Con questo breve articolo vogliamo iniziare a segnalare un problema che ci sembra di interesse collettivo. Se ci sono donne che intendono raccontare la loro esperienza possono scrivere a: universitadelledonne@tin.it, mettendo come oggetto 'libretto radiologico'.

Perché sì al libretto radiologico

di Bianca Fiore

 

Nel 1995 la Comunità Europea ha emanato una direttiva che imponeva alle ASL l'adozione del "libretto radiologico".
La decisione era la logica conseguenza della presa d'atto che l'immissione sul mercato sanitario di nuove più potenti tecniche radiologiche - come per esempio la TAC - rendono ancora più necessario di prima un controllo della quantità di radiazioni da analisi cliniche assorbite nel corso della vita. Tale controllo è particolarmente importante per i nuovi nati, destinati a convivere con le nuove tecniche da subito e non, come avviene per la generazione degli oggi sessantenni, solo dagli anni '80. Tanto più che anche nel passato, quando le macchine non erano così potenti, di errori ne sono stati fatti molti. Che cosa vuol dire che le nuove tecniche sono più potenti?
Se si prende, per semplificare, come unità di misura la quantità di radiazioni assorbita dall'organismo con una semplice radiografia toracica, la stessa analisi fatta con la TAC è l'equivalente di 385 radiografie toraciche. Sì, avete capito bene: fare una sola TAC equivale a fare per 385 volte una radiografia "standard" del torace. E' dunque evidente che le nuove più potenti tecniche richiedono un utilizzo prudente e che è necessario controllare nel corso del tempo la quantità di radiazioni assorbite dai pazienti. In Italia per circa 5 anni la direttiva ha avuto qualche seguito, almeno in Lombardia.


Ma nel 2000 l'allora Ministro della Sanità Veronesi, senza che se ne sapesse nulla, tranne che in ristrette cerchie di esperti, la abolì.
L'Ordine degli Ingegneri, e in particolare l'AIDIA ( l'associazione di categoria che raggruppa donne ingegneri e architette), protestò, e ottenne l'adesione della Consulta femminile Interassociativa di Milano, nonché di numerose altre associazioni.
Fu inviata al Presidente della Regione Lombardia, Formigoni, e ai consiglieri regionali preposti alla sanità una richiesta di ripristino del libretto radiologico, come da direttiva UE.
I responsabili regionali della sanità risposero che:
1) la disposizione non era stata attuata perché non era mai stato emanato il previsto decreto ministeriale che doveva definirne le modalità di attuazione
2) delegare ai pazienti l'informazione sulle 'dosi di radiazioni' assunte era sbagliato perché i pazienti le perdevano e dimenticavano (!)

Aggiunsero altre considerazioni ancora più confuse e pretestuose delle precedenti, omettendo di rilevare che in realtà la decisione del Ministero era stata ancora più grave, perché aboliva anche, oltre al libretto radiologico, l'obbligo della registrazione delle 'prestazioni con radiazioni ionizzanti' presso le stesse strutture sanitarie!

Tuttavia i responsabili regionali concludevano che la Nuova Carta Regionale dei Servizi avrà tra i suoi obiettivi quello di registrare e rendere accessibili i referti radiologici. Sarà una facoltà che la Regione Lombardia si concede gentilmente da sola, dato che a livello nazionale il Ministero ha abolito l'obbligo di registrare alcunchè? E le altre regioni italiane? Per ora tacciono. L'AIDIA nel corso di un seminario ha invitato nel frattempo a non perdere tempo prezioso, ribadendo che: Come è noto i raggi X sono cancerogeni e la loro pericolosità è proporzionale alla dose assorbita. Possono inoltre alterare il DNA e gli effetti delle radiazioni si accumulano nel corso del tempo, sebbene con modalità scarsamente note.

" Essendo i raggi X invisibili, mentre molti sono disposti a mobilitarsi, per esempio, contro i rischi del fumo, nessuno sembra preoccuparsi del problema e raramente si sente raccomandare prudenza nel prescrivere radiografie -
dice Elena Baj , una donna ingegnere che è stata per anni presidente dell'AIDIA ed ha lavorato in campo radiologico.
Anzi, le abitudini invalse di recente sono di aumentare sempre di più le prescrizioni. Dalle statistiche risulterebbe inoltre che l'80% delle dosi di raggi X assorbite proviene da esami TAC. Lo scopo della direttiva UE del '95 ( art. 114 del decreto legislativo numero 230), era anche quello di non superare la 'dose soglia' ritenuta pericolosa. E' chiaro che, qualora la regione si decida finalmente a concedere il rispetto della direttiva UE, andranno scelte strutture che garantiscono l'elementare rispetto umano della salute dei pazienti sulla base della considerazione ' primum non nocere', e che la diffusione dell'informazione su questi importanti problemi potrebbe almeno servire a far sì che i pazienti siano in grado di autotutelarsi rispetto ad eventuali abusi. Le figure coinvolte nel controllo di qualità di una struttura radiologica sono molte. Come mai con tutti questi tecnici nessuno si preoccupa di segnalare al paziente la dose assorbita? O almeno di segnalarlo su un referto comprensibile ai medici? Una statistica medica - conclude Elena Baj - per essere veramente valida deve iniziare dalla nascita ed essere individuale. Le autorità sanitarie regionali preposte a valutare l'esposizione a 'radiazioni per indagini cliniche' sono tenute a trasmettere i dati al Ministero della Salute ogni 5 anni. Ma nessuno sa se vengono poi elaborati e come, perché le informazioni in merito sono scarsissime".