“Usciamo dal silenzio”. Ed è già politica
di Bianca M. Pomeranzi


E’ cresciuto come un magma lento - venuto su dal sapere sessuato e da quel femminismo rizomatico a cui si è state costrette in Italia da molti anni - il desiderio di mettere in scena la propria differenza politica che domani si presenterà a Milano sotto lo striscione “Usciamo dal silenzio”.

Ed è già politica. Non è un grido, non è un lamento è solo una dichiarazione che unisce con fermezza le voci differenti di tutte quelle donne e dei pochi uomini che in queste ultime settimane si sono confrontate e confrontati nelle affollate assemblee cittadine. Soggetti che non intendono delegare il tema della “politica del vivere” alle gerarchie ecclesiastiche o alle anguste possibilità di una politica istituzionale che sta purtroppo (non solo in Italia, ma in tutto il mondo) mancando l’appuntamento fondamentale con il nostro tempo: la trasformazione della politica sulla base delle esigenze degli esseri umani.

Questa finalità dovrebbe costituire la base essenziale per capire cosa sta accadendo veramente oggi, nell’Europa inquieta e nel mondo in guerra, e invece il sapere contemporaneo, che dispone del potere della scienza e della tecnica al punto di riprodurre in laboratorio esseri viventi, sembra non disporre degli apparati epistemologici capaci di far dialogare tra di loro mondi sempre più vicini, ma che si odiano e che ricorrono al corpo delle donne come pretesto e come oggetto dello scontro.

In Italia negli ultimi mesi questo è stato evidente poiché le donne si sono trovate a essere oggetto di una ondata teocon, studiata a tavolino per nascondere sotto il tappeto i numerosi insuccessi delle politiche berlusconiane e per ridurre in un angusto dibattito tra laici e cattolici la complessità dei temi che sono oggi all’ordine del giorno: la questione delle condizioni materiali di vita di uomini e donne e del loro riprodursi.

Nello stesso clima politico la presenza delle donne nelle istituzioni è stata recentemente avvilita e comunque da anni era concepita solo come una estensione del regime dei diritti, tardiva acquisizione di consapevolezza da parte dei poteri esistenti, ma mai come assunzione di nuovi valori, né tanto meno di nuovi processi e forme di relazione. Eppure sono proprio quei processi di relazione la vera ricchezza dell’oggi poiché chiamano in causa la necessità di una trasformazione radicale nello stare al mondo.

A tutto questo il magma in movimento frammentato e variegato intende dire “basta, si apre una nuova stagione politica”. Non è solo il tema dell’aborto quindi a spingere a manifestare in questi giorni. Infatti, oltre alla salutare indignazione di donne di tutte le generazioni, consapevoli del fatto che sotto la divisione tra laici e cattolici si annida il tema della politica del corpo e della “privatizzazione” delle tecniche di cura con la ben più angosciosa tecnologia di manipolazione genetica e biologica, ci sono i grandi temi del nostro tempo come la gestione della sessualità e la ricerca di nuove forme di convivenza.

Non a caso abbiamo scritto che la manifestazione del 14 gennaio a Milano si articola con quella dei Pacs a Roma per la libertà del vivere e del convivere. Un inizio azzardato e complesso per donne che si rimettono in movimento, che ci costringe a prendere atto di come siano cambiate le cose e di come la frammentazione creativa del presente possa e debba costituire la materia di un nuovo inizio.

Ad esempio le differenze tra lesbiche e eterosessuali, differenze che trenta anni fa confliggevano, ormai possono costituire un elemento di confronto: da una competizione escludente (che tanto ci ha fatto dolore quando è esplosa a fine degli anni settanta) possiamo passare a una nuova competizione collaborativa, in cui le esperienze delle une arricchiscono la vita delle altre. Lo stesso vale per le differenze generazionali che nel clima economico del neo-liberismo globale stanno divenendo differenze di condizioni materiali di vita, come ci è stato detto a Roma alla riunioni preparatorie promosse alla Casa Internazionale delle Donne. C’è poi una differenza maschile consapevole che si affaccia timidamente e tenta un confronto sui temi della politica del vivere, vedremo.

Tutto questo è già politica, ma richiede una grande intelligenza da parte di tutti i soggetti coinvolti, una grande determinazione a procedere sulla strada del dialogo e anche una grande creatività per trovare le formule relazionali che ci consentano di convivere e di costruire l’alternativa al regime mediatico-istituzionale che da anni mantiene tutte queste esperienze, tutte queste vite ai margini non solo della rappresentanza, ma anche della rappresentazione.

Per questo dialogo la nostra esperienza femminista costituisce un elemento importante nelle scelte della politica, istituzionale e non, che possono fare la differenza nei destini singoli e collettivi. Sappiamo che non sarà facile essere presenti in uno spazio pubblico in cui la debolezza maschile ancora si nutre della forza delle donne attraverso la violenza e la cultura patriarcali, in cui le formule della rappresentanza congelano la politica, in cui il sistema relazionale consente solo modalità di competizione distruttiva.

Eppure ci vogliamo provare in tante domani a Milano e a Roma. Per queste nuove soggettività “uscire dal silenzio” significa la volontà di modificare la convivenza a partire da sé, ma con reciproco sguardo. Speriamo di riuscirci e per questo a Roma abbiamo deciso di incontrarci il 5 febbraio, non solo per valutare la manifestazione, ma anche e soprattutto per capire come avviare quella nuova stagione politica.
 

questo articolo è apparso su Liberazione del 13 gennaio 2006