Non si può addomesticare il femminismo

di Bianca M. Pomeranzi


Roma, 8 marzo 2008
 


Molte sono le critiche alle vicende del premier attualmente in carica, ma solo quelle che mettono in luce la profonda connessione che esiste oggi in Italia tra la gestione del potere  politico ed economico e la rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne riescono a dare prospettiva a una materia complessa, che non può  essere circoscritta alla sfera del privato, della morale o del pettegolezzo e che invece parla della qualità della vita e del futuro di questo paese.
Non si tratta, infatti, semplicemente di comportamenti sessuali, ma di tecniche di potere che rimandano a una riflessione approfondita sulla politica, come ha scritto più volte più volte e lucidamente Ida Dominijanni su il Manifesto e  come  hanno argomentato Melandri su l’Altro, Muraro sul sito della Libreria delle Donne e Pitch sul Manifesto che ha sottolineato come  il  populismo autoritario che oggi ci governa  si nutra anche della  paura della libertà femminile e per questo ha invitato  gli uomini a parlare e a ribellarsi a questa misera visione della politica e della loro sessualità. Circolano inoltre,  nel web sin da fine giugno commenti e appelli femministi, di cui il sito www.zeroviolenzadonne.it offre un’ampia documentazione dimostrando come il tema sia significativo per la galassia di gruppi  di donne  attivi a partire dal referendum per la procreazione assistita.

Ad onta di tutto questo, nel conflitto mediatico in corso, le donne sono ritenute responsabili di questa deriva o perché femministe silenti o perché mogli, escort o veline di scarsa affidabilità. Negli ultimi giorni infatti,  dalle colonne dell’UNITA’ è partito un gran battage per  riportare le donne in campo a difendere i loro diritti.  Potrebbe anche essere una buona cosa se animasse un vero dibattito, una rimessa in gioco del discorso su sesso e potere, una analisi approfondita e non di propaganda.  Invece  le molte analiste, anche colte e autorevoli nelle loro discipline,  non fanno parola di quello che sul tema è stato gia detto, non lo rilanciano e neppure lo contraddicono, chiamano solo a raccolta le donne in nome della democrazia e  spesso scaricano sulle spalle delle femministe un peso che va rivolto soprattutto a quel ceto politico  che dagli anni novanta in poi ha considerato il femminismo un ingombro alle carriere di donne e di uomini o alla santa alleanza con l’area moderata del mondo cattolico.
Nessuna e nessuno insomma, osa  rispondere alle domande delle femministe,  forse perché troppo “libere” e scomode per un  “patto maschile”  che continua a selezionare il personale politico di oggi e di domani. Tutti i partiti infatti, presenti o no in parlamento, si attengono rigorosamente a  quel patto, ma sembra che il PD in questo momento pre-congressuale abbia particolare bisogno del consenso femminile, forse per far scordare che su tre candidati non vi è neanche una  donna.

Sia chiaro,  non c’è nulla di paragonabile  tra il sessismo e la rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne, su cui la  destra  e il premier hanno costruito parte della loro fortuna, e lo spirito con cui  le opposizioni  cercano consensi tra l’elettorato femminile. Eppure permane una grande opacità,  anche nei discorsi “illuminati”che chiamano alla mobilitazione.  Non sono chiare le analisi del perché siamo giunti a questo punto, né si fa parola delle risorse critiche e teoriche di cui dispone il femminismo italiano. L’Italia infatti, sotto l’aspetto della  presenza e dell’incisività delle donne nello spazio pubblico, rappresenta una anomalia all’interno della scena mondiale  perché, nonostante la scarsa  presenza femminile nelle istituzioni, sin dagli anni settanta ha avuto un femminismo che reclamava  una trasformazione radicale del campo della politica e delle pratiche del conflitto a partire dalla differenza sessuale, non l’inclusione delle donne negli spazi creati dagli uomini.  Oggi,  di fronte a questo  “governo” di destra che non esita a “fare cassa” sulla pelle delle donne  e nell’indubbio cambio di passo che la crisi globale e l’elezione di Obama hanno prodotto, quella trasformazione  è più che mai necessaria.

Varrebbe dunque, la pena di avviare una riflessione più profonda sulle implicazioni  di come si è determinato nel nostro paese l’intreccio tra  sesso e potere che è stato alla base del femminismo degli anni settanta. Insomma l’evento, così insolito e grave per  un paese occidentale,  costringe a fare i conti con la nostra storia recente e con le vicende che hanno visto il femminismo cambiare da movimento politico autonomo, capace di negoziare i temi dell’agenda politica e di promuovere leggi per il bene comune,  a una  formazione composita di gruppi e associazioni.  Anche nel movimento delle donne italiane il ciclo lungo della globalizzazione ha confuso il filo di un ragionamento avviato quando il partire da sé assumeva una passione radicale e una tensione rivoluzionaria, perchè la presa di parola  delle donne trasformava  le regole della convivenza.  A partire dagli anni ottanta infatti, le relazioni con la politica istituzionale si sono complicate e l’introduzione spesso acritica delle politiche di genere dell’Unione europea, ispirate soprattutto al concetto di “parità” e consone all’impostazione liberale e liberal-socialista, hanno creato forti ambiguità disperdendo la creatività delle pratiche e marginalizzando  la critica femminista alla politica. Un pensiero originale, quello italiano, che avrebbe molto da dire anche al resto d’Europa, specialmente in un momento in cui il capitalismo globalizzato  ha sconvolto l’equilibrio tra economia e welfare e tra privato e politico, mettendo a nudo la necessità di analizzare gli incroci tra rappresentanza e rappresentazione e di rileggere la costruzione dei diritti  e della cittadinanza nella democrazia del XXI secolo.

Un pensiero che si muove su terreni diversi da quelli delle “politiche di genere” di derivazione anglosassone, ma che può fornire oggi gli strumenti per uscire dall’impasse che si è determinata in Italia, non solo nelle relazioni tra uomini e donne, ma piuttosto nella gestione del potere tout court. A patto che lo si collochi pienamente nel campo della politica. Il “caso italiano” nasce proprio da qui,  non dal silenzio delle donne, ma dall’ansia di addomesticare un femminismo radicale capace di trarre dalla libertà femminile una forza trasformativa degli assetti di potere tra i sessi.  Senza capire quello che è successo negli ultimi quindici anni  tra femminismo e politica istituzionale  non si riesce a comprendere  perché oggi  un premier rischi di passare indenne da uno scandalo che umilia l’intero paese. 
La politica del sesso in Italia è come la questione della giustizia, è troppo scomoda e  oggetto di alleanze  bipartisan.  Quindi, se la campagna dell’UNITA’ sarà capace di mettere in evidenza questa contraddizione, ben venga, ma certo il dibattito deve essere approfondito e chiamare in causa tutti quelli che di fronte alla crescente “questione maschile” hanno taciuto nel corso degli ultimi anni . Non basta “dire alle donne” né preparare una manifestazione che rischierebbe di non toccare il nocciolo del problema.   Se si vuole veramente cambiare proviamo a rispondere alla domanda di Dominijanni (Passaggio a Obama , Ediesse 2009, pag. 29)  “…Come si valuta di questi tempi il cambiamento? Qual è la misura del cambiamento? I soldi? Il potere? Le parole, le immagini, le narrative? Lo dico meglio : l’ordine economico? L’ordine politico? L’ordine simbolico? O la relazione in cui si mettono l’ordine economico, l’ordine politico, l’ordine simbolico? …  ”  e scopriremo che il femminismo italiano ha ancora molto da dire alla politica per uscire  dal berlusconismo.

 

da il manifesto
del 18 agosto 2009

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