Politica e rappresentanza, se non cambiano esodo di noi tutte

di Bianca M. Pomeranzi


Il seminario indetto dal Forum delle donne di Rifondazione Comunista "Il che fare della sinistra: la politica tra forme e pratiche" che si è tenuto sabato scorso (19 gennaio), ha avuto, oltre alle dense relazioni introduttive di Busi, Deiana, Santilli, Smeriglio e Voza, un pregio ormai raro negli incontri di questo tipo: quello di consentire un confronto vero.
Indubbiamente, la pratica su cui il Forum ha costruito la sua presenza all'interno di Rifondazione Comunista, ha agito come elemento di connessione tra esperienze e percorsi differenti, interni al partito, ma anche capaci di dare voce ai movimenti e soprattutto al movimento delle donne per riflettere sulla crisi della politica e la ricerca di nuove coordinate su cui fondare una pratica della trasformazione sociale.

Le presentazioni hanno pertanto messo a tema le difficoltà dell'attuale sinistra a capire l'esperienza dei soggetti "incarnati", visti cioè nelle loro differenze di genere, di età, di etnia e di scelta sessuale, ma soprattutto a leggere le nuove forme di resistenza attiva nei confronti del dominio capitalista che si esercita attraverso i corpi. Luogo in cui si colloca prevalentemente il conflitto esercitato dal femminismo.
Si è analizzata la nuova radicalità "femminista", all'origine della manifestazione del 24 novembre sulla violenza e della protesta realizzata durante gli Stati generali della sinistra dell'8 e 9 dicembre, come un modo per "segnare" il distacco dalle forme attuali della politica, dalla sua rigida agenda e dalla incessante retorica familista, che sembra accettata da tutti i partiti. Si è messo in chiaro che le donne, soprattutto le nuove generazioni di donne, cercano dalla politica risposte più ampie che non un vago richiamo alla "democrazia di genere" e sono disposte, se nulla cambia a sinistra, anche a forme di "esodo" collettivo per segnalare il necessario superamento della crisi della rappresentanza.
E' stata citata una felice metafora, che distingue la modalità da "orchestra sinfonica" della politica istituzionale, con i suoi rigidi spartiti, dalle composizioni "jazz" dei movimenti, tutte giocate su un tema musicale a cui liberamente contribuiscono differenti strumenti, per ricordare come sia necessario cercare tra questi soggetti nuove modalità di comunicazione per intonare una "teoria della liberazione".

Certo, si è riconosciuto, la sinistra tradizionale ha un deficit di conoscenza sul nuovo "capitalismo" che si è fatto mondo e che sta conquistando il dominio di ogni forma vivente a partire dal conflitto tra capitale e lavoro.
Il socialismo, è stato notato, ha lavorato sulle forme dell'uguaglianza senza sufficientemente pensare la differenza, oscurando così la ricchezza delle relazioni che le individualità comportano. Quindi occorre recuperare una capacità di conoscere come si formano le nuove soggettività per riuscire a formulare una critica radicale ai moderni sistemi di "governance" iperdemocratica, recuperando, attraverso la non violenza, il primato della politica. Primato a cui non possono dare risposta adeguata formule spontaneiste come quelle della "moltitudine o dell'"intelletto generale". Servono invece alla sinistra, riflessioni sul potere e su come questo agisce nel creare la relazione asimmetrica tra i soggetti.
Insomma, riflettere sul valore della vita, la nuda vita di chiunque e di ciascuno, svelandone la "sacertà", l'esperienza irriducibile, non la sacralità. Su queste analisi la sinistra potrebbe fondare un vero confronto critico con le religioni, recuperando anche la dinamicità dell'umanesimo laico di Gramsci a fronte dell'immanente "naturalità" su cui si fonda la concezione umanista della chiesa cattolica.
Dunque un intenso impianto teorico che tuttavia non ha sottratto spazio alla discussione sulla attualità politica che sta vivendo una fase difficile e che ripropone alla sinistra una scelta tra l'investimento sul Governo e quello sulla cultura della trasformazione. E' stato lo stesso segretario di Rifondazione, presente al dibattito, a intervenire su questi temi, leggendo nella precarietà la manifestazione del nuovo potere capitalista non solo sulla produzione, ma anche sulle forme di riproduzione individuale. Per questo, lui dice, occorre da subito un nuovo soggetto unitario a sinistra che sappia rappresentare un'alternativa al populismo delle destre e alla deriva centrista che si chiude nelle formule tecniche della governabilità neo-liberista.

Tuttavia, proprio sui modi e sui tempi di questa accelerazione si è articolato il dibattito. Infatti è stata sottolineata la necessità di avvicinare il percorso organizzativo a quello della costruzione di una nuova epistemologia della sinistra, evitando di delegare entrambi i processi a una ristretta élite politica. Interrogare il percorso e mettere a valore l'esperienza che si è costruita all'interno di Rifondazione comunista è stato quindi ritenuto un elemento necessario alla fase costituente della sinistra.
La stessa esperienza del Forum, si è detto, così bordeline tra partito e movimento delle donne, può costituire un patrimonio di pratiche per fare in modo che il femminismo sia uno degli elementi fondanti della sinistra, perché ha costruito spazi e modalità di confronto capaci di interrogare le varie appartenenze e ha lavorato su un percorso di liberazione dalla simbiosi che si crea tra uomini e donne non solo nella vita privata, ma anche nello spazio pubblico.
L'emergenza organizzativa del soggetto unico rischia invece, per alcune, di creare divisioni, senza dare il tempo di analizzare le scelte politiche di fondo che la sinistra deve compiere. Insomma, a chi fonda la centralità della politica come modo della trasformazione sociale, si è proposto un modo di lavorare su piani diversi, camminando sul crinale tra contesti istituzionali e pratiche basate sul conflitto di classe, sui luoghi, sui beni comuni, sui corpi, perché, si è detto, non esiste un "esodo" possibile dal dominio capitalista sull'organizzazione del vivente.

Ragionamenti ascoltati con attenzione, ma non capaci di convincere totalmente chi invece, nell'attuale congiuntura vede la manifestazione di una crisi più ampia che deve fare i conti con la fuoriuscita dalla lunga transizione italiana il cui esito incerto richiede la capacità di mettersi velocemente in gioco con altri interlocutori e di costruire mediazioni a sinistra. Un simile processo richiede la capacità di mettere in discussione i linguaggi e gli assetti di partiti e di movimenti, evitando che proprio i primi siano favoriti dal rallentamento del processo di unificazione, marginalizzando gli altri.

Certo, nel dibattito franco e a volte aspro tra chi si trova su posizionamenti differenti nello spazio politico, alcune scelte compiute recentemente da Rifondazione: sul decreto sicurezza, sulle unioni di fatto, sul dibattito in Parlamento sulla contestazione per l'invito del papa alla Sapienza, sono state sottoposte a forte critica.

Tuttavia, anche in questo caso, le dissonanze sono state espressione di divergenze non faziose, ma capaci di richiamare ciascuna e ciascuno alla responsabilità di quel "darsi conto" reciproco che può fondare una nuova "circolarità" nelle relazioni di chi intende "fare sinistra", uscendo dalla "autoreferenzialità". Insomma, un modo di discutere questa delicatissima fase della politica italiana che tiene conto dell'esperienza femminista e che la vuole portare nella sinistra, per arricchire il suo raggio d'azione.




Articolo pubblicato da Liberazione del 22 gennaio 2008

24-01-2008