8 marzo, separazioni e "luoghi (non) comuni". Ne vogliamo parlare?
di Rosa Rinaldi


Otto marzo 2008, il Centenario.
Data e ricorrenza evocatoria che cade in un momento delicatissimo del nostro Paese, non solo per l'avvicinarsi della scadenza elettorale, ma specialmente per come dentro e in prospettiva di questa scadenza, le libertà femminili, i nostri corpi, le conquiste e le idee delle donne rischiano di essere merce di scambio,oggetto delle strumentalizzazioni più retrive e del peggiore oscurantismo.

Ho ancora nella pelle il disgusto per il vergognoso episodio di Napoli e l'incontenibile voglia di scendere in piazza, che ci ha preso tutte giovani e adulte, militanti di movimento e donne impegnate nelle istituzioni e nei partiti, eterosessuali e lesbiche, unite da una forte empatia verso la donna violata nella sua intimità più delicata, espropriata della sua dignità, criminalizzata per le sue scelte, indagata, interrogata, scrutata nel suo desiderio di maternità, di quella concreta, fisicissima maternità su cui si era esercitata la sua scelta, civilmente, eticamente, liberamente.

Tutte - anche quelle che non ce l'hanno fatta ad arrivare nei luoghi delle tante manifestazioni che sono sorte come funghi nel giro di poche ore, ma che hanno voluto con telefonate, mail, sms dire "ci sono anch'io"- siamo state percorse da un brivido e da un sussulto di ribellione, per un clima da inquisizione che speravamo lontano da noi anni luce e che invece ci si è scaricato addosso, con la violenza di ogni atto reazionario.

Questa emozione che ci ha attraversato e tenute unite è Politica, più e prima di ogni discorso di parole dette, pensate e scritte, è profondamente Storia, nella materialità del suo fondamento, nei nostri corpi, che hanno memoria del dolore, dello sforzo e della felicità per ogni passo di libertà.
Questa comunanza tra donne, che ha cambiato la società e noi stesse, lascia attoniti e sgomenti gli uomini, che vivono i percorsi di libertà femminile come ratio della politica, come luogo del buon governo e della civile convivenza, come esercizio dei diritti individuali e dello sviluppo della democrazia , non già come emozione del corpo liberato, come nascita soggettiva ad una nuova , sapiente leggerezza dell'identità personale.

Per questo, io penso, luoghi di donne e luoghi misti nell'affermazione delle libertà femminili hanno spessore e risonanze diverse, modalità ed espressività politiche asimmetriche.
Credo che nello spazio diverso che queste asimmetrie descrivono,contengono e sviluppano si sia giocato il terreno del confronto sulla manifestazione nazionale per l'8 marzo a Roma promossa da CGIL CiSL e UIL.

Come non sentire lo stridore tra una manifestazione di donne che porta ad un palco conclusivo di uomini (Segretari Generali, quindi neutri, assoluti)?
Dopo tanta storia di femminismo dentro e fuori i sindacati, dentro e fuori i luoghi di lavoro, come è stato possibile costruire un appuntamento così simbolicamente significativo rimuovendo la pratica e le relazioni che hanno permesso la realizzazione della splendida manifestazione del 24 novembre contro la violenza maschile verso le donne?

Oggi a cento anni dal rogo che ha consumato le vite di quelle operaie tessili nell'opificio occupato in USA, facendone il simbolo delle centinaia di migliaia di donne che nel mondo sono morte e continuano a vivere e morire senza diritti, è possibile pensare una celebrazione dell'otto marzo in cui dignità e diritti nel e per il lavoro, possano essere affermati separatamente dalla conquista di dignità e diritti nel corpo, nel vivere la sessualità e le scelte di procreazione dentro e fuori la famiglia, dentro e fuori il rapporto di coppia?

La stessa piattaforma sulla base della quale è convocata la manifestazione sindacale, ricomprende tutti questi temi, collegando strettamente il salto di qualità che è necessario realizzare in termini di occupazione e di uguaglianza dei diritti nel lavoro, con un impegno per la realizzazione delle condizioni sociali, culturali e materiali necessarie a garantire l'autodeterminazione delle donne , contro ogni forma di violenza.
Dove sta dunque lo scarto, dove e perché si è prodotta la rottura con la rete delle associazioni e movimenti che hanno promosso il 24 novembre?
La discontintinuità è nel soggetto, nella voce narrante che , come nel teatro greco, è sempre il coro, la Polis, ciò che fa della narrazione individuale una vicenda collettiva, un'emozione di tutte/i.

L'appuntamento sindacale, mi sembra che questo sia il nodo problematico che le polemiche mettono in evidenza, non è vissuto da tutte come una manifestazione delle donne, e nemmeno come la manifestazione di una parte di donne (quelle che si riconoscono nei sindacati confederali), ma come una scadenza rituale, che perde la forza e l'efficacia di una grande iniziativa autorganizzata, che mette insieme e contamina le tante e diverse voci e culture del femminismo.
A diciotto anni sono entrata in fabbrica e poco dopo mi sono iscritta al sindacato, e poi, passata alla Provincia di Milano, ho iniziato a fare le delegata di posto di lavoro e poi, via via tutta una vita dedicata all'attività sindacale fino alla segreteria nazionale della funzione pubblica, al direttivo nazionale della CGIl, e infine alla Fiom, prima di approdare al lavoro nelle Istituzioni, prima come Vice presidente della provincia di Roma e poi, nel governo Prodi come Sottosegretaria al lavoro.

Quasi trentacinque anni di percorso personale in cui l'incontro con il pensiero e la pratica delle donne e del femminismo ha rappresentato e rappresenta una scelta di fondo ed un arricchimento continuo in tutti i luoghi in cui sono stata chiamata a svolgere la mia attività e a dare il mio contributo di idee e azioni.
Così anche nella mia militanza politica, nel PCI, nel partito della rifondazione comunista e adesso in questo nuovo cimento che si chiama la sinistra l'arcobaleno.

Molte delle sindacaliste che hanno progettato la Manifestazione per il Centenario dell'otto marzo sono mie amiche ed ho condiviso con loro complicate battaglie per l' affermazione dei diritti delle donne nel lavoro e per l'autodetrminazione delle politiche al femminile anche dentro le organizzazioni sindacali.
So quanta storia e quanta cultura e quanta fatica c'è dietro l'organizzazione dell'iniziativa, e quanto bisogno c'è oggi di rimettere al centro dell'attenzione di tutte e di tutti una lettura del lavoro e delle condizioni materiali di vita in cui le donne non siano solo la declinazione al femminile della condizione maschile.
Perché non è così, perché la realtà delle differenze ci consegna una durezza delle discriminazioni che trent'anni di politiche di parità non sono riuscite a sconfiggere.

Perché c'è una debolezza nella contrattazione e nella rappresentanza di genere sui luoghi di lavoro come nei ruoli dirigenti delle grandi centrali sindacali.
Perché la maternità continua a fare la differenza e a discriminare nel lavoro e nelle professioni.
Perché la cultura della produttività non valorizza il merito e le qualità, bensì la completa abnegazione agli obiettivi aziendali e al modello gerarchico prevalente.
Perché essere brava, bella , intelligente e magari pure mamma è un tabù e prima o poi ne pagherai le conseguenze.
Perché le molestie e le persecuzioni sessuali sono ancora uno dei maggiori fattori di rischio cui le donne vanno incontro nella loro vita lavorativa.
Perché la cultura della violenza, della sopraffazione e la svalorizzazione dei corpi femminili è in ogni luogo della società, ben nascosta nelle pieghe della famiglia e dei rapporti affettivi e interpersonali.

Eppure lo sappiamo che senza quella forza che abbiamo saputo trovare negli anni settanta e ottanta costruendo l'affermazione dei diritti e della parità nel lavoro insieme all'affermazione dei movimenti nella società per conquistare diritti e libertà delle donne, nel vivere la sessualità, nel riconoscersi nei propri corpi sessuati, nel diritto alla maternità e all'autodeterminazione nelle scelte personali e nella relazione con e verso l'altro, senza quel continuo lavorare e tessere relazioni dentro-fuori i sindacati, i partiti, i luoghi delle istituzioni, senza le "altre" tutto lo sforzo prodotto solo da una parte sarebbe stata ben piccola cosa.
Forse le difficoltà e le polemiche che si sono accese attorno all'appuntamento sindacale per l'otto marzo parlano di questa rottura , di significati frammentati, di mancanza di luoghi di riconoscimento capaci di costruire forza e senso comune, condivisione di pratiche e di emozioni.

Al di là delle polemiche e delle invettive, senza sminuire le altre e ognuna consapevole della propria parzialità , nonostante le elezioni immininenti e le tante strumentalità e trappole sottese, mi piacerebbe trovare un luogo in cui ritessere il confronto e le relazioni.
Per tutto ciò, cara Susanna, cara Tiziana propongo di incontrarci per confrontare le diverse ragioni, ricostruire oltre le separazioni e i luoghi (non) comuni, anche oltre l'imminente 8 marzo, diamoci un appuntamento aperto per parlarne, per far valere le ragioni delle nostre differenze sopra ogni separazione.
Con affetto

questa lettera è uscita su Liberazione del 6 marzo 2008

 

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