13 febbraio, qualcosa  che c’è e qualcosa che manca   
         
      di Floriana Lipparini 
       
       
         
      Sulla scia di molti interventi critici che si stanno moltiplicando,   cerco di riflettere sulla chiamata  delle donne alla protesta che in questi giorni dilaga. Cos’è che non mi  convince ma nel medesimo tempo non mi lascia nemmeno la possibilità di starne tranquillamente  fuori?  
        Qualcosa che c’è e qualcosa che manca. Naturalmente è frustrante  che periodicamente qualcuna inciti le altre donne a svegliarsi come se nel  frattempo fossimo state tutte belle addormentate. Certo, le moltissime che hanno  nonostante tutto continuato a ragionare, scrivere e parlare non sono però  riuscite a “bucare” i media (e io sono fra queste). Dati i tempi probabilmente  è una colpa… La fatica per resistere in tutti questi anni di voragine sembra  non aver dato molti frutti.  
         
        Tuttavia, se è giusto riconoscere le inesorabili leggi del  tempo e quindi dare il merito a chi oggi riesce a farsi ascoltare, è anche  necessario domandarsi cos’è che trasmette il messaggio veicolato dagli appelli,  e se corrisponde al nostro personale sentire. 
        Diversi rischi sono in agguato: la vecchia strumentale distinzione  fra donne “per bene” e donne “per male”, il moralismo di stampo cattolico, l’uso  delle donne come risorse salvifiche dell’ultima spiaggia, a destra e a sinistra… 
        Mi chiedo allora: questa protesta cosa vuole davvero essere?  Un gesto di soggettività politica o, come si accusa da alcune parti, un  perbenismo moralista, ossia la voglia di dire: noi non siamo come le veline,  noi non siamo puttane, non ci riconosciamo nel modello escort, quello è un  mondo che non ci riguarda? 
         
        Non è questo il cuore del problema e il senso della  ribellione, dal mio punto di vista. Purtroppo questo modello e questo mondo ci  riguardano e ci interpellano in senso molto più ampio. Come possiamo parlare di  diritti delle donne, di libertà delle donne, di dignità delle donne, disquisire  di “escort” e di prostituzione, ignorando però sistematicamente la condizione  tragica delle prostitute straniere vittime di tratta, gli abusi sulle migranti nei  Cie commessi da rappresentanti delle forze dell’ordine, le torture e gli stupri  inflitti alle donne nei campi di detenzione della Libia che i governi dell’Europa  di Frontex, compreso quello di Berlusconi, sostengono e finanziano?  
        Se non si esplicitano e si approfondiscono i contenuti degli  appelli, ho l’impressione che l’altra faccia della protesta rischi di essere il  silenzio sugli uomini di ogni parte politica che usano e disprezzano le “altre”  prostitute, quelle che ogni giorno rischiano il carcere e la vita. Il silenzio  sulla domanda di sesso mercenario che sta all’origine della tratta. Il silenzio  sugli uomini “normali” che vanno nei Paesi esotici a comprarsi minorenni. Il  silenzio sulla realtà dei Cie e su quello che avviene al loro interno…  
         
        Allora qui non si tratta di moralismo o moralismi, ma di una  ribellione che dovrebbe essere essenzialmente, squisitamente politica nel senso  alto del termine, ossia quel senso che non separa il personale dal politico. Siamo  di fronte a qualcosa che va persino oltre il solito, brutale scambio  sesso-denaro-potere: siamo alla mercificazione dei rapporti, della mente, del  corpo, del lavoro, siamo alla totale mercificazione della politica e della vita,  a un’inaccettabile idea del mondo e delle relazioni di potere e di dominio, di  cui il rapporto fra i sessi è la più evidente rappresentazione, ma non la sola.  
         
        In questo contesto che spazio potrebbe mai avere la speranza  di cambiamento rappresentata dalla soggettività, dall’autonomia, dall’autodeterminazione  delle donne?  È su questo che io insieme  a molte altre donne voglio ragionare. Non posso ovviamente sapere se ogni donna  che sarà nelle piazze il 13 febbraio condivide questi pensieri, posso solo  augurarmelo, anche se credo si possa stare insieme senza essere replicanti l’una  dell’altra, e rispettando le differenze.  
      
    11-02-2011 
      
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