All’ultimo respiro

di Bianca Pomeranzi

 rivista effe
effe, n.10-11, ottobre-novembre 1977
 

Per raccontare bene il femminismo italiano e la sua particolarità, occorrerebbe uno strumento come il grand'angolo, capace di cogliere il panorama di idee e iniziative di quel movimento politico "separatista" che fu il femminismo degli anni Settanta.
Da questo punto di vista il 1977 è probabilmente l'anno che segna un passaggio di fase e anche quello più pericoloso politicamente perché il movimento si trovò preso nella complicata stagione della politica istituzionale italiana, con l'esplosione del movimento del '77 e il terrorismo diffuso, ma soprattutto si trovò a dover fare i conti con la propria crescita esponenziale.
Quello che stava dettando le proprie condizioni alla politica istituzionale in tema di diritto di famiglia, di aborto di pari dignità nel lavoro e di violenza sessuale era un "movimen­to tutto nostro", di donne che avevano iniziato a parlare di sé in prima persona, che cercavano la propria "singolare" libertà, che praticavano i te­sti e i contesti del femminismo cercando di scegliere da che parte stare nella vita.

Almeno così ero io, sbarcata a Roma dalla provincia toscana, dove ero stata folgorata dalle letture e dalle frequentazioni di femministe romane, quasi tutte lesbiche e comunque molto radicali. Le mie amiche venivano proprio da uno dei gruppi più radicali e separatisti di Roma, ovvero il Movimento femminista romano di via Pompeo Magno che inizialmente era stato uno dei collettivi di Lotta femminista, ma, dopo il 1971, aveva preferito procedere con una pratica politica in cui si alternava la "presa di coscienza" con le azioni pubbliche e l'incontro con le donne nei quartieri e nei mercati.
Era un collettivo con una sua storia già consolidata a cui io mi avvicinai con rispetto e una grande voglia di imparare attraverso i racconti delle al­tre, dando in cambio il mio tempo e la mia disponibilità alla "militanza".
All'indomani del mio arrivo in pianta stabile a Roma, il 3 aprile 1976, in coincidenza con la manifestazione sull'aborto che provocò la caduta del Governo, mi trovai al centro dell'organizzazione e capii subito che quel movimento di donne non nasceva dal nulla né era una esplosione casuale, piuttosto l'esito di una pratica politica difficile con tanto di personalità e gruppi leader, capaci di dettare una agenda politica autonoma e di scen­dere in piazza aprendo un conflitto diretto anche con i partiti egemoni del movimento operaio. Lo spirito dei tempi consentiva tutto questo, anzi forse lo esigeva perché l'Italia aveva un grande bisogno di modernizzazione e le donne stavano vincendo in tutto il mondo.


Già nel 1975 le femministe - riunite in un forum a Città del Messico per la prima Conferenza Onu - avevano dimostrato di essere un movi­mento internazionale, di avere capacità di trasforma­re le istituzioni, anche le più lontane.
Quello che fu nuovo in Italia e quasi inaspettato fu la capacità di portare il conflitto non solo nella vita famigliare e nelle relazioni private, ma anche e soprattutto nelle piazze, nello spazio che fino allora aveva risuo­nato di voci maschili e che divenne il teatro del femminismo diffuso.
Nonostante la diversità dei linguaggi che derivavano dalle appartenenze iniziali - più o meno vicine alla sinistra extraparlamentare, più o meno legate al Partito radicale e alla lotta per il divorzio e per i diritti liberali, più o meno sensibili alla cultura cattolica o ai movimenti emancipazionisti della sinistra tradizionale - il movimento femminista riusciva a far tesoro delle differenze e a creare una massa critica visibile e autonoma "politicamente".
Usando il separatismo come uno strumento di aggregazione e senza entrare nelle istituzioni, il movimento delle donne dal 1975 al 1977 condusse "negoziati autorevoli" con la politica istituzionale e con il mondo dei media.
Fu il punto più alto del movimento fatto di tanti piccoli collettivi, diffuso capillarmente sul territorio, ma anche l'inizio delle divisioni. Il 1977 è cruciale proprio per questo motivo. Alla manifestazione notturna contro la violenza "Riprendiamoci la notte" nel novembre del 1976, a Roma, erano comparse le donne dei gruppi dell'autonomia operaia, "casseuses" ante litteram, a spaccare le vetrine di via Sistina.
Nel dicembre dello stesso anno, a Paestum, al terzo e ultimo convegno femminista, si erano sentiti i primi scricchiolii nei conflitti tra Roma, coinvolta nella politica, e Milano, con la sua rigorosa pratica dell'inconscio.

Tuttavia fu proprio nel corso del '77 che le differenze (a cui nel frattempo era stata intitolata una rivista romana, gestita autonoma­mente e solidarmente da diversi gruppi) esplosero.
Quando in maggio, a Roma, fu decisa l'a­desione dei collettivi femministi all'occupazio­ne del Governo Vecchio, già avviata dall'Mld, vi aderirono più di 70 gruppi.
Le numerose manifestazioni realizzate tra il '75 e il '76, oltre a scuotere i Palazzi della politica istituzionale, avevano dunque coinvolto un gran numero di donne.
C'era indubbiamente una "potenza" attrattiva in quelle manifestazioni separatiste che si montavano in pochissimi giorni, anzi in poche ore, come quella che facemmo all'Albe­rane nell'aprile del '77 quando Claudia Caputi, già vittima di stupro da parte di un branco, fu di nuovo violentata.

Era una trappola oscura che non capimmo e che in seguito produsse divisioni. Noi invece lavoravamo per unire.
Stavamo ricucendo un nuovo legame anche con i collettivi del Salario al lavoro domestico che in giugno avevano organizzato a Roma un Congresso internazionale su "lavoro, sessualità, prostituzione".
Le manifestazioni erano preparate collegialmente, al punto che la vecchia distinzione tra il gruppo marxista di via Pomponazzi e quello radicale di via Pompeo Magno aveva perso senso e anche le sedi si erano avvicinate.
Nel 1977 molte di quelle di Pomponazzi avevano una sede a via Germanico, a non più di 300 metri da via Pompeo Ma­gno. Si lavorava spalla a spalla, insieme per molta parte della settimana, ma stavamo bruciando i tempi di riflessione. Alcuni collettivi si spaccavano sulla questione del lesbismo.
Verso la fine del 1977 il n. 4 di “Differenze”, redatto dal Pompeo Magno e dedicato alla sessualità, aveva una intera sezione sul lesbismo.

Ma intorno cresceva troppa violenza e le assemblee al Governo Vecchio diventavano difficili.
A febbraio Lama era stato cacciato dall'università di Roma, a marzo a Bologna durante gli scontri tra Comunione e liberazione e gli studenti la polizia aveva ucciso Francesco Lorusso, a maggio era stata assassinata “per errore” Giorgiana Masi.
Il centro di Roma era quasi sempre assediato dalla polizia e il terrorismo diffuso lambiva frange di donne.
Si crearono nuove alleanze tra quelle che volevano un movimento femminista autonomo e separatista. Eravamo forti e continuam­mo così fino alla normalizzazione che seguì la morte di Moro e alla proposta di legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale.
Poi quel movimento politico si perse in una miriade di associazioni.

Ancora oggi mi chiedo se sia stata l'incapacità di gestire la nostra potenza o gli eventi esterni a farci perdere l'occasione di cambiare per sempre la storia, però è certo che allora vincemmo una vita nuova.
 

Questo scritto è stato pubblicato in “70 gli anni in cui il futuro incominciòn.8/1977. 
 

10/06/2007