di Rossana Rossanda
Come siamo
frettolosi e snob davanti al primo tentativo della galassia delle sinistre
di mettersi assieme. Pare che i più scafati manco siano andati a vedere.
Eppure non ci sono alternative, o si lascia la sfera politica a Veltroni,
e noi ci contentiamo di essere, se va bene, frammenti interessanti e
intelligenze o mozioni, o si ricomincia a parlarsi «per».
Si dirà: ma in fondo
da questa parte del mondo ce la caviamo, perlopiù abbiamo un tetto sopra
la testa, un piatto da mangiare, un po' di compassione per gli esclusi. È
vero, mettere un freno al meccanismo mondialmente in atto è impellente
dove esso produce subito morte, e non è il nostro caso. Non per l'assoluta
maggioranza di noi, e delle minoranze miserabiliste chi se ne frega?
Non sono d'accordo.
Per quel che so, la riunione di sabato e domenica non ha dato che una
risposta, la decisione di lavorare assieme, obiettivo minimo non andare
dispersi alle prossime elezioni, non molto ma meglio di niente, obiettivo
massimo, ma poco interrogato, diventare un partito. Per dir la verità,
oggi è lo stesso, e lo sarà fin che manca una elaborazione comune sul
punto in cui siamo e un tentativo comune di interpretazione delle diverse
soggettività presenti, di quel che ciascuna mette nelle diverse sigle o
movimenti, per cui uno o una stanno in questo e non in quello. Per conto mio, la prima urgenza è garantire un'area, un perimetro, una disponibilità dentro alle quali parlarsi, rispondersi, cercar di costruire una piattaforma che conti sulla scena delle idee, su quella sociale e su quella istituzionale. Dei limiti di quest'ultima si può dire molto, ma senza di essa conta di meno, così come ridursi a essa significa tagliarsi radici e canali di alimentazione. Tema prioritario? Secondo me capire come i soggetti singoli e collettivi siano prodotti o intaccati o condizionati, o resi meno liberi, dal meccanismo economico-politico dei poteri oggi mondialmente dominanti. Meccanismo articolato, in mutazione, produttore di lacerazioni anche interne, ineludibile. Ma a sua volta condizionato dalle soggettività che innesta o con le quali si scontra. La vecchia storia, Marx sì Marx no, si misura su questo criterio. Non è riconducibile, come si usa, alla «questione del lavoro». Per contro, una soggettività non si misura su un'altra soggettività, ma tutte e due con, per così dire, la pesantezza del mondo. Non vedo difficoltà per chi sta oggi attorno a Rc o al Pdci, salvo finirla con la negazione o riaffermazione di un «da dove veniamo» (che sarebbe l'ora di guardare in faccia invece che celebrare o esecrare). Né vedrei difficoltà negli ecologisti: come O'Connor, ma anche senza di lui, sanno bene quanto delle razzie contro gli equilibri naturali o ambientali dipenda dal denaro e dalla mercificazione generale. La battaglia per l'ecosistema non ha avversari diversi da quelle per/contro il lavoro salariato e contro le guerre. Quanto ai movimenti, la loro filosofia rende più semplice aderire a tutto o a questo o a quello mantenendo un'indipendenza. Lo stesso vale per la causa delle donne, che peraltro non si esaurirà mai neanche nella più complessa e raffinata delle politiche - il femminismo sa bene che non è «una delle» esperienze, è costituiva della specie umana. Credo infine che anche i nostri giornali dovrebbero mettere a disposizione non la loro autonomia ma le loro teste. Dimenticavo la questione del leader. Beh, il leader viene ultimo. E dovrebbe lavorare come lo stato, alla propria estinzione ... è il peggio del famoso partito. Per ora non me ne occuperei.
Questo articolo è apparso su
il manifesto
del 12 dicembre 2007 la foto è tratta dal sito della confederazione dei lavoratori argentini 13/12/2007 |