Quanta
paura per una parola!
Settecento modi per dire lesbica
di
Maria Rosa Cutrufelli

Judy Chicago
"E'
una parola impronunciabile, bisogna trattenere il respiro per dirla
in bocca a mia madre è come il sibilo di un serpente",
confessava Kate Millett in un vecchio libro autobiografico (In
volo, uscito a metà degli anni settanta). La parola in
questione era: lesbica.
Sono passati più di quarant'anni, siamo ormai nel terzo millennio,
le città del mondo sono state invase dai cortei dell'orgoglio omosessuale,
si organizzano festival di cinema, vengono pubblicate (con successo) antologie
di racconti, nei telefilm, anche in quelli dedicati a un pubblico giovanile,
si narrano storie di vite gay, ma questa parola - lesbica - sembra che
susciti ancora paura. Così dicono alcune delle donne intervistate
nel bel libro
Cocktail d'amore: "ci sono momenti in cui mi sento
veramente libera, ma altri in cui sono ripresa dal senso di bruttezza
di questa parola. Non è una parola neutra, è fortemente
connotata al negativo, ed è così in parte anche dentro di
me...". E un'altra: "è una parola che porta con sé
della violenza e usarla, a volte, lo trovo violento".
Dunque la paura non è passata e nemmeno la vergogna, nonostante
la consapevolezza del diritto a vivere la propria sessualità, nonostante
la capacità di riconoscere, nominare e anche rappresentare in arte
come in politica il proprio desiderio.
E questa è la parte oscura della realtà lesbica. Ma c'è
poi una parte chiara, positiva, forte e nuova. Che le autrici di Cocktail
d'amore indagano e descrivono con passione per stanare i fantasmi
residui, "per far sentire che esistiamo", "per far emergere
questo immenso iceberg", "per capirci e farci capire".
Siamo perciò di fronte a un testo dichiaratamente politico nelle
sue intenzioni, un testo collettivo "che parla di lesbiche, scritto
da lesbiche" che per più di un anno hanno discusso di sé,
si sono confrontate con le altre, hanno formulato e distribuito un questionario
molto ricco e molto dettagliato, hanno raccolto dati ma soprattutto esperienze,
hanno fatto autocoscienza elaborando teorie, incontrando filosofe che
hanno "pensato" la soggettività lesbica, come Teresa
de Lauretis.
Il risultato del loro lavoro è un libro per molti versi straordinario,
che da una parte offre alla riflessione di tutti e di tutte una serie
di dati che potremmo definire "sociologici", dall'altra ci presenta
un inedito, affascinante affresco dei "settecento e più modi
d'essere lesbica" oggi, che ci rende partecipi dei sentimenti, delle
aspirazioni e delle difficoltà delle singole donne e al tempo stesso
ci fa entrare nei locali lesbici, nei gruppi, nelle comunità. Le
autrici affrontano e analizzano temi di carattere sociale o politico,
come il lavoro, la cultura, i rapporti con il femminismo, e temi intimi,
personali, come la maternità, la gelosia, l'amicizia. E il rapporto
di coppia, naturalmente. Facendo giustizia di molti stereotipi. Primo
fra tutti quello che presenta la coppia lesbica come un facsimile della
coppia eterosessuale, una famiglia in formato ridotto che al suo interno
riprodurrebbe la tradizionale divisione dei ruoli (maschile/femminile,
attivo/passivo). Niente di più falso.
Grazie al cielo, non siamo più ai tempi del Pozzo della solitudine,
primo e classico romanzo della "dannazione" lesbica. E forse
neppure
allora, a ben vedere
Dice infatti un'intervistata: "Per
fortuna le lesbiche non hanno l'idea del principe azzurro che le sposerà
e le
manterrà". Si tratta per lo più, nel presente come
nel passato, di donne autonome e indipendenti.
Anche se poi le ombre non mancano, perché in una coppia la gestione
del potere e la gestione della quotidianità restano problemi aperti.
Per tutti e per tutte. Eterosessuali, omosessuali, lesbiche. E le autrici
non lo nascondono, perché non intendono idealizzare una situazione
ma semplicemente rappresentarla nella sua verità. O nelle sue possibili,
molteplici verità. Un intento che viene riaffermato con coerenza
in chiusura del libro: "Il nostro impegno, i nostri pensieri e
il nostro desiderio sono rivolti alla costruzione di un mondo in cui chiunque
sia portatore di una diversità possa vivere senza nascondimento
e paura. Senza quell'ipocrisia imposta da chi vuol negare che la luce
è un insieme di colori".
Articolo
pubblicato su Liberazione del 24/4/2005
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