legittimare un'unica
tradizionale forma di famiglia, fondata su legami biologici, negando così
valore ad un diverso modello di coesione familiare fondato sull'assunzione
di responsabilità.
Il "no" alla fecondazione eterologa, penalizzando pesantemente
la coppia in cui uno dei partner sia sterile o portatore di malattia certamente
trasmissibile, contrasta con i principi fondamentali posti dagli articoli
2 e 3 della Costituzione perché comporta discriminazione tra coppie,
in relazione alla gravità dei problemi riproduttivi, e perché
costringe il partner non sterile a rinunciare alla maternità o
alla paternità biologica.
Parimenti discutibili, anche alla luce dello sviluppo del diritto comunitario,
nonché dell'esperienza giuridica comparata, sono il divieto di
accesso per le persone singole e quello per le coppie omosessuali. Così
pure il divieto per le coppie nelle quali uno dei partner non sia vivente,
ma abbia dato il consenso prima di morire. Anche se tali limitazioni venissero
fatte nell'esclusivo interesse del nascituro, al quale dovrebbe essere
garantita una famiglia " tradizionale", esse sollevano la questione,
non risolvibile sulla base di divieti, di cosa sia la famiglia oggi, e
di cosa essa offra davvero ai figli.
Come donne
e come giuriste,
- siamo consapevoli della indicibilità, sul piano giuridico, della
relazione tra l'embrione - sia fecondato naturalmente che artificialmente
- e la madre, nel cui grembo, comunque, anche l'embrione fecondato in
vitro deve ritornare, e riteniamo insensata e profondamente ingiusta una
normativa che a questa unica, speciale relazione sostituisca il conflitto;
- sappiamo che la definizione di regole attorno alla procreazione non
può prescindere dalla condivisione: l'esperienza degli anni in
cui l'aborto era reato dimostra che se la regola posta dallo stato non
corrisponde alla speciale competenza femminile, quella regola sarà
disattesa;
- siamo convinte che una regolamentazione rigidamente prescrittiva in
questa materia, non solo sacrifichi diritti fondamentali, ma impedisca
anche riflessione e crescita, individuale e collettiva, da cui soltanto
può generarsi la necessaria coscienza del limite nella utilizzazione
delle innovazioni scientifiche e tecnologiche.
Perciò ancora speriamo in un ripensamento di quanti su quel testo
di legge sono, a giorni, chiamati a pronunciarsi. E, comunque, nell'attenta
valutazione di ogni profilo di costituzionalità all'atto della
sua promulgazione e successivamente ad essa. In ogni caso, non smetteremo
di impegnarci per il principio della laicità dello Stato e per
l'affermazione dei fondamentali diritti all'autodeterminazione e alla
salute di donne e uomini.
Le firmatarie:
Cristina Alessi, Università di Brescia ; Rosalba Alessi, Università
di Palermo; Cristina Amato, Università di Brescia; Caterina Ambrosino,
Tribunale di Milano; Silvia Banfi, avvocatessa in Milano; Gianna Baldoni,
avvocatessa in Roma; Elisabetta Bani, Università di Pisa; Marzia
Barbera, Università di Brescia; Giuseppina Luciana Barreca, Tribunale
di Reggio Calabria; Maria Caterina Baruffi, Università di Verona;
Alessandra Bassi, Tribunale di Milano; Donatella Belloni, avvocatessa
in Roma; Tatiana Biagioni, avvocatessa in Milano; Manuela Bonardi, avvocatessa
in Monza; Olivia Bonardi, Università di Milano; Barbara Borin,
avvocatessa in Vicenza; Nerina Boschiero, Università di Milano;
Angela Bossone, praticante in Bologna; Giuditta Brunelli, Università
di Ferrara; Silvia Buzzelli, Università di Pavia; Mirella Caffaratti,
avvocatessa in Torino; Laura Calafà, Università di Verona;
Elisabetta Canevini, Tribunale di Milano; Eva Cantarella, Università
di Milano; Maria Rosaria Canzano, avvocatessa in Milano; Antonella Carbone,
avvocatessa in Milano; Sandra Casacci, Tribunale di Torino; Valentina
Castellino, avvocatessa in Torino; Alba Chiavassa, Tribunale di Milano;
Mariacristina Cimaglia, Università di Roma; Patrizia Comite, avvocatessa
in Milano; Maria Grazia Coppetta, Università di Urbino; Cristina
Costantini, avvocatessa in Torino; Laura Curcio, Corte d'Appello di Milano;
Marilisa D'Amico, Università dell'Insubria; Barbara De Benedetti,
avvocatessa in Milano; Eugenia Del Balzo, Tribunale di Milano; Erika Della
Pietà; Alessandra De Curtis, Tribunale di Venezia; Maria Luisa
De Margheriti, Università di Pavia; Giovanna Fantini, avvocatessa
in Milano; Gilda Ferrando, Università di Genova; Paola Ferrari,
avvocatessa in Cernusco sul Naviglio; Clotilde Fierro , Corte d'Appello
di Torino; Nicoletta Gandus, Tribunale di Milano; Simonetta Gatti, avvocatessa
in Brescia; GIUdIT, Associazione Giuriste d'Italia; Donata Gottardi, Università
di Verona; Bibiana Granata, avvocatessa in Pavia; Luciana Guaglianone,
Università di Pavia; Fausta Guarriello, Università di Chieti
; Laura Hoesch, avvocatessa in Milano; Giovanna Ichino, Corte d'Appello
di Milano; Bianca La Monica, Tribunale di Milano; Delia La Rocca, Università
di Urbino; Nicoletta Lazzarini, Università di Milano Bicocca; Lara
Lazzeroni, Università di Siena; Gabriella Leone, Università
di Bari; Anna Leoni, Consiglio di Stato; Francesca Limena, Università
di Padova; Angela Loaldi, avvocatessa in Milano; Paola Lovati, avvocatessa
in Milano; Marina Lucidi, avvocatessa in Roma; Franca Macchia, Procura
di Monza; Francesca Malzani, Università di Brescia; Daniela Manassero,
avvocatessa in Milano; Maria Rosaria Marella, Università di Perugina;
Manuela Massenz, Tribunale di Milano; Maria Rosaria Maugeri, Università
di Catania; Marisa Meli, Università di Catania; Lucia Mella, avvocatessa
in Milano; Elena Merlin, Università di Milano; Mariagrazia Monegat,
avvocatessa in Milano; Nyranne Moshi, avvocatessa in Milano; Milena Mottalini,
avvocatessa in Milano; Angela Musumeci, Università di Teramo; Maura
Nardin, Tribunale di Sassari; Roberta Nunin, Università di Trieste;
Claudia Ogriseg, Università di Milano; Giuseppa Palmeri, Università
di Palermo; Tiziana Paolillo, Tribunale di Tortona; Silvia Pastorelli,
avvocatessa in Brescia; Sara Pedersoli, avvocatessa in Brescia; Chiara
Perini, Università di Milano; Anna Perosino, avvocatessa in Milano;
Valeria Pezzoni, praticante in Brescia; Barbara Pezzini, Università
di Bergamo; Giuseppina Pisciotta , avvocatessa in Palermo; Elena Riva
Crugnola, Corte d'Appello di Milano; Bruna Rizzardi Tribunale di Milano;
Claudia Romani, avvocatessa in Bologna; Laura Ronchetti, CNR; Caterina
Rucci, avvocatessa in Milano; Claudia Ruperto, avvocatessa in Perugina;
Rita Sanlorenzo, Tribunale di Torino; Arianna Sbano, Tribunale di Pesaro;
Maria Luisa Serrano, Università di Lecce; Stefania Scarponi, Università
di Trento; Patrizia Sordellini, avvocatessa in Milano; Francesca Torelli,
Università di Venezia;Amelia Torrice, Corte d'Appello di Roma;
Anna Maria Tosto, Corte d' Appello di Bari; Silvia Tozzoli, Università
di Pavia; Lina Trovato, Corte d'Appello di Catania; Maria Luisa Vallauri,
Università di Firenze; Maria Carmela Venuti, Università
di Palermo; Tiziana Vettor, Università di Milano Bicocca; Alida
Vitale, avvocatessa in Torino; Loredana Zappalà, Università
di Catania; Francesca Zucchelli, avvocatessa in Monza.
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