14 gennaio, dopo le piazze ancora in cammino
di Bianca M. Pomeranzi


La doppia mobilitazione ha portato aria nuova. Ma come farà la politica delle donne a trasformare la politica?

E' bastato un sabato in piazza, a Roma e a Milano, per far respirare un'aria nuova alle donne in Italia. E' bastato quello per tornare a sperare, ma non è ancora sufficiente per fare in modo che il femminismo ritrovi il posto che gli spetta nel processo di trasformazione della politica, necessario per la complessità dei tempi che stiamo attraversando. Occorre dunque continuare con le analisi e le discussioni che hanno consentito il boato collettivo delle donne (e non solo), a Milano e a Roma.

Da subito bisognerà fermarsi a riflettere con molta attenzione su quanto è accaduto in Italia alle donne nell'ultimo anno e in particolare dopo la "pseudo-vittoria" del referendum per l'abrogazione della legge 40 sulla procreazione assistita. L'apertura di una nuova fase politica richiede infatti di guardare non solo al cosa vogliamo, ma anche al come possiamo ottenerlo e alle alleanze necessarie per ottenerlo.

In particolare sembra importante e improrogabile riuscire a trasformare in dialogo, o meglio, a mettere in parola l'intreccio di soggettività politiche che si sono date la mano il 14 gennaio 2006 per riempire le piazze, in modo da "praticare la differenza" tra soggettività come "forma di convivenza". Detto così adesso, in piena campagna elettorale, sembra quasi ridicolo per la distanza che evoca dagli affaccendati consessi dove si selezionano i nuovi rappresentanti del popolo, spesso più con i criteri del testimonial che non per le capacità e le relazioni.

Sarebbe tuttavia riduttivo interpretare la politica istituzionale come la sentina di tutte le perversioni e l'altra politica, quella dal basso, come la panacea a tutti i mali. Io sono una femminista che per fare le cose che amava ha intrapreso un cammino all'interno delle istituzioni nazionali e sovranazionali, e, forte di questa mia esperienza, posso dire che la separazione delle due politiche non ha giovato alle donne, in particolare in Italia.

Quindi ripartiamo riflettendo sulle due manifestazioni e su quello che possono significare rispetto alla possibilità di riportare l'asse della politica del vivere al centro dell'operato delle istituzioni. Non è cosa facile perché l'orizzonte della guerra come strumento di dominio mondiale ci proietta in uno scenario complesso dove la biopolitica, fatta di corpi di donne di uomini di vecchi e di bambini, di morte e di vita, contende lo spazio alla geopolitica, quella per cui conta solo la forza che consente il possesso delle materie prime.

Su questi temi il pensiero delle donne, in particolare di quelle del sud del mondo, da anni influenza il senso di quel boato globale che rimbalza da Porto Alegre a Seattle a Mumbai e oggi a Bamako. Stranamente in Italia questo non viene percepito come un frutto dell'intelligenza collettiva delle donne. Capi e capetti si affannano a relegare ai margini l'autorevolezza femminile. Solo al movimento per la pace è concessa la doppia rappresentanza di sesso.

Quindi non è solo un problema di politica istituzionale, ma ha a che vedere con il modo in cui nel nostro paese uomini e donne si rappresentano nello spazio pubblico. A tutto questo la manifestazione di Milano ha dato una bella rinfrescata, sana, decisa e compatta. Merito della commistione tra idee femministe, capacità di presenza nel sistema mediatico e capacità di mobilitazione.

Comunque, come diceva Melandri in un recente articolo sulla 194, la competenza femminile riesce a esprimersi nitidamente, non solo a fronte dell'ondata teocon, ma anche del pensiero monosessuato maschile. La libertà femminile all'origine della vita tuttavia, significa una competenza molto più grande della 194 e ha a che vedere anche con quella libertà del vivere e del convivere che si è celebrata a Roma a Piazza Farnese. Intrecci e relazioni non così limpidi e diretti, poiché è vero che, a Roma soprattutto, il rischio era di spingere sul versante dei diritti liberali che tollerano tante diversità fino ad annullarle.

Da questo dobbiamo distinguerci, noi che vogliamo la politica delle donne che trasforma la politica. Allo stesso modo dobbiamo distinguerci dal divenire un movimento che si appiattisce sulla difesa di una legge che molte vorrebbero cambiare e migliorare e che si organizza solo sulle piazze.

Dunque si pone ora il problema di come operare queste distinzioni, senza perdere la possibilità di tornare insieme con gioia sui temi della politica del vivere. L'abbiamo già fatto su altri temi, ad esempio la guerra. Cercare una competizione cooperativa potrebbe essere già una proposta politica da snodare attraverso il dialogo e gli incontri specifici. Alcune e alcuni lo stanno già facendo, perché non iniziare a rifletterci in modo più sistematico?

Altra questione, molto spinosa e certamente mal posta fino ad oggi in Italia, quella della rappresentanza femminile. Non è certamente casuale che solo un paio dei partiti della sinistra mantengano percentuali europee, mentre gli altri si attestano su percentuali ridicole.

Certo un congruo numero di deputate e senatrici non significa trasformare la politica e neppure uscire dal liberismo che martoria il pianeta, eppure una rete di donne consapevoli fuori e dentro le istituzioni è essenziale all'Italia, soprattutto dopo cinque anni di berlusconismo che ha dato il meglio di sé con la presa in giro delle quote e con un governo a dir poco misogino.

Probabilmente le manifestazioni di Milano e di Roma non sarebbero mai riuscite senza la capacità delle donne di insistere a fare opposizione, senza le continue e faticose riunioni di cui il regime mediatico-istituzionale che ci ha sgovernato per cinque lunghissimi anni nulla sapeva. D'altro canto anche da parte di donne e uomini dell'opposizione la capacità di ascolto è stata scarsa. Su questo occorre riflettere, partendo da sé e guardando lontano.


Lunedì 23 gennaio alle 18, a Roma, alla Casa internazionale delle donne, via della Lungara 19 - in attesa dell'assemblea del 5 febbraio - incontro per riflettere sulle manifestazioni del 14 e su come andare avanti.

 

 questo articolo è apparso su Liberazione del 22 gennaio 2006