Incontro con Silvana Santachiara

Ringraziamo Silvana Santachiara per la sua disponibilità a presentare le sue ricerche a un piccolo gruppo di donne che non conosce il linguaggio della sua disciplina e ringrazio Elena Rader che ha reso possibile questo incontro.

Silvana Santachiara è genetista. In questo periodo si fa un gran parlare di geni, genomi, cloni, organismi geneticamente modificati e così via, ma raramente si parla di genetica rapportata agli studi delle popolazioni, e in particolare con riferimento ai movimenti delle popolazioni del passato.

Quest'incontro cade alla fine del nostro corso, quasi a cortocircuitare il più remoto passato - di cui fin qui ci siamo occupate - e il futuro che la genetica, tra le varie scienze, sembra maggiormente essere in grado di modellare, intervenendo proprio nell'operare delle leggi della natura, simboleggiato dalla dea, secondo un progetto tutto umano: ritorna attuale il mito africano di Mawu e Awe, se mai avesse smesso di esserlo.

Ma non è degli aspetti manipolativi della genetica che Santachiara si occupa. Va ricordato piuttosto che l'archeologia si è sempre avvalsa degli strumenti scientifici che ha avuto a disposizione nel corso del tempo e che ogni epoca le ha fornito gli strumenti che man mano si rendevano disponibili: la stratigrafia, la geologia, la datazione con il carbonio… Ma credo che l'ingresso della genetica possa fornire un apporto davvero decisivo, perché i risultati di questi studi già ora portano a rivedere alcune delle convinzioni fin qui condivise.

Ho conosciuto il lavoro di Silvana Santachiara al convegno "Le radici prime dell'Europa" organizzato, tra gli altri, da Gianluca Bocchi e da Cavalli Sforza e sono stata molto colpita dal tipo di lavoro e di prospettiva da cui queste ricerche sono mosse e dal fatto che mostrano di fornire conferme quasi insperate alle ipotesi originate dai ritrovamenti archeologici della seconda metà del '900 e che sono state spesso liquidate come farneticazioni e teorie visionarie. Mi riferisco in particolare alle ricerche sul neolitico di Marija Gimbutas nella penisola balcanica e nella valle del Danubio e agli scavi di Mellaart in Anatolia. I risultati delle ricerche genetiche sulla distribuzione e i movimenti dei tipi umani nei vari continenti mostrano, per quanto riguarda l'Europa, l'esistenza nella struttura genetica delle popolazioni europee di una componente paleolitica e di una neolitica ben differenziate. In particolare, alcune componenti genetiche sono risultate essere state portate dagli agricoltori neolitici provenienti dal Medio Oriente e inserite sulla base paleolitica preesistente. E sarebbe anche stata anche identificata, sempre a livello di distribuzione di particolarità cromosomiche, l'espansione che a partire dall'Ucraina portò la cultura Yamnaia in Europa ed in India e, con essa, secondo alcuni, la diffusione delle lingue indoeuropee.

……………………… Ora vi parlerò delle due teorie contrapposte sull'origine dell'uomo moderno.
Una teoria, che si chiama multiregionale, sostiene che l'uomo moderno si è originato in diversi continenti a partire dall'uomo arcaico. L'uomo moderno si è generato dall'Homo erectus in Africa, Europa, Australia. Questa teoria è stata formulata soprattutto in base ai reperti fossili.

L'altra teoria sostiene che l'uomo moderno si è originato in Africa e da lì è uscito, infatti si chiama "out of Africa". L'uomo moderno è andato a occupare i vari continenti, non mescolandosi con i precedenti abitanti, e poi rimpiazzandoli completamente. Questa teoria è stata suffragata soprattutto dai genetisti.

E' chiaro che la discussione tra la teoria unicentrica e quella multicentrica non è ancora completamente superata. Con il reperto di nuovi fossili e con l'affinamento delle tecniche di datazione molti paleontologi hanno abbracciato le posizioni dei genetisti. I fossili sono molto importanti da un certo punto di vista perché illuminano il contesto dell'evoluzione dell'uomo, potendo mettere in evidenza l'estinzione di popolazioni; cosa che la genetica non può fare perché studia le popolazioni attuali, moderne e se una popolazione è estinta non può studiarla.

I fossili, invece, danno questa e anche altre informazioni. Permettono di correlare eventi come la migrazione, l'estinzione con i fattori ambientali che li hanno provocati. I più importanti tra questi sono le glaciazioni, i periodi glaciali alternati con i periodi miti: i periodi glaciali con il loro freddo e la loro aridità hanno creato frammentazione, isolamento e diminuzione delle popolazioni. Invece i periodi con clima mite hanno permesso alla terra di rinverdirsi, agli uomini di espandersi e di cominciare a migrare. L'ultima glaciazione, che non è stata tra le più lunghe, è durata 20.000 anni: dunque sono periodi che possono incidere fortemente sulla struttura delle popolazioni. Quando il clima migliora, l'ambiente rinverdisce e la popolazione aumenta ed emigra.

La prima presenza dell'uomo moderno fuori dall'Africa è documentata da fossili e da materiale archeologico che si trova in Israele, in alcune cave vicino al monte Qafzeh, che risale ad almeno 100.000 anni fa. La cosa curiosa è che non si trova più nulla per 50.000 anni, c'è un silenzio archeologico di 50.000 anni e solo dopo questo lungo periodo ricompaiono reperti fossili e archeologici, i quali dimostrano una tecnologia molto avanzata e quindi sono espressione di un'espansione più tardiva. Si ritiene che la prima uscita dell'uomo moderno o Homo sapiens sapiens dall'Africa settentrionale verso il levante, fu un'uscita senza successo a cui non è seguita un'ulteriore espansione. Probabilmente questo può essere dovuto o a irrigidimento del clima o a competizione con i locali, perché c'erano locali più arcaici ma anche notevolmente aggressivi.

La cosa curiosa è che 50.000 anni dopo, epoca per cui si ritrovano ancora dei reperti in Israele, l'uomo era già arrivato in Australia e Nuova Guinea. Quindi aveva fatto un lungo tragitto nel frattempo e non ci sono tracce che sia stato fatto via terra, anche perché il fossile più antico, che è un cranio trovato nella Cina nord-orientale, è datato 30.000 anni, quindi non si può pensare che in Australia e Nuova Guinea l'uomo sia arrivato dal continente asiatico. La presenza umana così antica in queste zone ha fatto ipotizzare che ci sia stata una seconda uscita dell'uomo moderno dall'Africa, che abbia preso la via del Corno d'Africa e, seguendo le coste, passando dall'India sia arrivato fino nella parte più orientale del continente asiatico.

Si trattava di una teoria basata su un'ipotesi: quella che la seconda uscita via mare, essendo più a sud, era avvantaggiata per motivi climatici. Ma non aveva prove. L'unico reperto fossile trovato nello Sri Lanka era di 35.000 anni fa. Quindi la situazione accertata era che l'uomo era uscito da nord ma non si era espanso, inoltre era presente in Medio Oriente 50.000 anni fa, ma nello stesso periodo era anche in Australia.

La genetica ha fortemente appoggiato la teoria dell'uscita dall'Africa, come già detto.

Per quanto ora vi siano moltissimi studi concordi sul DNA biparentale e uniparentale, i primi sono stati quelli sul DNA mitocondriale e le prime indicazioni su questa origine unica africana sono stati compiuti a Berkeley nel gruppo di Alan Wilson. Subito dopo però sono stati ampiamente confermati da tanti altri tipi di studi. Questo era legato al fatto che in Africa si riscontrava la gran parte delle linee del mitocondriale, e anche una gran varietà di differenze da un mitocondriale all'altro.

Una linea di mitocondriale significa una serie di tipi di mitocondriale che si legano tra loro per una o due differenze, con un passaggio graduale, i quali possono essere ricondotti a un DNA mitocondriale detto progenitore, che forma un gruppo. Una linea quindi significa molti tipi di DNA mitocondriale che si collegano fra loro: si passa da uno all'altro perché è intervenuta un'altra mutazione, quindi il secondo ha le stesse cose del primo più un cambiamento, che può essere indifferentemente un'acquisizione o una perdita.

A questo punto si era visto che in Africa c'era la maggior diversificazione e pertanto la teoria out of Africa è stata fortemente sostenuta dai genetisti.
Attualmente la variabilità del DNA mitocondriale è ben conosciuta e si è visto che c'è una tale correlazione geografica, per cui se si studia un DNA e se ne vedono delle caratteristiche, se ne può dedurre l'origine geografica o di popolazione, perché la corrispondenza è molto forte.

L'Africa ha il maggior numero di linee, tuttavia anche in Europa e in Eurasia se ne trovano moltissime. Ma è facile riscontrare che tutte le linee uscite dall'Africa possono essere ricondotte a un unico gruppo africano. In Africa ci sono diversi grandi gruppi, ma quelli che sono usciti dall'Africa fanno tutti parte di un unico grandissimo gruppo.

Ci sono sempre dei fatti tecnici alla base degli studi: si è studiato il DNA mitocondriale perché è molto piccolo, è il più piccolo e quindi si otteneva facilmente e si poteva facilmente analizzare. Gli studiosi hanno analizzato ciò che potevano avere più agevolmente a disposizione. Poi naturalmente appena migliorano le tecniche, si procede.

Ora è chiaro che le vie di uscita dall'Africa sono state due: quella dal Corno d'Africa lungo le coste verso l'Australia e quella dal nord Africa verso il levante.

Se osserviamo un albero del DNA mitocondriale universale, vediamo che si parte dall'Africano e ci sono 2 tipi: chiamati L1, L2 e L3. L1 è il più antico, è datato più di 130.000 anni, con un solo cambiamento si passa a L2 e ancora con un cambiamento a L3. Ce ne sono anche altri, ma questi sono i fondamentali. I DNA mitocondriali che si trovano nei caucasoidi (europei) e nei mongoloidi (orientali) derivano tutti da un sottogruppo di L3 chiamato L3A che va in Africa, Estremo Oriente, Eurasia.

Un gruppo importante, che ci ha interessato molto, è il gruppo M. Si tratta di un gruppo caratterizzato dalla presenza di due cambiamenti insieme che comprende moltissimi sottogruppi, i quali hanno tutti la caratteristica di questi due cambiamenti; è frequente in Asia, mentre nella zona europea è sporadico.

I primi studi vennero fatti su un numero notevole di individui e la grossa frequenza in Asia fece pensare che fosse un carattere tipico delle popolazioni orientali. Fu considerato un carattere molto antico perché fu trovato tra i Papua della Nuova Guinea e in Australia. Allora è stato datato: la datazione richiede un grosso studio molecolare, bisogna trovare tutte le differenze possibili e poi calcolare il tempo in cui sono successivamente insorte. La datazione, con tutte le incertezze delle datazioni su tempi così lontani, dava valori tra i 53.000 e i 75.000 anni, tempi molto antichi: tutto ciò l'ha fatto considerare come un marcatore molto antico.

Veniamo ora all'ultima parte della nostra storia……

Il mese prossimo sarà disponibile la dispensa Mito-archeologia d'Europa/Immagini del sacro femminile, da cui sono tratti i brani pubblicati in questa rubrica.

Tutti e tre i titoli della serie Immagini del sacro femminile (Mitologie del Divino, Storie di Creazione e Mito-archeologia d'Europa) possono essere richiesti alla segreteria dell'Università delle Donne di Milano e inviati per posta.


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