da
Liberazione del 7 Gennaio 2005
Il movimento dei movimenti e "noi"
di Michela Puritani*

Debora Hirsch
Ciò che in questa discussione risulta
ancora poco chiaro è che il movimento dei movimenti ha cambiato
l'orizzonte anche della politica delle donne. Comprendere i mutamenti non
è facile perché, come sempre accade, i fatti precedono la loro
sistemazione teorica.
Succedono cose nuove, ma non esistono
ancora parole nuove per dirle. Tra le cose nuove che si possono cominciare
a dire o tentare di dire, ce n'è una che mi sembra la chiave per
comprendere le differenze di angolo di visuale. In questo movimento il
"noi" non si costruisce più secondo le linee di divisione del passato: le
giovani, le quasi-giovani, le non più giovani, le lesbiche, le
costruzioniste, le differenzialiste ecc. Il movimento dei movimenti fa e
disfa dei "noi" secondo obiettivi, progetti e scadenze.
Il "noi" non è determinato dall'identità
e dall'ideologia, ma da ciò che si fa. Per questo, anche se appartengo
alla generazione successiva a quella di Linda Santilli (che partecipato al
dibattito su queste pagine) non trovo strano che donne non più giovani
parlino di "noi", cioè insieme di me, di se stesse e del nostro fare
comune.
Questo non vuol dire che i dati anagrafici o sociali non contino. Contano,
ma costruiscono altre e diverse geometrie politiche.
Le giovani, quelle che come me hanno contribuito in prima persona ad
animare, promuovere, sostenere le iniziative degli ultimi anni contro la
globalizzazione neoliberista, hanno alle loro spalle un'esperienza
certamente limitata. Non hanno conosciuto e sperimentato le fasi alterne
di avanzamento e riflusso del movimento femminista in Italia. Tuttavia
appartenere a una nuova generazione non significa solo avere meno (meno di
età e meno di esperienza), ma anche possedere un bagaglio diverso di
esperienze. Mi sono formata in quello che abbiamo chiamato "movimento dei
movimenti"; insieme ad altre ragazze ho vissuto intensamente l'esperienza
di Genova; ho inteso quel movimento come luogo in cui lavorare per lo
sviluppo del conflitto sociale. Ho perciò considerato ovvio che, se il
movimento simbolicamente partito da Seattle ha in questi anni cambiato
alcune cose nel modo di fare politica, i cambiamenti avrebbero dovuto
interessare anche il femminismo.
Non sempre però chi vive esperienze qualitativamente nuove ha l'esatta
percezione delle novità. Come ho già cercato di dire, non è facile vivere
e nello stesso tempo commentare ciò che si vive, fare la didascalia a
esperienze emozionanti, a conflitti e a speranze.
Il secondo commento che si può tentare, è strettamente legato a quello sul
"noi", riguarda l'esigenza di agire di fronte alle drammatiche emergenze
del nostro tempo.
Devo dire che è stata proprio quest'ultima esigenza ad avvicinare molte di
noi alla Marcia mondiale delle donne; è stata l'impellenza di questo
bisogno a farci propendere per una decisa internità ai luoghi di movimento
che sono stati aperti in questi anni, dai Social Forum territoriali ai
coordinamenti tematici, alle reti sociali. A un certo punto del nostro
percorso abbiamo poi scelto il tema della precarietà quasi automaticamente
e naturalmente e il nostro impegno ha visto una partecipazione crescente
di collettivi e di singole donne.
L'esistenza e le pratiche di gruppi o collettivi di giovani donne, che
sperimentano iniziative contro gli effetti nefasti del neoliberismo e
della guerra, ci dice anche altro sulla nuova ondata di femminismo. Come
la sua parte maschile (almeno nei momenti migliori) e nello stesso tempo
in modo diverso dalla sua parte maschile, questo femminismo si sforza di
creare connessioni, di valorizzare ciò che accomuna piuttosto che ciò in
cui si differisce, nella convinzione che sia la messa in relazione a
costituire la forza di questo movimento. Per questo abbiamo accettato la
sfida di confrontarci con gli altri soggetti della politica che in questi
anni sono scesi nelle piazze contro la guerra globale permanente, contro
l'esistenza dei Centri di permanenza temporanea, contro l'abolizione
dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, contro il pacchetto Treu e
la legge 30, senza rinunciare a difendere con forza le nostre ragioni
all'interno del movimento stesso anche attraverso la polemica e il
conflitto.
E' forse un caso se proprio questa nuova ondata femminista ha compreso
anche prima di molte femministe di grande esperienza e autorità
l'importanza della battaglia contro la legge sulla fecondazione assistita
(PMA). Collettivi di ragazze hanno avuto un ruolo determinante nella
manifestazione che ha attraversato il centro di Roma nel luglio del 2002,
e non solo perché c'erano, ma anche perché hanno provato (in quella e in
altre occasioni) a coinvolgere il movimento tutto. Ma anche in questo caso
non si è trattato di una questione di età, ma di posizione rispetto al
movimento con cui l'età ha ovviamente qualcosa a che fare, visto che uno
dei suoi effetti virtuosi è stato quello di coinvolgere persone giovani e
di avvicinarle per la prima volta alla politica.
Un ultimo commento, infine. Contrariamente ad altre fasi della storia, in
cui la politica delle donne ha fatto irruzione nelle brecce aperte dagli
uomini, questa volta le donne hanno anticipato gli uomini, se è vero che
in una qualche misura Hairou è stata un'anticipazione di Porto Alegre. Si
è parlato anche di femminilizzazione dell'antagonismo. Bisognerebbe ora
cominciare a chiedersi quali responsabilità questo comporti per il
femminismo e per le donne.
*Collettivo
femminista La mela di Eva
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