Elisa Ghiggini, Sante Dee Martiri tra paganesimo e cristianesimo

Beppe Pavan
cdb di Pinerolo



E’ un libro sorprendente, che mi ha fatto una gran bella compagnia durante il trekking estivo sulle Dolomiti.

L’autora ha compiuto un’operazione formidabile: di fronte al modello standard con cui l’agiografia tradizionale ha tramandato il ricordo delle “sante martiri” del cristianesimo dei primi secoli (“lo stesso tipo di conversione, gli stessi rifiuti di sacrificare agli déi pagani, le stesse difficoltà drammatiche, le stesse virtù, soprattutto la verginità, la stessa morte edificante, in un copione visto e rivisto, prevedibile e noioso”), ha sguinzagliato il suo sospetto su una realtà che certamente doveva essere “molto più complessa e articolata” (p. 3).

E si è messa ad indagare la biografia di Tecla, di Lucia, di Agata, di Marina e Margherita, di Cecilia e di Agnese, di Perpetua e Felicita, di Caterina e Ipazia. Di tutte ci è familiare l’aggettivo “santa”, tranne che per Ipazia, martire pagana per mano cristiana.

“E’ stato interessante scoprire ciò che le martiri avevano fatto della loro appartenenza al genere femminile, quanto aveva pesato la loro adesione alle concezioni culturali riferibili all’ideologia patriarcale fondata storicamente sulla differenza dei sessi, con quali modalità erano riuscite a imporsi come soggetti in grado di decidere di sé, con quanta incredibile forza si erano opposte a ciò che veniva loro insegnato e, soprattutto, quanta della loro determinazione segreta e della loro autorevolezza, malgrado la scelta di un nuovo credo cristiano, fosse dovuta a esemplarità assimilate attraverso la mitologia religiosa precedente... [cioè la] mitologia pagana, ricca di storie di déi e dee, eroi ed eroine” (p. 4).

E così anche “il fenomeno religioso della ‘santità’ fu il risultato di un processo dinamico (...) alimentato soprattutto dai fedeli delle martiri, la cui perpetua devozione lungo i secoli non può essere spiegata soltanto in base alle singole vite delle sante, talvolta storicamente del tutto inesistenti. Piuttosto, è spiegabile in base all’eredità cultuale che, proiettata sulle sante dai credenti delle antiche dee, poté così continuare tradizioni millenarie. Le martiri cristiane furono celebrate e identificate con gli attributi delle Grandi Dee della terra (Cerere/Demetra, Giunone, Venere, Bona Dea, ecc.), come dimostreremo; la loro santità dipese in gran parte dalla concezione della terra concreta e visibile che si fondeva con l’immagine arcaica della divinità materna, propria dei nostri antichi antenati.

Sulla terra soprattutto le dee assolvevano una molteplicità di funzioni protettive (abbondanza, fertilità, gioia, pace) e vivevano a stretto contatto con gli esseri umani (...) in località pagane successivamente cristianizzate (…) e anche le funzioni delle dee furono cristianizzate, poiché assolvevano a esigenze di protezione e sicurezza cui la gente non voleva rinunciare. Questa pratica di integrazione non fu soltanto un fenomeno prodotto da esigenze e consuetudini popolari, ma fu promosso anche da abili menti di intellettuali cristiani che seppero convertire da un punto di vista teologico e pastorale i bisogni collettivi di sicurezza e di protezione, incanalandoli in un rapporto di intimità con una compagna illustre, invisibile e potente: la santa martire” (p. 5).

In comunità stiamo studiando gli Atti degli Apostoli e credo che il primo capitolo di Elisa Ghiggini, dedicato a Tecla, “discepola di san Paolo”, ci aiuterà ad approfondire la conoscenza di uno spaccato importante delle primitive comunità cristiane.


Elisa Ghiggini, Sante Dee Martiri tra paganesimo e cristianesimo
Le Civette Saggi, Venexia, Roma 2014, pag 351, €22


5-12-2014


 

 

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