Indicibile
alla legge
Brevi note al documento/appello di un gruppo di giuriste contro la legge
sulla procreazione medicalmente assistita
di
Tiziana Vettor
Maria Morganti
Molte contrarie
autorevoli opinioni hanno accompagnato l'iter parlamentare di approvazione
della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Ad esempio quelle
espresse nell'appello di un numero rilevante di giuriste (accademiche,
giudici, avvocate) - me inclusa - e interamente pubblicato da l'Unità
il 10 febbraio scorso.
Proprio di questo appello vorrei parlare. Per tutto quello che di importante
in esso si dice, ben oltre il piano dell'analisi giuridica, che pure contiene,
in funzione di critica alla legge.
Perno della
riflessione contenuta nel documento (almeno per come io l'ho inteso, avendolo
solo sottoscritto e non redatto) è che in merito a scelte che attengono
il corpo, la sessualità dei singoli e delle singole, sia da escludere
un intervento statuale. Il documento, in proposito, parla di una 'indicibilità
sul piano giuridico' e, in particolare, di una indicibilità sul
piano della speciale relazione tra l'embrione e la madre, nel cui grembo,
anche l'embrione fecondato artificialmente, deve comunque tornare. La
legge sulla procreazione medicalmente assistita è, infatti, fortemente
criticabile non solo per alcuni particolari contenuti - ad esempio, perché
vieta la fecondazione eterologa - ma anche perché essa vuole disporre
di una sfera ritenuta intangibile alla legge. Con ciò intendo dire
che - stando ancora all'esempio fatto - anche un provvedimento legislativo
meno restrittivo, meno conformista in merito ai modelli genitoriali non
sarebbe valso a garantire la libertà dei soggetti. La libertà
non è un diritto, ne tanto meno è progressiva. Per questo
credo il legislatore avrebbe fatto meglio, semmai, a realizzare un intervento
rivolto ai soli profili sanitari in funzione di un sostegno alla maternità.
Ad un approccio,
in punto di regolamentazione, leggero o mite sui temi dei quali stiamo
discutendo, il legislatore ha, invece, preferito una legislazione basata
su un sistema di complessi e, ciò che è peggio, illegittimi,
già sul piano costituzionale, divieti.
Perché questo è accaduto? Perché il legislatore ha
potuto disconoscere così elementari principi e diritti, ad esempio
quello - come viene giustamente ricordato dalle giuriste - all'autodeterminazione
di donne e uomini in materia di vita, approvando una legge da molti e
molte definita "orribile"?
Il documento,
come già in altre sedi e da altre è stato detto, individua
una precisa responsabilità da parte maschile laddove esso richiama,
nell'incipit, la composizione numerica del Parlamento, che, come si sa,
risulta formato da un'esigua minoranza di donne. Essa quindi rifletterebbe
un conflitto tra i sessi tutto giocato nel tentativo di una riaffermazione
da parte maschile di un controllo sulla sessualità e sulla procreazione.
Controllo che è evidentemente sfuggito agli uomini. Questa legge,
sembrerebbe, in altri termini, espressione di quello che le femministe
americane chiamerebbero backlash (contrattacco degli uomini, in questo
caso, alla legittimazione che le donne si sono date di tenere disgiunte
sessualità e procreazione).
A fianco a questa spiegazione ve ne sono però altre e, innanzitutto
quella che vede in questa nuova legge uno specchio - si potrebbe dire
- di una "mania legislativa": lo specchio dell'affermazione
del principio del primato della legge quale strumento necessario alla
mediazione sociale degli interessi contrapposti. Questo è un aspetto
del problema che, tuttavia, non coinvolge solo gli uomini. Ed, infatti,
per alcune donne, in particolare quelle che fanno politica nei luoghi
istituzionali (non solo, quindi, in Parlamento, ma nei partiti, nel sindacato,
etc.), la legge assume il valore di un irrinunciabile dispositivo simbolico.
Così si spiega il perché questa legge è stata votata
(anche) da alcune donne, nonché si spiega il perché, sempre
per iniziativa di alcune donne, nel precedente governo di centro sinistra,
si voleva porre mano ad una regolamentazione sul tema della procreazione
assistita. L'approvazione di questa legge sembrerebbe allora far supporre
che per il nostro Parlamento il movimento delle donne, il femminismo,
non sia mai esistito o che di esso, in chi è venuto dopo, non vi
sia più traccia. E, invece, c'è stato, e quello che è
più rilevante, è che esso ha impresso nella società
- non solo italiana - svolte e cambiamenti rilevantissimi e irreversibili,
coinvolgendo anche il modo stesso di teorizzare il diritto, o meglio,
il modo cui ad esso si guarda - nel momento in cui lo si studia - quando
è in gioco la differenza sessuale. Questo, infatti, dice il documento,
innervato, come è, dagli importanti risultati teorici collegati
all'esperienza del femminismo e sulla quale si sono ritrovate in molte
giuriste, di diversa provenienza politica, di diverse età. Basti
pensare a quanto è stato elaborato in Italia dal femminismo della
"differenza sessuale": la critica alla pretesa universalità
del diritto, la creazione di una prospettiva teorica che porta in primo
piano la centralità delle pratiche politiche tra donne. Si è
suggerita, a tal proposito, l'espressione "sopra la legge",
appunto per significare un "luogo" di rapporti e di pratiche
che precede e supera l'ordine della norma. E si è anche detto "una
politica delle donne che faccia primario riferimento a questo luogo sopra
la legge non si preoccupa di varare nuove leggi o di modificare quelle
esistenti per includervi la differenza femminile: essa si concentra sulla
produzione di senso, di simbolico, più che sulle regole, e cerca
non di riempire ancora di più il diritto ma, al contrario, di aprire
dei vuoti, dei varchi in cui possa farsi spazio il senso libero della
differenza femminile con la sua forza, affermata fuori e prima del riconoscimento
della legge" (cfr. Lia Cigarini). Una posizione, questa, che demistifica
la tradizionale aura di sacralità della legge e delle sue funzioni,
che sottrae importanza alla potenza mediatrice della regola giuridica,
a tutto vantaggio del primato delle relazioni, e, in primis, quella con
la madre.
Questa legge
apre oggi un'altra domanda: ora che essa è stata approvata, che
fare?
Le strade su cui si sta orientando il dibattito vedono due possibili soluzioni:
promuovere un referendum abrogativo; oppure operare sul fronte dell'eccezione
di incostituzionalità. Numerosi sono infatti i profili di illegittimità
costituzionale contenuti nella legge, in particolare rispetto agli artt.
2-3-32 Cost. come spiega il documento.
Ma mentre su questa seconda proposta mi trovo d'accordo, la strada del
referendum, suscita, in me come in molte altre, forti perplessità.
Ciò perché credo, oltre alle considerazioni critiche che
sono già state fatte (cfr. Milli Virgilio), che sia ormai del tutto
riscontrabile una diffusa irritazione circa l'uso dello strumento referendario.
Per non dire, poi, di un'opinione pubblica che, non solo su questo rilevante
tema, pare del tutto frastornata dal disordine informativo dei media.
Ma c'è un punto più sostanziale che mi spinge a guardare
con disfavore alla proposta referendaria: essa è un altro modo
per ribadire il primato della legge, la sua centralità rispetto
ad aspetti che, invece, rinviano alla competenza materna. E, infatti,
ben dice il documento quando ricorda l'esperienza degli anni in cui l'aborto
era ancora reato: essa "dimostra che se la regola posta dallo stato
non corrisponde alla speciale competenza femminile, quella regola sarà
disattesa". Ed è proprio così, semplicemente.
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