Legge 40 sulla fecondazione assistita

Referendum è meglio

 


Marina Nunez del Prado, Madre e figlio

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 31 dicembre 2004


Da Margherita Hack a Franca Rame, da Lea Melandri a Lidia Ravera, a Adriana Zarri un appello ai parlamentari e alla società civile a favore del voto popolare.

L'autodeterminazione delle donne, la laicità dello stato, l'esigibilità universalistica dei diritti, il rispetto per gli spazi della deontologia medica e per l'autonomia della ricerca sono stati messi in forse in Italia dalla approvazione della legge 40, la legge sulla fecondazione assistita ormai tristemente nota sia per essere un concentrato di barbarie giuridica, di sadismo misogino, di ipocrisia e di integralismo, ma anche fonte immediata di ansia, di sofferenza, di ingiustizia e di discriminazione sociale, di esclusione e rifiuto per migliaia di cittadine e cittadini che desiderano figli e che hanno la necessità di ricorrere a queste tecniche biomediche.

Infatti da una indagine eseguita dal Forum delle associazioni di genetica e riproduzione a Milano, Bologna e Roma risulta che il 25% delle donne che si rivolgono ai centri italiani, venute a conoscenza delle restrizioni imposte dalla legge 40 si rivolge a centri esteri, dove intanto i costi sono lievitati del 30%.

La maggioranza parlamentare, ben più ampia dell'attuale centrodestra, che ha votato questa legge, ha inferto una grave ferita alla democrazia italiana e alla qualità della convivenza civile. Da un lato ha perpetuato la subalternità storica delle classi dirigenti italiane agli indirizzi della politica vaticana, dall'altro si è ricollocata nella cultura politica della globalizzazione, che garantisce l'ordine mondiale con la guerra preventiva e di fatto opprime e discrimina il soggetto che quotidianamente porta l'umanissimo "disordine" della difesa della vita reale, della assunzione di responsabilità, della parola ultima sulla procreazione, cioè la donna.


Contro questa legge grande è stata la critica, l'indignazione, lo scalpore. Un vasto e composito movimento fatto di associazioni e gruppi di donne, di associazioni di coppie, di gay e lesbiche, di ricercatori /trici, giuriste/i, sindacati e partiti, ha immediatamente colto la assoluta inemendabilità di quel testo legislativo e ha individuato l'obiettivo della sua integrale cancellazione. A partire da questo assunto, in una trama di faticose ma feconde relazioni politiche e sociali, è stato pensato e agito lo strumento referendario. L'idea della cancellazione totale ha alimentato un crescente coinvolgimento di soggettività, ha tenuto insieme come elemento sovraordinatore i quesiti parziali.

La raccolta di firme contro la legge 40 è stato l'evento straordinario che ha segnato la stagione politica da giugno a settembre 2004, non solo per la quantità di firme raccolte, che per molti è stata una inaspettata sorpresa (3 milioni e mezzo, con assoluta prevalenza per quello di cancellazione totale), ma per la qualità e la modalità della mobilitazione referendaria, che ha avuto la caratteristica di dare la parola, di allargare la partecipazione, di attivare soggettività, di far affrontare nelle piazze, in un dibattito appassionato, temi complessi, immediatamente recepiti nel loro spessore e nella loro centralità. (Che i temi suscitassero passione civile e coinvolgimento diretto lo abbiamo capito quando, dopo una trasmissione televisiva che ruppe il silenzio della stampa sui referendum, ai banchetti ci furono file di uomini e di donne desiderosi di firmare contro la legge 40).


Ora viviamo un passaggio cruciale: aspettiamo i giudizi di ammissibilità della Corte costituzionale e contestualmente assistiamo ai tentativi di evitare i referendum riavviando il dibattito in Parlamento, attraverso la presentazione di vari testi di legge sulla fecondazione assistita. Sappiamo bene che il Parlamento gode della facoltà di intervenire in ogni momento dell'iter referendario con una legge che renda inutile il voto popolare; però ci pare che il Parlamento abbia inutilmente lavorato su questa materia per anni, dimostrando di trovarsi in un insanabile conflitto.

Ciò succede anche perché la materia è del tutto nuova e non esiste su di essa una opinione diffusa e un etica condivisa e forse non è possibile che vi sia; alcune di noi pensano che in una materia così delicata ed intima, legata alla coscienza personale non si debba avere una legge (nemmeno migliorata), ma il compito dello stato sia solo quello di vietare pratiche pericolose per la salute, speculazioni economiche e informazioni non corrette.

Non si tratta dunque di migliorare una legge, ma di favorire il formarsi di opinioni forse inevitabilmente differenti e la possibilità di un permanente dibattito. Per queste due ragioni il ricorso al referendum abrogativo è una necessità politica. Invitiamo perciò le e i parlamentari, che con noi hanno finora condiviso la proposta di referendum, a continuare questa lotta e ad allargare il consenso intorno a questo percorso.

Pensiamo che i milioni di firme raccolte e la loro valenza politica dicano in modo inequivocabile che o la legge 40 viene totalmente cancellata e si inaugura una modalità diversa di legiferare su questi argomenti, allargando il dibattito democratico e l'interrogazione critica, o la parola definitiva sulla fecondazione assistita deve essere rimessa nelle mani della sovranità popolare diretta, cioè del referendum.
 

Prime firmatarie

Ritanna Armeni, Patrizia Arnaboldi, Angela Azzaro,

Laura Balbo, Marzia Barbera, Adele Cambria,

Maria Grazia Campari, Rossana Campo, Giovanna Capelli,

Maria Rosa Cutrufelli, Elettra Deiana, Elena Del Grosso,

Titti De Simone, Erminia Emprin, Maria Paola Fiorensoli,

Nora Frontali, Maddalena Gasparini, Rina Gagliardi,

Margherita Hack, Bianca La Monica, Laura Curcio,

Lea Melandri, Lidia Menapace, Marina Pivetta,

Anna Pizzo, Bianca Pomeranzi, Franca Rame,

Lidia Ravera, Anna Rollier, Gabriella Stramaccioni,

Lietta Tornabuoni, Valeria Viganò, Adriana Zarri, Flavia Zucco