Una nera rabbia di poesia

Pierpaolo Pasolini, letto e interpretato da Giulio Stocchi

I1 me vlàs l'è finìt.
Dols odòur di polenta
e tris?c' sígus di bòus.
I1 me viàs l'è finìt.
"Ti vens cà di nualtris,
ma nualtris si vif,
a si vif quiès e muàrs
coma n'aga ch'a passa
scunussuda enfra i bars".


I1 mio viaggio è finito. Dolce odore di polenta e tristi gridi di buoi. I1
mio viaggio è finito. "Tu vieni qui fra noi, ma noi si vive, si vive quieti e
morti, come un'acqua che passa sconosciuta tra le siepi ".
(Tornant al paìs (1941) in La meglio gioventù, Torino, Einaudi 1975, p. 18)

Ohi, Ninarieddo, ti ricordi di quel sogno
di cui abbiamo parlato tante volte
Io ero in macchina, e partivo solo, col sedile
vuoto accanto a me, e tu mi correvi dietro;

El me viàs l'è finit…

all'altezza dello sportello ancora semiaperto,
correndo ansioso e ostinato, mi gridavi
con un po' di pianto infantile nella voce:
Pa', mi porti con te ? Me lo paghi il viaggio ? "
Era il viaggio della vita
(Uno dei tanti epiloghi (1969) in Trasumanar e organizzar, Milano, Garzanti 1971, p.74)


El me vias l'è finit.
"Ti vens cà di nualtris
ma nualtris si vif,
a si vif quiès e muàrs
coma n'aga ch'a passa
scunussuda enfra i bars".

"Tu vieni qui fra noi, ma noi si vive, si vive quieti e
morti, come un'acqua che passa sconosciuta tra le siepi "…


Mostrare la mia faccia, la mia magrezza ?
alzare la mia sola, puerile voce ?
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, con la più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
(La Guinea (1961) in Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti 1964, p. 15)


Ohi, Ninarieddo, ti ricordi di quel sogno
di cui abbiamo parlato tante volte…

i poeti, destinati a intravedere nel contrario
di ciò che fanno, la libertà, sono poeti del bene comune,
e, senza complicità, sarebbero incomprensibili.
Essi non vogliono avere diritti -
nello scherzo o nella superbia essi non fanno altro
che chiedere pietà a chi, se proprio vogliono, gliela concede
(Libro libero (1970) in Trasumanar, cit. pp. 148-149)


Tutto il mondo è il mio corpo insepolto.
Atollo sbriciolato
dalle percosse dei grani azzurri del mare
(Le belle bandiere (1962) in Poesia in forma di rosa cit., pp. 124-125)


Io ero in macchina, e partivo solo, col sedile
vuoto accanto a me…

Tutte le piaghe sono al sole
ed Egli muore sotto gli occhi
di tutti

e tu mi correvi dietro…

Perché Cristo fu ESPOSTO in Croce?
Oh scossa del cuore al nudo
corpo del giovinetto… atroce
offesa al suo pudore crudo…

Bisogna esporsi (questo insegna
il povero Cristo inchiodato?)

I poeti non fanno altro
che chiedere pietà…

Noi staremo offerti sulla croce,
alla gogna, tra le pupille
limpide di gioia feroce,
scoprendo all'ironia le stille
del sangue dal petto ai ginocchi,
miti, ridicoli, tremando
d'intelletto e passione nel gioco
del cuore arso dal suo fuoco,
per testimoniare lo scandalo.
(La crocifissione (1948) in L'usignolo della chiesa cattolica, Torino, Einaudi 1976, pp. 85-86)


Nulla è più terribile
della diversità. Esposta ogni momento
- gridata senza fine - eccezione

incessante - follia sfrenata
(La realtà (1960) in Poesia in forma di rosa cit., p. 49)


Arrossisci?
Pensati tredicenne,
in treno, con le mani
strette sul grembo tenero.

Pensati sotto il fiotto
della doccia, a Bologna,
col costume disciolto
ebbro di vergogna.
(Solitudine (1946) in L'usignolo cit., p. 47)


Tutte le piaghe sono al sole…

Mi innamoro dei corpi
che hanno la mia carne
di figlio -col grembo
che brucia di pudore-
i corpi misteriosi
d'una bellezza pura
vergine e onesta, chiusi
in un gioco ignaro
di sorrisi e di grazia…
(Memorie (1948) in L'usignolo cit., p. 77)


I poeti non fanno altro
che chiedere pietà a chi, se proprio vogliono, gliela concede…

In un debole lezzo di macello
vedo l'immagine del mio corpo:
seminudo, ignorato, quasi morto.
E' così che mi volevo crocifisso,
con una vampa di tenero orrore,
da bambino, già automa del mio amore.
(L'ex vita (1948) in L'usignolo cit., p. 108)

Ma c'è nell'esistenza
qualcos'altro che amore
per il proprio destino.

E' un calcolo senza
miracolo che accora
o sospetto che incrina.

La nostra storia! morsa
di puro amore, forza
razionale e divina.
(La scoperta di Marx (1949) in L'usignolo cit., p. 126)


Ti vens cà di nualtris..
"Tu vieni qui fra noi, ma noi si vive, si vive quieti e
morti, come un'acqua che passa sconosciuta tra le siepi "…

Ti ricordi di quella sera a Ruda?
Quel nostro darsi, insieme, a un gioco
di pura passione, misura della nostra cruda

gioventù, del nostro cuore ancora poco
più che puerile? Era una lotta
bruciante di se stessa, ma il suo fuoco

si spandeva oltre noi; la notte,
ricordi?, ne era tutta piena nel fresco
vuoto, nelle strade percorse da frotte

di braccianti vestiti a festa

E poi le canzoni, i poveri bicchieri
di vino su tavoli dentro la buia
osteria le chiare faccie dei festeggieri

intorno a noi, i loro certi occhi sui
nostri incerti, le scorate armoniche
e la bella bandiera nell'angolo più

in luce dell'umido stanzone
(Quadri friulani (1955) in Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti 1957, pp. 61-62)


mi gridavi
con un po' di pianto infantile nella voce:
Pa', mi porti con te ? Me lo paghi il viaggio ?…

…ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare

ancora dolce la sera…

….… Gli ultimi avventori

chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.

Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,

le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa

delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato

a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire

che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono

fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi

vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare

esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognuno, era il mondo.
Il pianto della scavatrice (1956) in Ceneri cit, pp. 98-99)


Ti vens cà di nualtris…
"Tu vieni qui fra noi, ma noi si vive, si vive quieti e
morti, come un'acqua che passa sconosciuta tra le siepi "…

Manca poco alla cena;

brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,

verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d'immondizia
nell'ombra, rintanate zoccolette

che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca
(Le ceneri di Gramsci (1954) in Ceneri, cit., p. 83)


Sesso, consolazione della miseria!
La puttana è una regina, il suo trono
è un rudere, la sua terra un pezzo
di merdoso prato

Ma nei rifiuti del mondo, nasce
un nuovo mondo: nascono leggi nuove
dove non c'è più legge; nasce un nuovo
onore dove onore è il disonore...
Nascono potenze e nobiltà,
feroci, nei mucchi di tuguri,
nei luoghi sconfinati dove credi
che la città finisca, e dove invece
ricomincia, nemica, ricomincia
per migliaia di volte, con ponti
e labirinti, cantieri e sterri,
dietro mareggiate di grattacieli,
che coprono interi orizzonti
(Sesso, consolazione della miseria (1955) in La religione del mio tempo, Poesie, Garzanti 1971, p.178)

Roma spalmata come fango sulla lama
infiammata del cielo, ragazzi in fiore,
tutta l'estate nella maglietta grama
(La persecuzione (1962) in Poesia in forma di rosa cit., p. 70)


" Fèrmete, a Pa', dà du' carci co' nnoi! "
Giorgio, Giannetto, Carlo, il Moro,
e gli altri, i pigri venticinquenni,
già un po' stempiati, con qualche annetto di galera;
i fratelli minori di primo pelo, chi
come un lieto pagliaccio dentro i panni del padre.
Correndo, Giorgio ha la faccia di Carlo Levi,
divinità propizia, facendo una rovesciata,
Giannetto ha l'ilarità di Moravia, il Moro
rimandando, è Vigorelli, quando s'arrabbia o abbraccia,
e Coen, e Alicata, e Elsa Morante, e i redattori
del Paese Sera o dell'Avanti, e Libero Bigiaretti,
giocano con me, tra gli alberetti del Trullo,
chi in difesa, chi all'attacco.
E accanto a un dorato immondezzaio c'è Ungaretti, che ride.
E i giovani, che, ai giovani del Trullo, son fratelli,
Siciliano, Dacia, Garboli, Bertolucci figlio; e, come Sordello,
disapprovante e innamorato, Citati. E chi è là,
su quella terra con un barattolo rosa e un torsolo giallo?
Baldini e Natalia. Roversi e Leonetti
e Fortini, scendono alla fermata dell'autobus
(Pietro II (1964) in Poesia in forma di rosa cit., pp. 79-80)


Mostrare la mia faccia, la mia magrezza ?
alzare la mia sola, puerile voce ?
non ha più senso

Tutto il mondo è il mio corpo insepolto.
Atollo sbriciolato…

disperate
vibrazioni raschiano il silenzio
che perdutamente sa di vecchio latte,

di piazzette vuote, d'innocenza.
Già almeno dalle sette, quel vibrare
cresce col sole.

Ma tra gli scoppi testardi della
benna, che cieca sembra, cieca
sgretola, cieca afferra,

quasi non avesse meta,
un urlo improvviso, umano,
nasce, e a tratti si ripete,

così pazzo di dolore, che, umano,
subito non sembra più, e ridiventa
morto stridore.


A gridare è, straziata
da mesi e anni di mattutini
sudori-accompagnata

dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco
sterro sconvolto, o, nel breve confine

dell'orizzonte novecentesco,
tutto il quartiere…` È la città,
sprofondata in un chiarore di festa,

-è il mondo. Piange ciò che ha
fine e ricomincia. Ciò che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa

cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch'è rancore;
ciò che era quasi una vecchia fiera

di freschi intonachi sghembi al sole,
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch'è spento dolore
(Il pianto della scavatrice (1956) in Ceneri cit., pp. 116-118)


Ti ricordi di quella sera a Ruda?
la bella bandiera nell'angolo più
in luce dell'umido stanzone
le chiare faccie dei festeggieri
intorno a noi, i loro certi occhi sui
nostri incerti, le scorate armoniche…

una musica intonata dalle bande
sparse qua e là, luccicando l'ottone
tra magliette e coccarde rosse,

nell'ingorgo del fiume senza nome.
Ed ecco, incerto, un vecchio si leva
dalla testa bianca il berretto,

afferra nella nuova ventata di passione
una bandiera retta sulle spalle
da uno che gli è davanti, al petto

se la stringe, e poi mentre cantano
tutti, affratellati intorno alle gialle
trombe paesane, si pianta

sulle vacillanti gambe, e scuote
al tempo la bandiera a lui santa
sopra le teste, cantando con voce

rauca, di povero manovale ubriaco.
Poi il canto, che s'era levato
gioioso, disperato, cessa, e il vecchio

lascia cadere la bandiera, e lento,
con le lacrime agli occhi,
si ricalca in capo il suo berretto.
(Una polemica in versi (1956) in Ceneri cit., pp. 128-129)


In un ordine che è spento dolore

Di colpo i miei amici poeti,
che condividono come me il brutto biancore
di questi Anni Sessanta,
uomini e donne, appena un po' più anziani
o più giovani - sono là, nel sole.

Non ho saputo avere la grazia
per tenermeli stretti - nell'ombra di una vita
che si svolge troppo attaccata
all'accidia radicale della mia anima.
(Le belle bandiere (1962) in Poesia in forma di rosa cit., p. 124)


Nel brutto biancore
di questi Anni Sessanta…

Tutto mi dà dolore: questa gente

che segue supina ogni richiamo
da cui i suoi padroni la vogliono chiamata,
adottando, sbadata, le più infami

abitudini di vittima predestinata;
il grigio dei suoi vestiti per le grige strade;
i suoi grigi gesti in cui sembra stampata

l'omertà del male che l'invade;
il suo brulicare intorno a un benessere
illusorio, come un gregge intorno a poche biade;

la sua regolarità di marea, per cui resse
e deserti si alternano per le vie,
ordinati da flussi e da riflussi ossessi

e anonimi di necessità stantie;
i suoi sciami ai tetri bar, ai tetri cinema,
il cuore tetramente arreso al quia...
(La religione del mio tempo (1962) in Religione cit., p. 238)


Una nera rabbia di poesia nel petto.
Una pazza vecchiaia di giovinetto.
(Frammento alla morte (1969) in Religione cit., p. 304)


La morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter piu essere compresi
(Una disperata vitalità (1963) in Poesia in forma di rosa cit., pp. 131-132)


Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d'esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate, a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d'amore,
se non d'un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v'hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l'antico, vergognoso segreto
d'accontentarsi dei resti della festa.
(Ballata delle madri (1962) in Poesia in forma di rosa cit., pp. 7-8)


Una nera rabbia di poesia nel petto…

Ma perché c ostringermi a odiare, io
che quasi grato al mondo per il mio male, il mio

essere diverso -e per questo odiato-
pure non so che amare, fedele e accorato?
(Récit (1956) in Ceneri cit., p. 91)


È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perchè l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
(Supplica a mia madre (1963) in Poesia in forma di rosa cit., p. 29)


La solitudine: bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c'è;
specie d'inverno; col vento che tira sull'erba bagnata,
e coi pietroni tra l'immondizia umidi e fangosi;
non c'è proprio nessun conforto, su ciò non c'è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
I1 sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
- e anche d'inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d'immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti - non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l'ora di cena,
e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po' di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare ?
Non c'è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
(Versi di un testamento (1971) in Trasumanar cit., pp. 106-107)


Tutto il mondo è il mio corpo insepolto.
Atollo sbriciolato
dalle percosse dei grani azzurri del mare…

Saliranno dal fondo del mare
migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedi di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camice americane.

Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
sailiranno dal fondo del mare per uccidere, - scenderanno dall'alto del cielo
per espropriare - e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita

per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
(Profezia (1964) in Poesia in forma di rosa cit., pp. 101-103)


Ma cco Pietro II, che scende sulla sua piazza,
d'improvviso deserta, e nel trauma
della ferita che gli traccia due solchi di sangue
sul petto, si passa, sul petto, sulle vesti, le mani
stupito di essere cosl solo, di dover morire.
" Fui Papa - grida - per amore poetico di Cristo. "
Nessuno lo capisce, nè i borghesi nè i barbari.
L'età è la nostra, solo più prossima alla fine,
ed è l'inizio della Nuova Preistoria.
(Pietro II (1963) in Poesia in forma di rosa cit., p. 77)


Dols odòur di polenta
e tris?c' sígus di bòus…

Dolce odore di polenta e tristi gridi di buoi…

El me viàs l'è finit….

I1 pòpul al era il furmínt ch'a no'1 mòur.
Adès al scumínsia a murí. Qualchidún
a à tociàt la so anima. Bocis e òmis
a vivin, brus e tris'c, coma ta un siún.

A son coma màs, a no cognossin pietàt,
a zirin blancs di musa coma rinegàs,
par chel puc di richessa e libertàt
che forsi àn vulút, ma no si son vuadagnàs.


Il popolo era il frumento che non muore. Adesso comincia a morire. Qual-
cuno ha toccato la sua anima. Ragazzi e uomini, vivono, brutti e cattivi,
come in un sogno.

Sono come pazzi, non conoscono pietà, girano bianchi in faccia come rin-
negati, per quel po' di ricchezza e libertà, che forse hanno voluto, ma non
si sono guadagnati.
(Agli studenti greci in un fiato (1974) in Tetro entusiasmo - Nuova forma de La meglio gioventù, Torino, Einaudi 1975)

La massa, non il popolo, la massa
decisa a farsi corrompere
al mondo ora si affaccia,
e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video
si abbevera, orda pura che irrompe
con pura avidità, informe
desiderio di partecipare alla festa.
(Il glicine (1960) in La religione cit., p. 315)


Non hanno eletto un superiore, ma un loro pari
Per la prima volta nella storia delle democrazie
Non hanno voluto scegliere un uomo superiore;
ma uno ignorante come loro; con la loro faccia -
un po' troppo, e involontariamente, espressiva
un uomo con cui si orina agli orinatoi come con un fratello
E allora cosa aspettano, questi idioti,
ad ammazzarmi (o almeno a sputarmi in faccia)
(Poema politico (1971) in Trasumanar cit., pp. 159-160)


Come dice Euripide: "La democrazia consiste
in queste semplici parole:
chi ha qualche utile consiglio da dare alla sua patria ? "
Così, i miei consigli saranno di folle moderato.
Dopo la mia morte, perciò, non si sentirà la mia mancanza:
l'ambiguità importa finché è vivo l'Ambiguo.
(Comunicato all'Ansa (1969) in Trasumanar cit., p 69)


Ragazzi e uomini, vivono, brutti e cattivi,
come in un sogno…

Ed ecco alcuni giovani, con mustacchi di barbari,
e fronti dure e basse come quelle delle bestie da pascolo,
eccoli urlare alla provocazione coi modi della provocazione.
Sono, purtroppo, ciò che sembrano. Urlano:
" Non democrazia ma rivoluzione! " Li ha presi l'isteria.
Nessuno potrebbe mai trattenerli: il grido estremistico
li salva come una medicina che fa tacere la realtà.
Pallidi, con gli zigomi sporgenti, le piccole fronti dure,
i grandi baffi ritorti ad angolo retto, color tabacco.
(Trasumanar e organizzar (1971) in Trasumanar cit., p. 74)


Così, i miei consigli saranno di folle moderato…

Oh generazione sfortunata!
Cosa succederà domani, se tale classe dirigente -
quando furono alle prime armi
non conobbero la poesia della tradizione
ne fecero un'esperienza infelice perché senza
sorriso realistico gli fu inaccessibile
e anche per quel poco che la conobbero, dovevano dimostrare
di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal gioco.
Oh generazione sfortunata!
che nell'inverno del '70 usasti cappotti e scialli fantasiosi
e fosti viziata
chi ti insegnò a non sentirti inferiore -
rimuovesti le tue incertezze divinamente infantili-
chi non è aggressivo è nemico del popolo!
I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi
come oggetti di un vecchio nemico
sentisti l'obbligo di non cedere
davanti alla bellezza nata da ingiustizie dimenticate
fosti in fondo votata ai buoni sentimenti
da cui ti difendevi come dalla bellezza
con l'odio razziale contro la passione;
venisti al mondo, che è grande eppure cosi semplice,
e vi trovasti chi rideva della tradizione,
e tu prendesti alla lettera tale ironia fintamente ribalda,
erigendo barriere giovanili contro la classe dominante del passato
la gioventù passa presto; oh generazione sfortunata
arriverai alla mezza età e poi alla vecchiaia
senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere
e che non si gode senza ansia e umiltà
e così capirai di aver servito il mondo
contro cui con zelo " portasti avanti la lotta ":
era esso che voleva gettar discredito sopra la storia - la sua;
era esso che voleva far piazza pulita del passato - il suo;
oh generazione sfortunata, e tu obbedisti disobbedendo!
Era quel mondo a chiedere ai suoi nuovi figli di aiutarlo
a contraddirsi, per continuare;
vi troverete vecchi senza l'amore per i libri e la vita
e, se eravate intellettuali,
non voleste dunque esserlo fino in fondo,
mentre questo era poi fra i tanti il vostro vero dovere,
e perché compiste questo tradimento ?
per amore dell'operaio: ma nessuno chiede a un operaio
di non essere operaio fino in fondo
gli operai non piansero davanti ai capolavori
ma non perpetrarono tradimenti che portano al ricatto
e quindi all'infelicità
oh sfortunata generazione
piangerai, ma di lacrime senza vita
perché forse non saprai neanche riandare
a ciò che non avendo avuto non hai neanche perduto;
Io invecchiando vidi le vostre teste piene di dolore
dove vorticava un'idea confusa, un'assoluta certezza,
una presunzione di eroi destinati a non morire -
oh ragazzi sfortunati, che avete visto a portata di mano
una meravigliosa vittoria che non esisteva!
(La poesia della tradizione (1970) in Trasumanar cit., pp. 124-126)


Così, i miei consigli saranno di folle moderato…

Parla, qui, un misero e impotente Socrate
che sa pensare e non filosofare,
il quale ha tuttavia l'orgoglio
non solo d'essere intenditore
(il piú esposto e negletto)
dei cambiamenti storici, ma anche
di esserne direttamente
e disperatamente interessato.
(Versi sottili come la pioggia (1974) in Tetro entusiasmo cit., p. 254)


Dopo la mia morte, perciò, non si sentirà la mia mancanza:
l'ambiguità importa finché è vivo l'Ambiguo…

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza ?
alzare la mia sola, puerile voce ?
non ha più senso…

Bisogna condannare
severamente chi
creda nei buoni sentimenti
e nell'innocenza.

Bisogna condannare
altrettanto severamente chi
ami il sottoproletariato
privo di coscienza di classe.

Bisogna condannare
con la massima severità
chi ascolti in sé e esprima
i sentimenti oscuri e scandalosi.

Queste parole di condanna
hanno cominciato a risuonare
nel cuore degli Anni Cinquanta
e hanno continuato fino a oggi.

Frattanto l'innocenza,
che effettivamente c'era,
ha cominciato a perdersi
in corruzioni, abiure e nevrosi.

Frattanto il sottoproletariato,
che effettivamente esisteva,
ha finito col diventare
una riserva della piccola borghesia.

Frattanto i sentimenti
ch'erano per loro natura oscuri
sono stati investiti
nel rimpianto delle occasioni perdute.

Naturalmente, chi condannava
non si è accorto di tutto ciò:
egli continua a ridere dell'innocenza,
a disinteressarsi del sottoproletariato

e a dichiarare i sentimenti reazionari.
(Versi sottili come la pioggia (1974)in Tetro entusiasmo cit., pp. 253-254)


I1 pòpul al era il furmínt ch'a no'1 mòur.
Adès al scumínsia a murí. Qualchidún
a à tociàt la so anima…

Il popolo era il frumento che non muore. Adesso comincia a morire. Qual-
cuno ha toccato la sua anima…


El me viàs l'è finit…

E il vento, da Grado o da Trieste,
o dai mangredi sotto le Prealpi,
soffia e rapisce dalle meste

voci delle cene, qualche palpito
più puro, o nel brusio delle paludi
qualche più sgomento grido, o qualche

più oscuro senso di freschezza nell'umido
deserto degli arativi, dei canneti,
delle boschine intorno ai resultumi…

Sono sapori di quel mondo quieto
e sgomento, ingenuamente perso
in una sola estate, in un solo vecchio

inverno….
(Quadri friulani (1955) in Ceneri cit., p. 64)


Così darò consigli da folle moderato…

El me viàs l'è finit….
Io muoio e anche questo mi nuoce…

Così darò consigli da folle moderato…


A è quasi sigúr che chista
a è la me ultima poesia par furlàn;
e i vuèj parlàlghi a un fassista
prima di essi (o ch'al sedi) massa lontàn.

A1 è un fassista zòvin,
al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassút ta un país,
e al è zut a scuela in sitàt.

E quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano: e voglio par-
lare a un fascista, prima che io, o lui, siamo troppo lontani

un fascista giovane, avrà ventuno, ventidue anni: è nato in un paese e
è andato a scuola in città.

A1 è alt, cui ociàj, il vistít
gris, i clavie] curs:
quand ch'al scumínsia a parlàmi
i crot chta no'1 savedi nuja di politica

e chtal serci doma di difindi il latín
e il grec, cuntra di me; no savínt
se ch'i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpín.

alto, con gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti: quando comincia
a parlarmi, penso che non sappia niente di politica

e che cerchi solo di difendere il latino e il greco contro di me; non sapen-
do quanto io ami il latino, il greco - e i capelli corti. Lo guardo, è alto e
grigio come un alpino.

"Ven cà, ven cà, Fedro.
Scolta. I vuèj fati un discors
ch'al somèa a un testamínt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns

"Vieni qua, vieni qua, Fedro. Ascolta. Voglio farti un discorso che sem-
bra un testamento. Ma ricordati, io non mi faccio illusioni

su di te: io so, io so bene, che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore li-
bero, e non puoi essere sincero: ma anche se sei un morto, io ti parlerò.

Difendi i paletti di gelso, di ontano, in nome degli Dei, greci o cinesi.
Muori di amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.

Per il capo tosato dei tuoi compagni. Difendi i campi tra il paese e la cam-
pagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato

tra l'ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi
di questa idea, tienla nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia,

lo sai, è sapienza santa. Difendi, conserva, prega!

Dunque, ragazzo dai calzetti di morto, ti ho detto ciò che vogliono gli Dei
dei campi. Là dove sei nato. Là dove da bambino hai imparato

i loro Comandamenti. Ma in Città? Là Cristo non basta. Occorre la Chie-
sa: ma che sia moderna. E occorrono i poveri.

Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità. Ama
la loro voglia di vivere soli nel loro mondo, tra prati e palazzi

dove non arrivi la parola del nostro mondo; ama il confine che hanno se-
gnato tra noi e loro; ama il loro dialetto inventato ogni mattina,

per non farsi capire, per non condividere con nessuno la loro allegria.
Ama il sole di città e la miseria dei ladri; ama la carne della mamma nel
figlio.

Basta che doma il sintimínt
da la vita al sedi par diciu cunpàin:

E' sufficiente che solo il sentimento della vita sia per tutti uguale: il resto
non importa, giovane con in mano il Libro senza la Parola.

Hic desinit cantus. Prenditi tu, sulle spalle, questo fardello. Io non posso:
nessuno ne capirebbe lo scandalo. Un vecchio ha rispetto

del giudizio del mondo: anche se non gliene importa niente. E ha rispetto
di ciò che egli è nel mondo. Deve difendere i suoi nervi, indeboliti,

e stare al gioco a cui non è mai stato. Prenditi tu questo peso, ragazzo che
mi odii: portalo tu. Risplende nel cuore.

E jo ciminarai
lizèir, zint avant, sielzint par sempri
la vita, la zoventùt

E io camminerò leggero, andando
avanti, scegliendo per sempre
la vita, la gioventú ".
(Saluto e augurio (1974) in Tetro entusiasmo cit., pp. 255-259)


Atollo sbriciolato
dalle percosse…


E, da questo paese in cui non ebbe posa

la tua tensione, sento quale torto
-qui nella quiete delle tombe- e insieme
quale ragione -nell'inquieta sorte

nostra- tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
(Le ceneri di Gramsci (1954) in Ceneri cit., p. 75)


Tutto il mondo è il mio corpo insepolto...