Articolo pubblicato su "Il manifesto " del 22 Gennaio
La memoria ci indica innanzitutto che, rispetto alle due storiche vittorie dei No su divorzio e aborto, questo referendum abrogativo si collocherebbe in un percorso ben diverso e quasi opposto. Infatti la mediazione politica e parlamentare che aveva prodotto le leggi introduttive del divorzio nel 1970 e dell'interruzione volontaria di gravidanza nel `78 erano state possibili in forza di una crescita e maturazione dei valori condivisi nel paese. In entrambi i casi il parlamento aveva dovuto prendere atto di un sentire diffuso, che aveva registrato a livello di produzione legislativa. Pertanto il dato normativo era percepito dai più come una conquista e un allineamento doveroso ai livelli di altri paesi e ordinamenti giuridici. Allora l'iniziativa di referendum abrogativo era stata promossa da forze conservatrici animate dall'intento di ribaltare una sconfitta parlamentare. Gli elettori referendari venivano cioè chiamati a confermare la volontà legislativa parlamentare esprimendo un no all'abrogazione. Ora invece le cittadine e i cittadini sarebbero chiamati dalle forze progressiste che hanno a cuore la libertà a esprimere un sì all'abrograzione di una legge, certo indecente, ma pur sempre appena voluta dalla maggioranza parlamentare e governativa. E' una bella differenza rispetto ad allora. Inoltre, purtroppo, come le votazioni e i numeri in parlamento hanno già dimostrato, la legge è stata voluta anche e non solo dalla maggioranza. E' ben vero che anche all'interno della attuale maggioranza vi sono aperti conflitti, come del resto spesso accade quando si verte del corpo femminile e si vuole legiferare in merito. Del resto, non dobbiamo dimenticarlo, furono proprio alcune parlamentari di sinistra ad assumere l'iniziativa di promuovere, insensatamente, l'intervento legislativo dello Stato in materia. Questa complessa e intrecciata articolazione evidenzia come sia arduo auspicare partecipazione collettiva a favore della libertà. E' vero che la questione della procreazione assistita statisticamente riguarda un arco di donne e uomini più vasto di quello che effettivamente ricorre alla pratica. Ma è anche certo che la compromissione delle libertà causata dalla legge sulla Pma si presenta come percepibile in modo meno drammatico, diretto e immediato che per divorzio e aborto: tenersi un figlio non voluto e non poter recidere una relazione intollerabile è diverso che non poter avere un figlio biologico. Ce n'è sufficienza per ponderare attentamente la strategia e preferire, in prima battuta, di percorrere un'altra via: quella di ricorrere alla Corte Costituzionale, scegliendo dei casi per promuovere azioni giudiziarie al fine di eccepire l'incostituzionalità delle singole disposizioni discriminatrici e lesive (vedi documento associazione GIUdIT - Giuriste d'Italia: www.giudit.it). E tenere il referendum come possibilità. Lo diciamo ora sapendo che, nel caso, non ci sottrarremmo certo all'impegno della battaglia. Ma abbiamo anche chiaro che, ora, subito, pretendiamo di essere partecipi della decisione strategica sui percorsi da praticare, e non subire passivamente scelte altrui.
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