Una bella storia, anzi due

Miranda Ragazzoni

L'anno scorso, al gruppo di Cernusco,  Maria Grazia Campari ha tenuto degli incontri sulla Costituzione, con particolare attenzione a quegli articoli che più da vicino hanno interessato e da allora modificato la vita delle donne; ci ha parlato di come sono nati, ci ha narrato le battaglie delle madri costituenti.
Parlai di questi incontri alla direttrice del coro in cui canto,  Alessandra Lazzerini,  che insegna storia e filosofia al liceo classico Simone Weil di Treviglio la quale, molto interessata, invitò Maria Grazia a tenere una conferenza  ad alcune sue classi, in particolare sugli artt. 37 e 51, in vista di una possibile loro partecipazione ad un concorso indetto dalla facoltà di giurisprudenza di Bergamo dal titolo "Un racconto, una sceneggiatura per la Costituzione".
Maria Grazia accettò, l'accompagnai a Treviglio e si prestò anche a ripetere la stessa conferenza due volte nella stessa mattinata, poiché all’iniziativa avevano aderito più classi del previsto e gli spazi per accoglierle erano limitati.
A partire da quell'incontro alcune studentesse hanno scritto un racconto... che ha vinto il primo premio al concorso suddetto, consistente in 500 euro per la scuola (!), ovviamente con molta soddisfazione da parte di tutti e con molti ringraziamenti a Maria Grazia.

 

 

Note di genere
(Artt. 37-51 della Costituzione italiana)

di Ingrid Alloni, Eliana Amboni, Giulia Conti
(studentesse del Liceo Classico Simone Weil di Treviglio)

 

Verso le due di notte il rumore del traffico fuori dalla finestra iniziò ad affievolirsi. Avevo imparato a memorizzare il ritmo con cui le macchine della circonvallazione sancivano le ore di punta del lavoro e delle serate di divertimento.
Non riuscivo ad addormentarmi quella notte. Ero incinta. Il test lo avevo lasciato nascosto nel quarto cassetto del bagno, più da me che dal mio compagno, speravo quasi che lasciandolo lì scomparisse da solo senza dovermi costringere a fare una scelta. Non avevamo cercato quel bambino, ma non avevamo neanche fatto niente per impedire che accadesse, semplicemente non ci pensavamo.
Con i nostri trent'anni appena compiuti, eravamo una di quelle tante coppie che, provenendo da una famiglia della media borghesia, tentava in ogni modo di mantenersi da sola agli stessi standard con cui si era cresciuti, senza rinunciare agli svaghi della fine della gioventù.
Gianpaolo aveva da poco iniziato a lavorare in una clinica privata dopo aver finito con non poche difficoltà la specializzazione, mentre io tentavo la scalata al successo nel settore marketing di una grande compagnia automobilistica. Sul lavoro nessuno mi aveva mai discriminata per il mio sesso, sapevo di essere brava, ma un figlio avrebbe cambiato tutto drasticamente. Per la prima volta in vita mia ero veramente spaventata.
Stavano suonando le quattro quando i miei occhi si chiusero, vinti dall'eccessiva stanchezza. Mi svegliai con il rumore del caffè che bolliva nell'altra stanza. “Nora, la colazione è pronta!” La voce di Gianpaolo mi scosse e tornai in me per raggiungerlo in cucina. Aveva preparato tutto lui. La tavola era imbandita con fette biscottate, frutta, brioches fresche e due tazze di caffelatte appena fatto.
Era incredibile come anche nei momenti di inquietudine il mio compagno riuscisse a strapparmi un sorriso. “Amore mio... Io... Io... Io sono così felice!” No, non poteva essere, non poteva saperlo “Io non volevo farmi gli affari tuoi, ma stavo cercando una lametta nuova per il rasoio e non ricordavo dove fossero... Quel test... Tu sei... Noi diventeremo genitori!” La sua voce era rotta dalla felicità. “Fatti abbracciare piccola mia, fatti abbracciare!” Simulai un sorriso, mentre Gianpaolo mi sollevava e mi stringeva piangendo di gioia.
Non riuscii a confidargli i miei dubbi e le mie preoccupazioni. Lo ascoltai distrattamente mentre, durante la colazione, parlava di quanto sarebbe stato bello diventare genitori insieme, di quanto eravamo fortunati e di come non vedesse l'ora di dire a tutti di essere un futuro papà. “Aspetta almeno il terzo mese...” fu l'unica frase che riuscii a dire.
Per tutto il giorno non feci altro che annuire e fingere di essere allegra. Forse non finsi neanche, ero veramente felice di tutto quello che stava accadendo, come se lo stessi guardando dall'esterno, da spettatrice di un film. Dovetti però riprendere a fare i conti con la realtà la mattina successiva, quando alle nove uscii dall'ascensore al nono piano del grattacielo della zona industriale di Milano dove lavoravo.
Era necessario fare una scelta, comunicare al direttore del personale che ero incinta. Mi feci coraggio, forte dell'euforia provata con il mio compagno a immaginare il futuro e, imboccato il corridoio, proseguii dritta dopo la porta del mio ufficio fino a quello del direttore del personale.
Dopo i dovuti convenevoli dissi con grande sicurezza: “Devo comunicarle che aspetto un bambino, che ha circa sette settimane.” “Intende dimettersi, quindi?” rispose il direttore senza neanche alzare gli occhi dalle pratiche che stava esaminando. “No, certo, ma da aprile dovrei iniziare il periodo di maternità”.
A quel punto l'esame dei documenti si interruppe. Il direttore tolse gli occhiali e mi rivolse uno sguardo di ghiaccio. “Ne è proprio sicura?” Le mie certezze iniziarono a vacillare. “Sì...” risposi con voce tremante.
L'uomo si alzò e con passo calmo si diresse verso uno scaffale per prendere una cartelletta azzurrina. Riconobbi il plico di documenti firmati anni prima. “Signora... Genovesi giusto? Ecco, all'atto della sua assunzione ha acconsentito, per ovvi motivi logistici, alle sue dimissioni in caso fossero venute meno le circostanze che la rendevano idonea a svolgere le sue mansioni al meglio delle sue possibilità dedicandovi tutto il tempo necessario. Sicuramente si avvede di come una maternità riduca tali facoltà.”
La testa mi girava fortissimo. “Ecco, vede?” il direttore mi allungò uno dei tanti fogli che distrattamente avevo firmato. “Questa è una lettera di dimissioni per motivi familiari che già riporta la sua firma, manca solo la data”.
 “Aspetti...” lo fermai tremando “…Rimedierò”. Mi fece un sorriso ammiccante. “Valuti bene la situazione, Genovesi, la scelta spetta solamente a lei. Rimandiamo questa discussione a settimana prossima”.
Mi congedai dal direttore sospesa sul mio corpo, che si muoveva come una macchina. A casa quel giorno arrivai prima di Gianpaolo, ero a terra, non sapevo più che fare. Volevo diventare madre. Avevo quasi paura ad articolare quelle tre parole una dietro l'altra nella mia testa, ma era così. Avrei perso il lavoro per cui avevo tanto faticato e non sapevo quale azienda mi avrebbe presa con sé dopo il parto. Il mio lavoro impegnava buona parte della giornata e non sarei mai riuscita, anche senza licenziamento, a fare la donna in carriera e la madre insieme.
Gianpaolo tornò puntuale e si accorse subito delle mie lacrime. “Oddio amore, cosa è successo?” Gli raccontai tutto. Gianpaolo mi stringeva con il suo solito fare protettivo per rassicurarmi. “Dai tesoro” mi sussurrò con voce dolce “sul lastrico non finiremo di certo. Sono un medico, posso mantenere tutti e tre senza problemi. Tu potrai prenderti tutto il tempo che vuoi per stare a casa, chissà, poi magari scoprirai che stare con il bambino è quello che ti piace fare di più! Forse troverai anche qualche lavoretto part time che ti permetta di occuparti di noi senza orari allucinanti e lunghi viaggi da fare“.
Mi lasciò completamente spiazzata. Come poteva non capire cosa significasse per me il mio lavoro? I miei singhiozzi diventarono ancora più forti “Io sono laureata in economia, non voglio fare la casalinga!”. Gianpaolo era visibilmente dispiaciuto degli effetti che aveva prodotto su di me il suo discorso. “Prova a calmarti piccola, non ti preoccupare, andrà tutto a posto. Tu però pensaci, alla fine diventare mamma e occuparsi dei propri bambini è il sogno di ogni donna”.
Forse aveva ragione, fare le due cose al meglio sarebbe stato impossibile, stare a casa non sarebbe stato poi così male, erano così tante le cose che avevo sempre desiderato fare e non avevo mai realizzato per via dello studio prima e del lavoro poi. Il mio compagno riuscì a calmare la mia rassegnazione e fu incredibile come la serata proseguì in modo uguale a centinaia di altre normali.
Non percepii pienamente lo scorrere dei giorni seguenti. Accaddero così tanti cambiamenti in così poco tempo che solo quando finirono cominciai a prendere davvero consapevolezza. Il licenziamento, la festa di addio che alcuni colleghi avevano organizzato per me, l’annuncio della gravidanza ai miei genitori e a tutti gli amici, brindisi e auguri.

La prima mattina che mi ritrovai a casa da sola, sdraiata sul divano a riflettere su tutti quegli eventi che in una settimana avevano stravolto la mia vita, l’angoscia, la paura, l’ansia mi invasero. Le lacrime cominciarono a sgorgare, non riuscivo a sostenere quelle decisioni prese da tanti altri per il mio bene. Avevo bisogno di un abbraccio di mia nonna, l’unica che era stata capace di ascoltarmi sempre e consigliarmi ciò che sapeva sarebbe stato il meglio per me.
Mia nonna mi aveva abbandonata una fredda notte di gennaio e quel freddo che provai quando vidi il suo cadavere, mi ripiombò addosso.
Da molto tempo ormai l’appartamento sopra il mio, un tempo suo, era vuoto, abitato solamente da lettere ingiallite e scatoloni con varie cianfrusaglie che mia nonna amava collezionare e nessuno aveva voluto. La nostalgia prese il sopravvento insieme alla necessità di far rivivere tutto quello che era stato, di far tornare le azioni che erano state compiute e dimenticate e lasciate marcire in quegli scatoloni che mia nonna, con tanta premura, aveva sigillato, abbandonandoli nella misteriosa soffitta sopra la sua camera. Decisi allora di salire e di esplorare tutti i suoi ricordi.
Trovai una lettera, datata 2 giugno 1949, indirizzata alla mamma della nonna, la bisnonna Angelina, che la nonna aveva gelosamente custodito. La carta ingiallita ne accresceva l’aspetto di importanza ed io, con estrema attenzione, cominciai a leggere.

“Cara Angelina,

dopo 3 anni dalla prima nostra conquista vedo ancora il sorriso radioso che mi rivolgono tutte le donne per strada, dal panettiere, dal parrucchiere, ovunque io mi trovi. Ieri una ragazza poco più che ventenne mi ha fermata ed ha voluto esprimere con fervore tutta la sua gratitudine nei confronti di noi ventuno, le donne che hanno difeso la posizione del sesso femminile nella superba (riporto fedelmente le sue parole) Carta costituzionale italiana.
Mi ha raccontato che sta studiando presso la facoltà di Giurisprudenza a Milano e la lettura di ogni articolo, in particolare quelli in cui è coinvolto l’elemento femminile, è per lei sempre più sorprendente e degno di rispetto per chi ha combattuto per farlo approvare. Ricordo ancora il primo giorno in cui cominciammo a lavorare per la terza sottocommissione, specializzata nei diritti e doveri economico-sociali. Tu presentasti un testo incentrato sulla donna e sui diritti suoi e dei figli; io, invece, ritenevo che prima di tutto sarebbe stato necessario raggiungere un accordo nella parte della Costituzione dedicata alle garanzie economico-sociali della famiglia.
Tu, determinata come poche donne io abbia mai incontrato, continuavi a ribadire che la donna ha un’importanza decisiva nella formazione della famiglia. Non importava che fosse sposata o meno, in qualunque circostanza la donna avrebbe dovuto avere il diritto di costruire la propria famiglia. Il nucleo familiare, a tuo parere, si formava intorno alla donna, creatura più importante.
Difendevi con tutta te stessa il ruolo della maternità, che non interessava solo la donna, l’uomo o la famiglia, ma tutta la società, dato che la madre è la radice, la base, la sicurezza del nucleo familiare, e solo lei avrebbe potuto garantire l’avvenire e la crescita della collettività. Io questa importanza la attribuivo alla famiglia, in quanto rappresentava e rappresenta tuttora la cellula viva e vitale, che a sua volta produce altre cellule per costituire il tessuto sociale.
A conciliare il nostro dibattito intervenne Teresa Noce, ribadendo che la questione della maternità non poteva essere separata da quella della famiglia.
Dall’unione dei nostri pensieri nacque l’articolo che afferma che la maternità rappresenta una funzione naturale nobilissima della donna, in quanto provvede alla creazione di nuove generazioni, le quali non possono che interessare l’intera Nazione, poiché si tratta dell’avvenire e dell’interesse della collettività.
Quindi la maternità deve essere considerata come una funzione sociale che interessa tutta la società e non soltanto la madre o la famiglia, e lo Stato deve predisporre per lei una tutela e una protezione efficaci.
Quanto abbiamo combattuto per permettere l’accettazione e l’affermazione della maternità anche all’interno delle istituzioni!
Tu, io e la Noce a lottare per il riconoscimento ed il sostegno ad istituzioni previdenziali ed assistenziali! Ti ricordi il secondo punto fondamentale che elaborammo? Riguardava i figli nati fuori dal matrimonio e i figli di madri nubili. Abbiamo fatto tutto il possibile perché venisse accettata la nuova concezione della donna come capo-famiglia; attraverso questo ruolo i figli sarebbero riusciti a stare vicini alla madre maggiormente.
Combattere affinché venissero considerate capo- famiglia non solo le donne operaie, ma anche quelle che non potevano lavorare, a causa di una prole molto numerosa!
Sento ancora l’emozione che provammo quando fu approvato il nostro testo, il testo Merlin-Federici, della difesa ad oltranza del principio di parità tra i sessi nei diversi campi del vivere civile, perché esso fosse sempre garantito e rispettato. Attenzione alla maternità, all’infanzia, alla donna lavoratrice! Ed ora tutti possono leggere i risultati dei nostri sforzi in vari articoli della Costituzione.

Articolo 2: ”…Alla donna sono riconosciuti nei rapporti di lavoro gli stessi diritti che spettano all’uomo”; Articolo 4: “La Repubblica riconosce che è interesse sociale la posizione della maternità e dell’infanzia….”; Articolo 5: “ La Repubblica assicura alla famiglia condizioni economiche necessarie alla sua difesa e al suo sviluppo…” ; Articolo 7: “L’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico è libero ai cittadini, salvo le limitazioni stabilite dalla legge, senza distinzioni di sesso, razza, religione e fede politica”.

Mi vengono ancora i brividi se ripenso al discorso che tenni quando cercarono di introdurre quello che sarebbe diventato l’articolo 51 con discriminazioni nei confronti della donna che, sebbene implicite, a noi apparivano chiare.
Era palese che stessero cercando di innalzare una barriera contro le donne! Limitare le loro, le nostre scelte, avrebbe dato come risultato una Costituzione antidemocratica. In primis, la libertà della donna, ovunque!
E, così’, fu decretato che tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso avrebbero potuto accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza.
Anche l’articolo 37 ha avuto le sue difficoltà e, benché siamo riuscite ad esprimere con chiarezza che la posizione della lavoratrice va vista in condizione di parità con quella del lavoratore, ancora oggi mi infastidisce che abbiano distinto in due articoli quasi uguali i due sessi; temo una prevaricazione maschile attraverso queste piccole distinzioni, ma credo che il nostro esempio sia stato estremamente determinante per tutte le donne venute dopo di noi.
E come dimenticare la sentenza di Teresa Mattei! Le sue parole mi commuovono ogni volta che le ricordo!

“La nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l'esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che alcuni decenni fa aveva incominciato a muoversi nei vari Paesi d'Europa e del mondo. Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un'assurda identità con l'uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. E' nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile … Ed ugualmente, là dove si sancisce ogni più importante e nuova conquista sociale è sempre compresa e spesso in forma esplicita una conquista femminile. Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all'uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d'Italia”.

Cara Angelina, spero che attraverso questa lettera, tu possa rivivere, come faccio io, tutti i momenti in cui la lotta per i diritti ci ha unito, per continuare a lottare, insieme.

Con affetto, Maria Federici

 

Ripiegai accuratamente il foglio e rimasi a fissare la parete, mentre nella mia mente si accalcavano centinaia di pensieri contrastanti, di emozioni, di paure. Non so per quanto tempo rimasi ferma e non so bene neppure quando e perché iniziai a piangere: un pianto silenzioso, freddo, lacrime che facevano scivolare via quel groviglio inestricabile di paure e indecisioni, che lo spingevano fuori da me, lontano. Non piangevo per me, piangevo per la mia bisnonna, piangevo per le donne che avevano creduto davvero nella parità, piangevo per tutte quelle donne che nella loro vita non assaporeranno mai l’orgoglio di essere parte del genere femminile.
La mano che fruga nella borsa fino ad afferrare il cellulare, la chiamata diretta a Sara, la mia voce limpida che dice “ho bisogno del tuo aiuto, sia come amica che come avvocato, sono da te tra un’ora” …
Dopo avere visto tutto ciò come in un film, m'infilai il cappotto e solo allora presi consapevolezza di ciò che avevo fatto in uno stato di semi coscienza e solo allora mi accorsi che era quello che volevo fare.
Non ci volle troppo tempo per convincere Sara a rappresentarmi legalmente; sapeva bene che sfidare una multinazionale avrebbe comportato una causa molto impegnativa, ma le erano sempre piaciute la sfide.

La prima udienza si ebbe un Martedì mattina alle nove in punto; Sara si era presentata a casa mia impeccabile come al solito, ancheggiando nel suo tubino grigio e sfoggiando un sorriso energico e sfrontato e io proprio non potevo capire come riuscisse ad ostentare una tale calma; io che, al posto di dormire, la notte prima mi ero mangiata tutte le unghie e che mi muovevo goffamente in un abito prémaman di un beige improponibile, che la cassiera mi aveva convinto essere “molto elegante”.
Quando arrivammo in tribunale e ci accomodammo su una di quelle panche scure sulle quali si attende, il battito del mio cuore era assordante, il suo ritmo frenetico: fu in quella confusione interiore che per la prima volta sentii mio figlio muoversi dentro di me e tirarmi un calcio; ecco, sembrerà stupido ma quel calcio mi diede tutta la forza di cui avevo bisogno, era come se qualcuno mi avesse detto “ehi ce la puoi fare”; il mio respiro in breve si regolarizzò, i muscoli si rilassarono.
Poco dopo Sara mi corse incontro e, con la voce che rideva, mi disse che il magistrato che avrebbe presieduto la nostra causa era una donna; con un balzo fui in piedi e iniziammo ad abbracciarci come se avessimo vinto già il processo.


Passando nel corridoio del tribunale, diretta all’aula dove avrei riguardato le carte del processo che avrei presieduto, fui investita da una risata e quando vidi due donne che si tenevano strette in un’esplosione di allegria, ebbi come un’intuizione che avrei avuto a che fare proprio con loro. E dinnanzi a quella scena non potei trattenere un piccolo sorriso materno, poi, senza che si accorgessero della mia presenza, mi ritirai.
Seduta alla mia scrivania improvvisamente si disegnò nella mia mente una data: il 13 Maggio 1960: un respiro espresse tutto il mio orgoglio, un sorriso di soddisfazione sincera che non voleva essere celato si impresse sul mio volto.
Pensai a Rosa Oliva e me la immaginai seduta in tribunale, mentre esulta composta, ascoltando la sentenza che dichiara illegittimo l’articolo 7 della legge del 7 luglio 1919 e che fornisce così alle donne la possibilità di ricoprire cariche pubbliche. Sono nata proprio quell’anno io, 6 Gennaio 1960, due giorni prima che Rosa Oliva facesse ricorso contro il Ministero dell’Interno: ed eccomi qui, magistrato. Durante i miei studi di legge ho avuto modo di indagare a fondo la storia di Rosa Oliva, una donna che sentivo molto simile a me: aveva frequentato la facoltà di Scienze politiche alla Sapienza e, una volta laureata, aveva tentato una carriera nella prefettura, ben sapendo che alle donne non era consentito l’accesso alle principali cariche pubbliche; uno spirito indomito e insofferente alle ingiustizie l’aveva condotta, una volta vista negata la sua domanda, a intraprendere una causa giudiziaria con l’appoggio del suo professore universitario, l’avvocato Costantino Mortati e una forte perseveranza l’aveva portata a vincere quel ricorso, ottenendo l’annullamento dell’estromissione della popolazione femminile da tutti gli incarichi pubblici.

Così si espresse la Corte “ (…) non può essere dubbio che una norma che consiste nello escludere le donne in via generale da una vasta categoria di impieghi pubblici, debba essere dichiarata incostituzionale per l’irrimediabile contrasto in cui si pone con l’art. 51, il quale proclama l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive degli appartenenti all’uno e all’altro sesso in condizioni di eguaglianza. (…) La diversità di sesso, in sé e per sé considerata, non può essere mai ragione di discriminazione legislativa, non può comportare, cioè, un trattamento diverso degli appartenenti all’uno o all’altro sesso davanti alla legge. Una norma che questo facesse, violerebbe un principio fondamentale della Costituzione, quello posto dall’art. 3, del quale la norma dell’art. 51 è non soltanto una specificazione, ma anche una conferma”.

Leggere queste parole mi causa sempre un sussulto di gioia interiore, ma non è una gioia pura e incontaminata, è una felicità non piena, chiaroscurata, prodotta da parole ancora troppo lontane dalla realtà sperata e si rigenera in me il desiderio che forse un giorno queste frasi, da bellissime lettere di inchiostro, si animino e prendano forma e inizino a vivere tra noi come verità eterne e inviolabili.
Rosa Oliva in quel soleggiato giorno primaverile raggiunse un grande traguardo: l’uguaglianza tra i sessi, permettendo a tutte le donne presenti e future di godere delle stesse possibilità lavorative degli uomini.
Ma la mia esperienza quotidiana mi ricorda continuamente quanto questo Paese e questa società siano ancora lontanissime dalla meta finale: l’uguaglianza sostanziale. Nonostante l’impegno di Rosa Oliva e tante lotte, l’Italia rimane ancora agli ultimi posti nelle classifiche europee sull’occupazione femminile; le cause sono tante: è colpa della società, ancora fortemente legata al familiarismo, che induce le donne a dedicarsi a figli e marito, causando così anche grandissimi problemi di dipendenza economica e psicologica dal proprio nucleo familiare; è colpa della politica che non fornisce alcun aiuto, basti pensare al numero di bambini che ogni anno non vengono accettati agli asili pubblici ed è colpa anche delle donne, visto che troppo spesso rinunciamo a combattere.
Abbassai gli occhi sulla cartelletta che il mio segretario, ironia della sorte un uomo, aveva appoggiato sulla scrivania, mentre ero ancora persa nelle mie riflessioni. La aprii e iniziai a sfogliare i documenti del caso che vi era contenuto.
Una ragazza aveva fatto causa ad un'importante azienda automobilistica per essere stata costretta a dimettersi per via della sua gravidanza.
“Qui ci vuole un caffè” pensai, consapevole della difficoltà del procedimento civile che avevo di fronte.
Leggendo le carte appresi come la poveretta fosse stata indotta a firmare una lettera di dimissioni in bianco all'atto della sua assunzione, un espediente spregevole cui sempre più compagnie ricorrono per scremare il personale da giovani madri in carriera.
Sì, l'uguaglianza sostanziale non era proprio ancora stata raggiunta dal nostro Stato, che tanto vantava di essere progredito e moderno. Quella ragazza aveva studiato, si era laureata col massimo dei voti e aveva intrapreso un ambizioso percorso lavorativo con ferma fede nella parità dei sessi che la Costituzione garantisce, a tutela di tutte le donne e si era ritrovata come se tutto ciò non fosse mai neanche esistito.
Sarebbe stato un processo complicato e pieno di polemiche, l'azienda con il suo stuolo di avvocati e la giovane futura madre con il solo principio di uguaglianza a difenderla.
Chiusi la cartelletta risoluta.
Quella ragazza avrebbe vinto.

Alzandomi pronunciai come fossero mie, sentendole come mie, le parole di Piero Calamandrei:

 “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica“

24-04-2014

 

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