Lettera al direttore pubblicata su Il Manifesto del 25 Ottobre 2004

Qualcosa da condividere

di Lea Melandri


Kiki Smith


Caro Barenghi,

leggo, affiancati su "Carta bianca" (Il Manifesto 23.10.04), l'articolo di Asor Rosa, "Incontri a sinistra", e la tua risposta al lettore che si interroga su quale "compromesso" si possa fare "tra politica e movimento".

Mi viene spontaneo confrontare la frase che trovo in apertura nello scritto di Asor Rosa -"Constato che non è intervenuta nessun'esponente dei gruppi e movimenti femminili e/o femmnisti"- e quella, tua, che riprende in sintesi gli interrogativi posti dal lettore: "questi quattro capitoli messi insieme (il mondo del lavoro, l'immigrazione, l'economia liberista, la guerra) rappresentano efficacemente la questione generale che la politica di oggi si trova a dover affrontare".

Da quello che si è potuto sapere del Social Forum europeo di Londra, i temi del dibattito sono stati approssimativamente gli stessi. Né i partiti né i movimenti sembrano dunque attribuire un qualche rilievo a problematiche di cui si parla sempre più spesso negli ultimi tempi, e che sono sicuramente uno dei fattori non secondari dello "scontro" tra Occidente e Islam, oltre che della ripresa dei fondamentalismi religiosi.

Mi riferisco in particolare ai mutamenti riguardanti il rapporto tra i sessi, la famiglia, l'omosessualità, la maternità.
La risposta agli interrogativi di Asor Rosa è già qui: non c'è nessun "nuovo modo" di far politica, perché la politica continua a pensarsi separata da esperienze umane essenziali, lasciate alla storia della "persona" o ai territori del "sacro, e quindi alla giurisdizione delle chiese, svincolata dal sesso di appartenenza dell'unico soggetto storico che l'ha praticata, e quindi "neutra", incapace di interrogare il suo linguaggio, le sue categorie concettuali, le sue forme organizzative.

Quanto al femminismo, è più rassicurante pensare che sia morto, "sprofondato come una voragine sull'autostrada", come ha scritto Sofri (La repubblica 17.8.04), o restio ad assumersi responsabilità politiche, piuttosto che riconoscere quanto sia ancora esteso il potere maschile nella vita pubblica, quanto sia difficile per donne "connotate di femminismo" accedere ai giornali, essere lette e discusse. Per "incontrarsi" bisogna avere qualcosa da condividere, e la coscienza di essere uomini e donne, con tutto il peso di pregiudizi, storture immaginarie, violenze che questo presuppone, resta, per me come per molte altre, la condizione imprescindibile per tornare anche solo a confliggere, che è già un modo per uscire dal silenzio e dall'indifferenza reciproca.

Non vorrei che l'unica "sfida" politica, che una parte del femminismo è tentata di raccogliere, fosse quella della Chiesa, preoccupata di salvare, dalla crescente "confusione" dei sessi, la "natura" sacrificale e salvifica della donna.