Il femminismo sfida la
sinistra: «Per vincere, smantella il patriarcato»
di Piero Sansonetti

Sarah Sze
Oggi con Liberazione viene venduto un libro, che hanno curato Carla Cotti
e Angela Azzaro, intitolato “Nel cuore della
politica”. Raccoglie i pensieri, le idee, gli scritti di un gruppo di
donne e di alcuni uomini che nell’ultimo anno, più o meno, si sono
misurati con quella questione complicatissima, aggrovigliata e molto
grande che noi chiamiamo “questione di genere”. Cosa è? L’insieme mai
risolto dei problemi che riguardano la relazione, la convivenza e la lotta
tra le due parti nelle quali è divisa l’umanità: l’uomo e la donna. L’anno
che è passato è stato un brutto anno per tanti motivi. Il principale,
forse, è la sconfitta pesantissima subita da tutti noi nel referendum
sulla fecondazione assistita. E’ stato l’anno del ritorno in politica -
forte e arrogante - del Vaticano nella sua versione integralista e nella
sua pretesa ecumenica e totalizzante (totalitaria). Ma è stato anche un
anno importante, di risveglio: il femminismo è tornato a parlare, a
combattere, è sceso in piazza - specie negli ultimi mesi - mostrando una
forza e una capacità di pesare che non si vedeva più da molti anni. Ha
detto Lea Melandri: è uscito dal silenzio.
Il libro che vi proponiamo di acquistare si chiama “Nel cuore della
politica”. Abbiamo scelto questo titolo perché il femminismo ci ha
convinti che quando si parla della questione di genere non si parla di uno
dei tanti problemi della politica, ma del suo centro, della sua essenza,
del cuore: appunto, il cuore in quanto motore della vita e sede dei
sentimenti, delle energie, della gioia.
La sfida che il femminismo ci ha lanciato, che ha lanciato soprattutto
alla sinistra - sconfitta nel referendum e ora candidata a guidare il
governo del paese - è esattamente questa: capire che la lotta tra i generi
- la difesa delle loro differenze, della pari dignità, della complessità
delle loro relazioni - non è un problema fondamentale della politica ma è
il problema dei problemi. E’ il punto di partenza. Perché? Provo a
rispondere per quello che ho capito.
Perché oggi non è possibile una critica
seria della società e dello Stato, e un progetto di contenimento delle
sopraffazioni - delle disuguaglianze di diritti, dei domini, delle
prepotenze - se non si parte dalla prepotenza principale che da millenni -
prima ancora del delinearsi della società capitalista e del liberismo
contemporaneo - ha condizionato e modellato tutte le forme della
convivenza. Questa prepotenza, con una parola abbastanza semplice e
antica, si chiama “patriarcato”, cioè potere maschile, modello maschile,
cultura del maschio. E’ un modello fondato sulla gerarchia, sul dominio e
sulla burocratizzazione dei meccanismi di formazione e di esercizio del
potere. Ed è un modello che ha trovato la sua espressione più moderna nel
capitalismo, nel pensiero liberista, e oggi nella globalizzazione violenta
e “Occidento-centrica” alla quale assistiamo.
E’ ragionevole pensare a una riforma di questa società, e degli Stati,
senza una critica serrata del “potere”, del modo come si forma, come si
distribuisce, come si esercita? Non è ragionevole. E’ impossibile pensare
a nuovi orizzonti per la libertà e per l’uguaglianza - e tanto più per la
fraternità o per la sorellanza - se non si passa attraverso una fase di
critica totale del potere e attraverso un suo ridimensionamento.
Bene, le femministe ci dicono che questo modello del potere, che noi
vogliamo combattere, è interamente costruito sulla logica guerresca,
competitiva, efficientista e gerarchizzante che sta alle fondamenta del
patriarcato.
Sarà ora che noi maschi di sinistra ci convinciamo a fare i conti con
questi punti di vista. Dobbiamo raccogliere la sfida. Capire che ci
riguarda. I maschi di destra non hanno grandi preoccupazioni. Il loro
punto di vista è chiaro: nella vita, nella storia, è bene che vinca il più
forte, perché a lui tocca la guida e i più deboli potranno godere di una
parte, seppur modesta, dei suoi successi. Il più forte vuol dire il ricco,
il muscoloso, l’armato, il furbo, colui che ha alleati potenti. Il più
forte vuol dire il maschio. A lui il potere, i deboli possono obbedire,
essere subalterni, e ricevere qualche regalia; oppure ribellarsi ed essere
sconfitti. Il maschio di destra non ha bisogno di misurarsi col
femminismo.
Noi invece, se davvero vogliamo contestare la crisi di civiltà alla quale
l’occidente capitalista e “poterista” si sta avviando, non possiamo
eludere la questione del rapporto (conflitto) uomo-donna. Il femminismo ci
dice: non si può smantellare questa società se non si smantella il
patriarcato. Difficile dargli torto.
Non useremo questo otto marzo per parlarvi di quote rosa, o del fatto che
in Italia solo un quotidiano ogni cento ha una direttora, cioè una donna
al comando, non vi parleremo dei governi di tutti maschi, dei consessi di
segretari di partito dove le donne non sono ammesse - come nei concistori,
nei conclavi - né di tante altre questioni di questo tipo.
Ne accenniamo solo per dirvi una cosa:
nel momento in cui i gruppi dirigenti - maschili - dei partiti si sono
arrogati il diritto (sfruttando il potere loro concesso da una legge
elettorale antidemocratica) di nominare un parlamento che per oltre i due
terzi è composto da maschi (ma forse anche quattro quinti, forse cinque
sesti) non hanno compiuto un gesto che offende la rappresentanza delle
donne. Non è questo il problema, non sta in questi termini. Hanno commesso
un gesto che offende la civiltà. E noi dobbiamo decidere se accettare o no
la sfida che ci viene dalle donne: smantellare il patriarcato per salvare
e ricostruire la civiltà.
questo articolo è apparso su
Liberazione dell'8 marzo 2006
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