Rosaura Galbiati, Spirito selvaggio. Le stagioni della vita

 

L'arte di scrivere la Natura: nell'immenso parco del Denali in Alaska

Maria Grazia Longhi


La grazia dei cuccioli di lupo, la solitudine dell'orso, la lunga marcia dei migratori artici, il fermento nell'aria… la flora e la fauna del Denali ispirano la scrittrice di questo libro in un insieme di racconti che associano sensibilità di percezione e rigore scientifico.

È una giornata di primavera precoce quando “giù per le montagne, quasi rotolando tra i massi, chiazze di terra scoperta e campi di neve”, compare un giovane orso: è appena uscito dal letargo ed è solo, nella stagione scorsa ha perso la madre. “Il passo dell'orso è stabile, senza affanni e senza intralci, come leggero di vita”. Così, con un primo racconto che ha come protagonista un giovane orso, cominciano le cronache dedicate agli animali, alle cose e agli altri elementi che costituiscono la riserva naturale del Denali. Così si rivela anche l'amore del vivente, l'elogio della vita e delle sue evoluzioni, il desiderio di captare l'impermanenza e, in certi casi, l'interiorità che l'autrice intuisce nei protagonisti delle sue cronache.

La prosa procede con riflessioni naturalistiche e sintesi poetiche rese come in un nuovo “Canto del mondo reale” eseguito senza enfasi e con estrema adesione al soggetto delineato. Si avvicina al suo ‘personaggio’ - l'animale di volta in volta osservato - trattandolo come esemplare di una specie precisa e insieme come ‘individuo’ singolo del quale rispettare le peculiarità fisiche e il carattere.
L'orso, per esempio, o il lupo, l'alce o il caribù, ma anche le specie più diverse come i salmoni e le effimere sono seguiti con attenzione alla loro alterità - con fedeltà direi - in tutte le loro manifestazioni, sia che si trovino impegnati nelle difficili prove di sopravvivenza che implica la ricerca del cibo o nelle esibizioni di forza e di potere che comporta la contesa delle femmine da parte dei maschi; o ancora, nella disperata strategia di difesa dei loro piccoli da parte delle madri.
Allora il testo assume un tono di maggiore gravità, l'orrore rimane nel non detto, ma non così la compassione. Il trauma, che al momento dell'aggressione e della perdita del figlio sbranato sotto i suoi occhi da un predatore affamato, sconvolge la madre e la paralizza, è incapace di reagire.
Tutto ciò comporterà per lei altri dolori, eppure, leggiamo “la femmina di caribù rimarrà per poco esposta all'assenza del figlio, si riprenderà per procreare di nuovo” perché “gli animali, forse più degli uomini sono assuefatti alla morte. E la superano”.

Il richiamo di diverse discipline, la geologia, la biologia, l’entomologia, la botanica, la fisica e non ultima la psicanalisi, consente loro di entrare a far parte del testo che conserva la sua eleganza, la sua esauriente chiarezza nella rappresentazione di ogni avvenimento, la sua efficacia nel rendere la pienezza di ogni visione, di ogni essere, a partire da un solo primo elemento: la rapida premonizione dell'autrice che prefigura ciò che sta per accadere e la sua conclusione.
Così, con le parole che dicono del sentimento - tra tutti il più delicato - lei racconta una storia d'amore; riconosce subito i segni della passione che nasce: glielo rivelano l'avvicinarsi esitante, gli atti mancati, gli slanci tenerissimi, i baci di una coppia di lupi. Ha intuito quell'amore negli sguardi furtivi, nelle posture, nei movimenti e negli esiti del desiderio reciproco; tutto questo, poi, l’ha trasferito nella sua scrittura, con un'esattezza che confonde e anche con un po’ di pudore.

 

Da un lato, la scrittura dà forma al momento e all'atmosfera, dall'altro descrive il terreno e le sue asperità, i pericoli, le sue influenze, le rare opportunità che la natura concede alle creature del Denali.
Ogni scena si sviluppa senza fissità, al contrario, mantiene nel movimento una sorta di fluidità e pertinenza resa - ritengo - da una proprietà di linguaggio che non trascura neppure i più minuti dettagli.
E si estende così alla profondità delle sensazioni, alle pulsioni, ai ”moti dell'animo” come già aveva preconizzato Leonardo e che oggi chiameremmo più modernamente inconscio.
Inevitabilmente, la complessità del testo si estende alla rilevazione del dolore, alle tensioni violente e agli esiti fatali dell'aggressività che portano alla morte.

 

E poi, in alcuni rari episodi fra i tanti dedicati alle imprese dei lupi e alla migrazione dei caribù, sembra che il testo sia come penetrato dal senso invisibile della spiritualità: I lupi - si dice nel capitolo “Il branco” - “compaiono per poco e spariscono per molto, sono animali elusivi, reali quando si materializzano e consistenti pure nell'assenza, come sagome luminose di cui resta l'alone dopo che si sono spente nel buio”. Come sagome “numinose” - verrebbe da dire - raccogliendo l’eco di una arcaica sacralità pagana o la memoria delle pitture rupestri di Lascaux che, si dice, segnino la nascita dell'Arte.
Sarebbe riduttivo pensare che le immagini di questo bel libro siano solo facili descrizioni speculari, aneddotiche avventure e semplici ricordi.
La restituzione grafica di tutte queste figure implica molto di più: non ci sono solo la vivacità e la bellezza della loro presenza, c'è qualcosa di sfuggente e di intenso che, sì, s'avvicina all'arte pittorica, alla vecchia constatazione “ Ut pictura poesis”, come la pittura, così la poesia. Detto altrimenti da Jean Baptiste Corot: “Il reale è solo una parte dell'arte, il sentimento lo completa” e conferma Edward Hopper: “ La cosa è stata vista. Il tempo fermato. E la palpitazione la sentiamo ancora”.

 

C'è qualcosa di più, dicevo, in questa scrittura: è il fattore emozione. È come se nello scrivere, Rosaura Galbiati sia sempre spinta dal desiderio di restituire le emozioni - così simili alle sue - provate da ogni essere che ha incontrato e che mai, altrimenti, avrebbe lasciato traccia di sé.
Lei ha un suo personale modo di rapportarsi al mondo animale e la natura tutta, un modo simbiotico che dà prova di quanta ricchezza sia fatto il suo mondo interiore; intuisce, si identifica, nell'apparente diversità che separa la vita umana da quella animale e vegetale, scopre l'essenza dell'universo comune: “l'Analogia”, come da sempre sostiene nelle sue poesie e nei saggi il poeta Yves Bonnefoy.

 

Pur mantenendo una sua singolare peculiarità, dovuta alla grazia e alla sensibile proprietà della sua scrittura, si può far rientrare questo libro in un ramo letterario, innovativo e in piena espansione, che sostiene la necessità urgente e morale di proteggere l'ambiente.
Con una responsabile scelta dei temi e della forma di scrittura “l'eco poetica” tende a ricollocare l'essere umano nella complessità del vivente e a sensibilizzare la percezione del lettore sul rispetto della Natura.


 

Rosaura Galbiati, Spirito selvaggio. Le stagioni della vita
uscirà il 24 settembre 2024 con Transeuropa Editore

6-09-2024

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