Lo dice il documento conclusivo approvato dalla Commissione per l’indagine conoscitiva sulla applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e sul funzionamento dei consultori. Ricordate? Era novembre dell’anno scorso quando si apprese che il Ministro della Sanità, accogliendo la proposta formulata dall’Udc, aveva intenzione di avviare detta indagine. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, la miccia che innescò la reazione popolare. Il 14 gennaio duecentomila persone si
riversarono nelle strade milanesi per ribadire che la libertà femminile è
all’origine della vita, collegandosi con un ponte ideale alle
cinquantamila che a Roma chiedevano l’approvazione dei Pacs. A indagatori
e dissuasori, ma anche alla coalizione di centro-sinistra che si candida a
governare, queste piazze colme, multi-etniche, inter-generazionali,
poli-sessuali, hanno ribadito con voce forte e chiara che sulla libertà
del vivere e del convivere indietro non si torna, si può solo andare
avanti. Un esercito di psicologi, assistenti
sociali, mediatori culturali, militanti per la tutela del concepito
dovrebbero essere mobilitati per indurla a cambiare strada. «Il
collegamento in rete delle associazioni di volontariato con le strutture
pubbliche consultoriali e ospedaliere e con tutti gli altri servizi
socio-sanitari operanti sul territorio appare lo strumento più idoneo (…)
a perseguire gli obiettivi di tutela della maternità e di prevenzione
affermati solennemente - il documento dice proprio così - dalla legge n.
194». Al problema dell’obiezione di coscienza
si aggiunge «un certo disinteresse delle giovani generazioni di ginecologi
nei confronti della problematica dell’Ivg». Mentre la via dell’aborto
legale e gratuito è ostacolata dalla mancanza di personale medico e
paramedico, permane l’aborto clandestino, imputabile in primo luogo alle
organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione (per
inciso va detto: la proposta di legge Bossi-Fini-Prestigiacomo sulla
prostituzione rafforza il potere di tali organizzazioni eliminando la
possibilità di un contatto diretto delle sex-workers con le unità di
strada che operano portando informazioni e contraccezione), in secondo
luogo alla «paura, ancora esistente in certe fasce di popolazione e
soprattutto nei piccoli centri, le quali temono che, andando in ospedale,
il ricorso all’Ivg possa essere di pubblico dominio, anche se la legge
garantisce l’anomimato». Del «colloquio» si ribadisce che non deve essere mirato a capire perché la donna intenda abortire, ma perché si sia trovata nella condizione di gravidanza indesiderata. Il comportamento corretto è individuato nell’ascolto piuttosto che nella persuasione. Si possono certo offrire alternative, ma ove la donna lo chieda e nel rispetto delle sue scelte etiche (come previsto dalle leggi 194 sull’interruzione di gravidanza e 405/75 sui consultori familiari). Si ragiona su come garantire la presenza minima di un numero di medici non obiettori in ospedale, sulla necessità di mediatrici culturali che diano alle donne straniere non solo informazioni che spesso il medico italiano non è in grado di offrire, ma anche l’accoglienza necessaria ad elaborare non l’interruzione della gravidanza come dramma, ma la gravidanza non voluta come espressione di un conflitto, spesso di un trauma. Si ragiona di spazi per parlarsi tra donne che stanno vivendo l’interruzione di gravidanza, per confrontarsi, per non trovarsi sole. Ci si confronta su cosa si intenda per
potenziamento del consultorio, su come si siano trasformati questi servizi
dalle origini ad oggi, su quali siano le pressioni sulle operatrici, su
come le donne vivano questi luoghi e quali richieste portino alla
medicina. Si riconduce l’aborto nell’ambito della relazione tra i sessi,
delle diverse forme di responsabilità maschile e femminile nella
procreazione, dell’asimmetria tra uomini e donne nella riproduzione. Nei quartieri si formano collettivi. Alle
riunioni, le giovani dicono: lotto per un diritto che ho ricevuto e mi
stanno togliendo; le meno giovani: sono qui a ribadire un diritto per cui
ho lottato; le straniere: lotto con voi per difendere un diritto che non
abbiamo mai avuto. Ci si conosce, ci si incontra, ci si confronta: “è ora
di agire”. questo articolo è apparso su
Liberazione del 12 febbraio 2006 |