Prigionieri di un sogno
di Lea Melandri


Canova

C'è nell'amore-passione, l' "anelito primordiale" che spinge la coppia degli innamorati a bastare a se stessa, una innegabile componente claustrofilica. Nessuno inorridisce se il "desiderio di possedere e di essere posseduti" va a cercare le sue immagini nelle oscure viscere dell'organismo che ha stretto insieme la madre e il figlio, nel tempo che precede la nascita. "Il figlio -scrive Paolo Mantegazza nel suo libro Le estasi umane (1887)- è membro vivo della madre, è carne della carne di lei, è sangue del suo sangue; ma anche quando il frutto si è staccato dal ramo che l'ha nutrito, non cessa per questo di essere membro delle membra materne. L'ovario più non l'abbraccia, ma lo stringono ancora le braccia innamorate, lo scaldano i baci e le carezze". L'orizzonte chiuso della prima dimora degli umani, l'assenza di parola, la quiete intrauterina che ancora non conosce strappi e separazioni, sono quei simboli corporei che la coppia originaria, nella sua parziale indistinzione, ha lasciato agli amori adulti, la prigione di cui si sente la dolorosità solo quando manca. L'amore è la barriera che l'uomo innalza ossessivamente e irragionevolmente a difesa di una libertà -dalla morte, dal dolore, dalla perdita- che finisce, al contrario, per allontanarlo dal mondo e dai suoi simili. Il "disagio" che tiene la civiltà sospesa sulla voragine delle proprie origini, su quelle "pulsioni elementari" che la costringono, suo malgrado, a camminare all'indietro, non è molto diverso dalla tentazione di avvicinare e sovrapporre la due bocche di vulcano che stanno all'inizio e alla fine di ogni esistenza, l'utero e la tomba. Là dove è attesa la rivelazione piena del proprio essere, il ricongiungimento di parti che si sono fatte a lungo la guerra -l'uomo e la donna, la mente e il corpo, la storia e la biologia- torna ad aleggiare il "sovrumano silenzio" dell'inorganico e della morte. "L'unico momento in cui due destini arrivano sul serio a penetrarsi -scrive Alberto Asor Rosa ne L'ultimo paradosso (Einaudi 1985)- è lo stesso in cui ogni comunicazione cade: la Grande Comunicazione richiede che non vi sia nessuna comunicazione. Si era in due, e si diventa uno solo: sembra il massimo dell'identificazione, il massimo della conoscenza, ma non si può parlare…"
Finché l'amore resta vincolato al sogno di fondere due esseri in uno, quasi fossero le due metà di un intero, non può che essere vissuto come terribile necessità: condizione di sopravvivenza per la donna, che è costretta a mutuare dall'altro sesso la propria ragione di vivere, esercizio forzato di potere per l'uomo, protagonista unico delle sorti del mondo. Il dubbio con cui Pierre Bourdieu chiude la sua meticolosa analisi del "dominio maschile" è meno paradossale di quanto sembri, e conferma quel volto doppio con cui l'amore ha attraversato i secoli: croce e delizia, gelo ed estasi, pienezza e annichilimento: "L'amore è un'eccezione, la sola, anche se di prima grandezza, alla legge del dominio maschile, una messa tra parentesi della violenza simbolica, o la forma suprema, perché la più sottile, la più invisibile, di tale violenza?".
L'amore è dunque "armonia", reciprocità, rigenerazione, oppure smarrimento, sacrificio di sé, "atto sacrilego" rispetto all'individualità propria e dell'altro, come dice l'Aleramo? L'assolutezza da cui partono questi interrogativi è già il segno di una logica oppositiva, imparentata con le ombre della notte e incapace di sottrarsi al fascino della favola antica che vuole i due rami divisi dell'umanità ora sovrapposti e confusi, ora irrimediabilmente divaricati. Dove l'incontro agisce sotto la spinta di un fatale ricongiungimento non può esservi libertà, ma è proprio questo aspetto tirannico a gettare ogni volta gli schiavi d'amore verso la disperata ricerca dell' Io perduto.
Amore di sé e amore dell'altro nascono insieme, ignari della distanza che permette di vedersi e darsi confini. Posti su una linea di continuità e di illimitata permeabilità reciproca, i corpi del figlio e della madre diventano, per la lunga storia di separazioni che vi è cresciuta sopra, il "modello di ogni felicità" (Freud), beatitudine psichica mai più conosciuta, tentazione narcisistica che la modernità riscopre quando indica nel singolo la componente prima del legame sociale. Difficile dire quanto abbia contato la nostalgia del figlio nel volere che la donna restasse essenzialmente madre, luogo di partenza e di ritorno, rifugio primo e ultimo per il viaggiatore del mondo; quanto, a sua volta, sia venuto dalla donna stessa come ripiegamento su una "proprietà" biologica, parte sia pure temporanea del suo essere, a compenso di una "civile" espropriazione. Relegati sul versante della storia o dell'origine, i due sessi non sembrano conoscere altra tregua a un conflitto millenario che l'illusoria cattura dell'innamoramento, sogno gelido e febbricitante di unioni impossibili. Neppure l'indifferenza della logica produttiva e di mercato sembra aver scalfito la casa comune del maschio e della femmina. La ricerca ossessiva della coppia, diventata gioco, sperimentazione scientifica, spettacolo, scommessa telematica, è seconda, quanto a gradimento di pubblico, solo alla persistenza del corpo femminile, oggetto primo e mai sostituito del desiderio, per la sua originaria natura doppia, autosufficiente e appagata, vergine degli strappi della civiltà.

Larticolo è stato pubblicato su sito http://www.enel.it/golem di Gennaio