Università degli Studi di Milano

Dipartimento di scienze della storia e della documentazione storica

 

Comune di Milano

Cultura Musei e Mostre

Raccolte Storiche

 

Salotti e ruolo femminile in Italia tra  fine Seicento e primo Novecento

 

Convegno di studi

Milano, 23-24-25 gennaio 2003

Università degli Studi di Milano

 

 Presentazione
 

Il ruolo svolto dalle donne nella sfera pubblica, come hanno dimostrato le più recenti ricerche di storia intellettuale, politica e “di genere”, è cambiato in misura notevole dal Medioevo ad oggi, e i mutamenti non sono avvenuti solo nella direzione di un ampliamento degli spazi e dei ruoli consentiti alle donne: secondo tesi recenti, anzi, esse sarebbero state progressivamente private di spazi e opportunità nel passaggio dal Medioevo all’età moderna, sia in seguito al ruolo di repressione sessuale e disciplinamento familiare assunto dalle chiese nell’età confessionale, tra XVI e XVII secolo, sia con l’emergere del modello di domesticità femminile connesso all’affermarsi del tipo moderno di famiglia affettiva borghese, a partire dal XVIII secolo.

 L’ascesa del modello borghese di intimità domestica, e i progressi dell’industrializzazione, avrebbero dunque provocato un progressivo e inesorabile restringersi degli spazi di autonomia femminile, da un lato nella famiglia e dall’altro nell’economia. Tuttavia, a correggere in parte queste ipotesi si può osservare che ebbe diverso andamento l’accesso delle donne alla sfera pubblica e politica. E’ ovvio che, prima dell’era delle democrazie, tale accesso non poteva che essere riservato alle donne (esattamente come agli uomini), dei soli ceti superiori, nobiltà e alta borghesia. Ma entro questi limiti, nel XVIII e XIX secolo si aprirono alle donne nuovi spazi nella sfera pubblica, e ruoli che potremmo definire “quasi-politici”; e questo anche prima che emergessero, con la Rivoluzione Francese e coi movimenti emancipazionisti dell’Ottocento, le prime, aperte rivendicazioni femminili di accesso ai diritti politici.

Questi ruoli “quasi-politici” assunsero rilievo anche per le donne, quando cominciò a modificarsi, nel corso del Settecento, la tradizionale opposizione tra familiare-privato e pubblico-politico: come ha mostrato un classico studio di Jurgen Habermas (Strukturwandel der Oeffentlichkeit, trad. it. Storia e critica dell'opinione pubblica, Roma-Bari, Laterza, 1971), che è stato di stimolo per un intero e ricco filone di ricerche, si assiste nel Settecento al costituirsi di una sfera di socialità e opinione pubblica, distinta sia dall’intimità familiare e domestica, sia dalla sfera politica: essa dipende dalla presenza di istituzioni di rappresentanza politica, come il Parlamento inglese, e funge da cassa di risonanza e di commento agli eventi della sfera politica. Questa sfera dell’opinione pubblica e della sociabilità, sia aristocratica che borghese, si venne costituendo in Inghilterra sin dalla fine del XVII secolo e in Francia dall’Illuminismo, e conquistò una crescente autonomia sia dalla sfera della tradizionale famiglia dinastica, sia dalla società di corte: i salons diretti da donne istruite e letterate furono luoghi primari della sua organizzazione (Affairs of the Mind: the Salon in Europe and America from the 18th to the 20th Century, ed. by P. Quennell, Washington, New Republic, 1980; V. von der Heyden-Rynsch, Europaeische Salons: Hoehepunkte einer versunkenen weiblichen Kultur, Muenchen, Artemis und Winkler, 1992).

Nel convegno progettato, muovendoci tra storia della cultura, storia politica e “gender history”, intendiamo studiare e valorizzare il ruolo che le donne delle élites furono in grado di assumere anche in Italia, dalla fine del XVII ai primi del XX secolo, in questa sfera dell’opinione pubblica, come mediatrici e organizzatrici di cultura, nei salotti prima aristocratici e poi borghesi. Da un lato, le donne salonnières crearono spazi di sociabilità, in cui poterono trovare espressione e circolazione, anche negli Stati d’antico regime e prima della formazione dei partiti politici, nuove correnti di opinione filosofica, letteraria e politica; dall’altro, resero socialmente accettabile la figura della donna colta, educata e letterata, offrendo il modello di ciò che le donne d’élite potevano fare, anche fuori del convento o della sfera domestica. Mentre ancora mancava alle donne ogni diritto di accesso alla sfera propriamente politica, la salonnière si ritagliava però, con l’organizzazione e la guida dei salotti, un ruolo pubblico e “quasi-politico”, capace di influenzare mentalità e atteggiamenti collettivi e di rendere accettabile una concezione un po’ più equilibrata dei rapporti di genere.

Per spiegare l’avvio, in Italia, di questa età dei salotti a conduzione femminile suggeriamo e vorremmo approfondire, anzitutto, l’ipotesi di una circolazione di modelli culturali tra paesi mediterranei e transalpini, entro la costruzione della comune identità europea. Intendiamo indagare, infatti, sulla diffusione in Italia dei modelli offerti dalla monarchia francese del grand siècle, che dava spazio, nella società di corte di Luigi XIV, sia a rapporti non segregati tra uomini e donne dell’aristocrazia, sia alle donne letterate o précieuses (C. Loungee, Le Paradis des Femmes. Women, Salons and Social Stratification in 17th Century France, Princeton University Press, 1976; Femmes savantes, savoir des femmes. Etudes réunies et éditées par C. Nativel, Genève, Droz, 1999; M.Maitre, Les Précieuses, Paris, Champion, 2000).

La diretta occupazione francese di alcuni stati della penisola, durante gli ultimi anni della guerra di successione spagnola (1707-13), segnò a nostro avviso, nella storia della mentalità e dei rapporti di genere nell’Italia moderna, una svolta di grandissima portata, che sinora è stata forse un po’ trascurata o sottovalutata. Si tratta della fine del modello di esaltazione della verginità, clausura femminile e segregazione tra i sessi, che era stato imposto, almeno dalla metà del Cinquecento, dalla pressione congiunta della Controriforma e della cultura dell’onore spagnola: vie e spazi pubblici e politici esclusivamente maschili, segregazione delle donne nei conventi e nei ginecei domestici. Proprio intorno all’anno 1700 si assiste invece all’abbandono quasi improvviso di questi modelli, e al rapido diffondersi, nei ceti aristocratici, di una nuova socialità senza segregazione delle donne, ed anzi con la partecipazione di entrambi i sessi.

Tale passaggio è provato anzitutto da quell’abbondante letteratura, già egregiamente studiata da Luciano Guerci (La discussione sulla donna nell’Italia del Settecento. Aspetti e problemi, Torino, Tirrenia Stampatori, 1987-1988; Id., La sposa obbediente. Donna e matrimonio nella discussione dell’Italia del Settecento, Torino, Tirrenia Stampatori 1988), in cui predicatori e teologi ancora fedeli alla segregazione tra i sessi si scagliano contro i pericoli delle “conversazioni”, che sono appunto, a nostro avviso, quelle riunioni aperte a donne e uomini, introdotte dall’influenza della francese società di corte. In secondo luogo, testimoni di questa nuova comunicazione tra i sessi sono le riprese italiane di testi francesi in difesa degli studi delle donne, e soprattutto la nascita e il fulmineo successo di quel fenomeno letterario che fu l’Arcadia, in parte almeno d’influenza francese (si pensi all’Astrea di Onoré d’Urphé). L’aprirsi alle donne dei saloni d’élite venne giustificato con la capacità riconosciuta alle donne di comporre poesia: l’Arcadia coi suoi pastori e pastorelle, se riletta nell’ottica della “gender history”, si rivela come un episodio non solo di storia letteraria, ma anche di storia dei rapporti di genere, di accresciuta libertà tra i sessi coniugata con l’accesso delle donne aristocratiche alla letteratura: una svolta dovuta al diffondersi anche in Italia del modello della précieuse, la donne poeta e letterata del ‘600 francese.

 

Si è pensato quindi di far iniziare il convegno con la svolta che, tra fine ‘600 e primo ‘700, porta in Italia i costumi francesi e ammette le donne alle “conversazioni”, da cui erano state escluse per tutto il periodo della “grande reclusione” domestica e conventuale d’età spagnola. Le relazioni potranno proseguire oltre questo, pur cruciale, periodo d’avvio, per concentrarsi da un lato su fonti, problemi di periodizzazione e di distribuzione geografica, e dall’altro su alcune chiavi d’interpretazione, capaci di mettere in rilievo i caratteri distintivi del fenomeno “salottiero”. Senza queste linee-guida, infatti, si rischia di ricadere in quella vecchia storia dei salotti, nata nell’800, che rimase tipicamente aneddotica perché condivideva i limiti intrinseci al fenomeno che descriveva: da un lato la natura informale del salotto, cui corrisponde la mancanza di fonti dirette, se non di carattere disperso e frammentario - soprattutto carteggi e periodici; dall’altro la contiguità tra salotto e oralità, conversazione, chiacchiera: un’altra caratteristica informale, che ha avuto la tendenza a comunicarsi anche alla rievocazione storica, sempre al limite del gossip e del pettegolezzo.

Le fonti sono per definizione a-sistematiche e trasversali, indirette e frammentarie. Sono fonti su cui si fanno in prima istanza “altre” storie, ma dalle quali si possono spigolare anche frammenti di una storia dei salotti e delle donne che li animarono: dai carteggi privati, ai periodici letterari, alle gazzette e quotidiani, ai diari e alle memorie autobiografiche, sino agli archivi familiari e (forse) agli atti notarili. Queste fonti richiedono, per essere valorizzate, che si pongano in contatto e a confronto saperi e competenza diverse: su questi temi si sollecitano i contributi dei collaboratori (vedi in particolare la I mattinata), sottoponendo a discussione le proposte di periodizzazione e di interpretazione. Anche nelle tavole rotonde conclusive si vorrebbe giungere a un confronto a più voci, ma secondo una prospettiva di interpretazione il più possibile coerente e unitaria, in modo da evitare la frammentarietà aneddotica di molta precedente letteratura sull’argomento.

Quanto alla periodizzazione, una prospettiva di lungo periodo, che superi i tradizionali steccati cronologici e disciplinari, può mettere in evidenza alcune differenze di fondo tra salotti sette- e ottocenteschi, che vanno spiegate con il diverso spazio che l’opinione pubblica e la rappresentanza politica occupano negli Stati pre- e post-rivoluzionari. I salons settecenteschi sono ancora limitati a dar voce ad una “opinione pubblica” soltanto letteraria, e ad accogliere una società quasi esclusivamente aristocratica, a causa delle censure e dei divieti posti dagli Stati d’Antico Regime alla libertà d’espressione e alla rappresentanza politica. Quanto ai temi, per il Settecento si intende indagare sul ruolo che svolgono nei salotti i rapporti di genere incrociati coi rapporti letterari: in che misura la guida di una donna è necessaria a costituire un salotto frequentato da uomini, e in che misura il suo ruolo di donna di mondo deve essere completato dagli studi e dall’intelligenza letteraria (si pensi al rapporto della salonnière col suo consigliere letterario, ma anche con l’amore, il corteggiamento, il cicisbeismo).

In particolare, collegandosi alla proficua collaborazione tra gender history e storia letteraria, si vorrebbe indagare - con la necessaria collaborazione tra storici sociali e della letteratura - sul rapporto tra salotti e produzione letteraria, anche a livello di analisi delle fonti: l’idea chiave è infatti che il salotto fosse un laboratorio impermanente, orale e informale, in cui si preparavano gli elaborati da consegnare a supporti e sedi permanenti, scritte e formali: i carteggi spesso proseguono le “conversazioni”, i periodici pubblicano le notizie dei libri di cui la salonnière discute, la produzione poetica d’occasione, ma anche la dissertazione o la commedia, vengono sollecitate, recitate e discusse nel salotto prima di esser presentate in teatro o nell’accademia o date alle stampe.

Per il Settecento si dovrà dunque concentrare l’attenzione sui salotti letterari, specie quelli più maturi dagli anni ‘60-80 all’età napoleonica: la loro geografia appare ancora limitata all’Italia centro-settentrionale, ma anche capillarmente diffusa dalle città capitali alle province. Più numerosi e forse per questo più studiati (ma non sempre anche con i metodi della gender history) sono i salotti dell’Ottocento (ad es. Maria Iolanda Palazzolo, I salotti di cultura nell’Italia dell’800. Scene e modelli, Milano, FrancoAngeli, 1985; Maria Teresa Mori, Salotti. La sociabilità delle élite nell’Italia dell’Ottocento, Roma, Carocci, 2000; G. Rossi, I salotti letterari in Toscana. I tempi, l’ambiente, i personaggi, Firenze, Le Lettere, 1992; D.L. Caglioti, Associazionismo e mondanità d’élite a Napoli nel XIX secolo, Napoli, Liguori, 1996). Essi pongono ormai decisamente in primo piano la componente politica, dapprima nella forma della passione patriottica (pre-pluralista e pre-partitica), sino talvolta a costituirsi in veri e propri “gruppi di pressione”, di elaborazione e coordinamento del programma unitario. Vi sono rappresentate molte componenti della nobiltà, dell’alta e della media borghesia politica e finanziaria, specchio della composizione delle classi dirigenti

Nell’Ottocento appare inoltre decisivo, non a caso, il ruolo delle capitali (Torino, Milano, Venezia, Napoli), forse proprio perché è qui che i salotti possono operare come gruppi di pressione politica (ad es. D. Pizzagalli, L’amica. Chiara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Milano, Mondadori, 1997). Pur senza dimenticare il loro carattere di sociabilità borghese (Marco Meriggi, Milano borghese: circoli e élites nell'Ottocento, Venezia, Marsilio, 1992; Paolo Macry, Ottocento: famiglia, élites, patrimoni a Napoli, Torino, Einaudi, 1986; e in via comparativa, ad es. Sociabilité et société bourgeoise en France, en Allemagne et en Suisse, 1750-1850, éd. par E. François, Paris, 1986), sembra quindi lecito fondare la periodizzazione sulla storia politica: ai salotti patriottico-liberali della Restaurazione seguono quelli del decennio di preparazione (Clara Maffei, Vittoria Cima, Rachele Villa Pernice) in cui assume particolare rilievo l’emigrazione meridionale a Torino; con Firenze e poi con Roma capitale i salotti appaiono già in certa misura specializzati, gli uni politico-parlamentari, gli altri economico-finanziari (Olimpia Savio, Emilia Peruzzi: v. U. Rogari, Due regine dei salotti nella Firenze capitale. Emilia Peruzzi e Maria Rattazzi fra politica, cultura e mondanità, Firenze, Sandron, 1992).

Un punto d’arrivo, infine, potrebbero essere quei salotti di fine ‘800 e primo ‘900, che cominciano a perdere il carattere di sociabilità borghese per spostarsi verso il socialismo e l’emancipazionismo (Ravizza, Maino, Sarfatti, Kuliscioff). Si intravede qui il definitivo tramonto delle salonnières, donne la cui vocazione pubblico-politica si era dovuta esprimere nelle forme socialmente accettabili dell’improvvisazione letteraria o della passione patriottica. Nei movimenti e partiti della sinistra è consentito alle donne un modello d’impegno nuovo, che non ha più bisogno di essere moderato e celato nella socialità, e proprio qui emergono i primi modelli di donne politiche di professione, impegnate nella “filantropia politica” e nel femminismo militante.