Rossana Rossanda e il femminismo
a cura di Lea Melandri

Frammento 3



Da “Le Altre.
Conversazioni a Radiotre sui rapporti tra donne politica, libertà, fraternità, uguaglianza, democrazia, fascismo, resistenza, stato, partito, rivoluzione, femminismo”
Bompiani 1979.



“Libertà

Questo suo essere ancora ‘al di qua della libertà’ come è stata storicamente vissuta, con le sue frustrazioni e limiti, dagli uomini, e quindi il senso che ‘libertà’ ha per lei, è al centro delle parole di una femminista, una donna dalla formazione molto diversa dalla mia, che mi ha colpito. Scrive Lea Melandri nell’ “Infamia originaria”:

“La sopravvivenza, come si presenta nell’esperienza quotidiana delle donne, è come se non avesse tempo né storia. Punto di arrivo e di partenza resta quello di origine, una fissità e una immobilità che provocano la paralisi o la mutilazione del fare. E’ solo con grande sforzo che la donna riesce a far proprio il lavoro dell’uomo, mantenendo comunque rispetto ad esso una specie di riserva. Le sue energie restano ostinatamente legate alla ricerca di un ideale amore materno, su cui pesano paura e senso di colpa. L’unico fare possibile, vorrei dire l’unico fare naturale, è la maternità. Trasformarsi da figlia abbandonata in madre generosa. L’esperienza e l’abbandono-tradimento materno mette la donna nella condizione di dover cercare costrittivamente nell’uomo la prova della sua esistenza e del suo valore”.

Ha bisogno -dice Melandri - di trovare la prova della sua esistenza. Dunque la libertà per lei è ancora e prima di tutto il ritrovare un’identità, essere. E’ un tema niente affatto semplice, né risolto nel giuridicismo delle nostre democrazie: la questione dell’inalienabilità della persona, forse anche del gruppo o etnia o nazione, affiora periodicamente nella storia, poi riaffonda.
Per le donne ha una dimensione tanto grande quanto la negazione di cui sono state fatto oggetto: immensa. Esse sanno che la persona resta violata al di là delle dichiarazioni di diritto: dalla miseria, dal comando, dall’ideologia, da quella proiezione dell’aggressore che stinge anche all’interno di noi.
E questo senso dell’alienazione dell’io profondo, che si esprime nel bisogno di chiedersi “Ma io chi sono?” e si proietta di continuo negli slogan femministi (“Io sono mia”, ma come, sussulta una come me, come tua? Devi essere della società, degli altri), è il messaggio più reciso che il nuovo movimento delle donne ci manda.”

(pag. 85, 86)



 

home