Appello
per il si ai Referendum
che ha concluso lincontro di Roma del 21 maggio
Maria
Luisa Boccia, Grazia Zuffa, Raffealla Lamberti, Marisa Nicchi, Monica
Toraldo di Francia,
Tamar Pitch, Elena del Grosso, Angela Putino, Bia sarasini, Cecilia D'Elia
Daremo un
Sì convinto ai quattro referendum sulla legge riguardo alla fecondazione
assistita. Le ragioni che li motivano le abbiamo maturate non da ora,
ma nel percorso politico con le donne, iniziato con la riflessione su
aborto e sessualità femminile.
Rifiutiamo la logica proibizionista di una legge costruita su divieti
ed obblighi, senza rispetto della salute, prima di tutto delle donne.
Non pensiamo che l'assenza di divieto sancisca di per sé un diritto
al figlio. Mettere un divieto per contrastare la traduzione in diritto
di desideri (presunti) illimitati non fa che confermare, rovesciandola,
la logica dei diritti. Ci interessa invece tenere aperto lo scarto incolmabile
fra i desideri e i diritti.
Lo scenario tecnologico inquieta noi, come tanti uomini e tante donne.
Ed avvertiamo il bisogno di un discorso che ricomponga la frantumazione
dei processi riproduttivi indotta dalle tecnologie, che dia un senso al
materiale biologico separato dai corpi viventi. Uova, spermatozoi, zigoti,
embrioni popolano ormai l'immaginario collettivo come fossero dotati di
autonomia, una volta separati dai corpi.
Per questo non serve, anzi fa danno, l'appello a valori astratti e inconciliabili:
da un lato l'intangibilità del progresso tecnologico, dall'altro
la sacralità del concepito e della famiglia biologica. Entrambe
le posizioni non mettono in questione il riduzionismo biologico che è
il risultato più evidente e problematico dei processi tecnologici.
La conferma più vistosa di questo sono le dispute ontologiche sull'embrione
e l'ostinato silenzio sulla madre. L'idea che l'embrione possa essere
"persona", o semplicemente essere, a prescindere da una donna
che lo accetti dentro di sé è un cattivo sogno di uomini
che da sempre si dibattono per liberarsi da questa dipendenza originaria.
Senza la madre non vi è "vita", neppure biologica, che
possa svilupparsi, né alcun diritto da rivendicare a cominciare
da quello a nascere. Se è vero che la tecnica fa scomparire i corpi
nell'atto del concepimento, tuttavia non può fare a meno dell'opera
della madre.
La legge, degradando la madre a corpo contenitore di una vita, lungi dal
contrastare la temuta riduzione dell'essere umano a materia genetica manipolabile,
la favorisce; e dunque non tutela neppure l'embrione. L'embrione congelato
è lì a ricordarci che non vi è sviluppo vitale né
essere umano, senza la madre e al di fuori della relazione con lei.
Discendono da qui per noi le valutazioni di merito sulle norme più
gravi, diremmo "perverse", della legge, oggetto dei referendum:
dall'impianto obbligatorio degli embrioni prodotti in vitro che, con il
divieto di crioconservazione e di ogni diagnosi preimpianto, configura
il dovere di maternità, anche a costo della salute della donna
e dei nascituri; all'equiparazione dei diritti del concepito a quelli
della donna con l'inevitabile conseguenza di estendere la tutela del concepito
al feto e dunque di rimettere in questione l'aborto; alla messa al bando
della fecondazione con seme o ovuli di donatore, riducendo il padre e
la madre al mero fatto genetico; all'irrealistica proibizione della ricerca
scientifica, rinunciando a dettare regole in grado di garantire la libertà
scientifica ma anche la trasparenza sulle finalità, sui rischi
e sulle opportunità.
Non è la legge, né tanto meno questa legge, che può
dare risposte alle inquietudini, fondate o immaginarie, suscitate dalle
tecnologie della riproduzione. Quel che c'è prima della nascita
chiede un limite del diritto, chiede di riconoscere, con umiltà,
che la legge può fare danni se prescinde dalla relazione madre/figlio.
Non vi è infatti modo di fare ordine nella procreazione, medicalmente
assistita e non, se non si mette al centro delle regole la donna, quale
soggetto libero e responsabile.
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