SAPERE DI SCIENZA E SAPERE DI SE'

di Maddalena Gasparini




E' un luogo comune cui spesso ci siamo adattate che lo studio scientifico, sia esso apprendimento o ricerca, necessiti della sola razionalità cosciente, spogliata da emozioni e sentimenti. Poiché, nella divisione delle competenze, la prima toccò agli uomini e gli altri alle donne, resiste il pregiudizio che le donne abbiano scarsa attitudine alla conoscenza scientifica al punto di rimuoverle dalla storia della scienza e negare riconoscimento al loro contributo .
L'emancipazione di massa delle donne del secolo scorso, la pratica femminista degli anni '70, un'epistemologia che teneva in conto l'esistenza di due sessi, ha aperto qualche porta alle donne che volevano fare scienza e ne ha favorito la presenza soprattutto laddove sembrò necessario il recupero delle storiche, assai più che naturali, attitudini femminili come "lo spirito di servizio e di collaborazione, la disponibilità a formare altri, a spaziare tra più discipline" nella ricerca o l'accoglienza nella pratica medica. La polarità che voleva le donne confuse con la natura e gli uomini addetti alla conoscenza e al controllo di entrambe ne fu scossa, malgrado l'insistenza sulle "naturali" doti femminili.
Lo straordinario sviluppo scientifico degli ultimi decenni e la consolidata presenza femminile non impediscono tuttavia di vedere la vecchia impronta sulle nuove figure. "La tecnoscienza eccede in modo singolare la distinzione tra scienza e tecnologia, come quella tra natura e società, soggetti e oggetti, naturale e artificiale, tutte opposizioni che strutturano quel tempo immaginario detto modernità" scrive Donna Haraway per definire l'ormai inestricabile intreccio -quasi un corto circuito- fra la conoscenza scientifica e l'applicazione tecnologia. La tecnoscienza sembra eccedere anche la differenza sessuale. Dolly è stata clonata nel 1996 a partire da un organismo adulto, frutto di un concepimento asessuato perché non c'è stato rapporto sessuale e nemmeno l'incontro dell'ovocita con lo spermatozoo: il nucleo, cioè il patrimonio genetico di una cellula adulta è stato trasferito in un ovocita enucleato. Tappa di un processo che piega gli animali fin dalle origini alle esigenze della medicina, della produzione alimentare e del business, la pecora Dolly permise a improbabili fantasie di prendere la parola pubblicamente e chiedere "fatti". La domanda di "clonazione riproduttiva", creazione asessuata di una copia di sé medesimi o di una persona amata e persa, tiene insieme un rifiuto radicale dell'alterità, a partire da quella sessuale, e una straordinaria ignoranza degli eventi naturali e delle condizioni sperimentali che l'hanno resa possibile nel mondo animale. Non a caso ha avuto meno impatto mediatico e fantastico la morte prematura della pecora che forse -è stato detto- era nata vecchia: la metafora rischiava di compromettere l'immagine di assoggettamento del vivente e controllo della sua variabilità che la clonazione trasmette.

In questo congiungimento della (tecno)scienza con la vita, cui non ci si può sottrarre, stanno l'origine della passione per la conoscenza scientifica che mi accompagna nello studio come nella restituzione implicita nel mio lavoro di medica, e l'inquietudine di fronte allo scardinamento simbolico che le tecnologie producono operando sugli accadimenti "naturali". Non vengono solo messe le mani sugli instabili equilibri naturali prodotti da un'evoluzione molto più antica dell'umanità, ma viene sovvertita la complessa costruzione culturale che su di essa è stata costruita, senza intaccarne lo schema di dominio; di qui la necessità del sapere scientifico anche per guardare e vivere la storia dell'umanità. La tecnoscienza rianima interrogativi che erano stati lasciati cadere. Le tecniche di procreazione assistita ha indotto molte donne, e me fra queste, a riprendere la riflessione sul corpo femminile, la cui subordinazione alla medicina era stata incrinata delle pratiche femministe degli anni '70. A lungo sperimentate fuori da ogni regola e col consenso di molte donne, esse segnano in modo irrevocabile le relazioni parentali, la ricerca delle origini e la costruzione di sé a prescindere dalla loro pur scarsa diffusione e malgrado una difesa d'ufficio le promuova a strumento di compiutezza della famiglia tradizionale. Nel gennaio 2000 l'ordinanza della giudice Chiara Schettini autorizzava la maternità surrogata di un'amica della coppia i cui embrioni erano prossimi alla "scadenza"; nella motivazione della sentenza si precisa che "lo status genitoriale può trovare completezza … nella trasmissione del proprio patrimonio genetico". Impedita in concreto dalle polemiche che seguirono, il trasferimento embrionale e la gravidanza furono portate a termine negli Stati Uniti con regolare retribuzione della madre gestazionale. Per strade inattese e da punti di vista contrapposti, difensori e critici della procreazione assistita rilanciano la mistica della famiglia e dei legami "di sangue", rimettendo a una molecola inerte (il DNA) le basi dell'esistenza.

In una vignetta apparsa qualche anno fa, un bambino seduto sul lettone dice a un altro: "Sono io il vero bambino, tu eri solo un embrione congelato". Come spiegheremo a un bambino i diversi luoghi e modi dell'origine? Così da lasciare nel mistero, lontano dalle luci dei laboratori, lo spazio che spetterà a lui riempire. Si sa che le domande, non solo dei bambini, cominciano con un "perché" e la scienza risponde con un "come", ma lo spostamento non impedisce che l'urgenza del primo quesito contamini il tentativo di articolare il secondo, soprattutto laddove le risposte ai grandi interrogativi una volta fornite dalle religioni e talora dal puro esercizio del pensiero, si sono rivelate deludenti o insufficienti. Guardare alle origini della passione conoscitiva, interrogare il nesso fra razionalità e soggettività negli sviluppi della tecnoscienza e del ricorso ad essa può evitare che leggi e regolamenti operino come altrettante censure alla comprensione ed elaborazione dei mutamenti in corso, minando alla base la libertà di decidere di sè.
Ogni pochi giorni i quotidiani ci dicono di clamorose "invenzioni", dalla creazione di embrioni di uomo-coniglio all'invasione delle nano-molecole; gli scienziati si affrettano a spogliare le notizie del carico di immaginario riconducendo il primo a un esperimento di trasferimento di materiale genetico umano nell'ovocita di una coniglia, e il secondo alla capacità delle nano-molecole di moltiplicarsi esponenzialmente (di "riprodursi" vien da dire), gli umanisti recuperano antichi miti per gli oscuri desideri cui le moderne invenzioni permettono di prendere letteralmente corpo. Ma dietro i titoli immaginifici dei mass-media e la rassicurazione dei tecnici, è difficile non vedere come il modello predatorio che ha caratterizzato il rapporto uomo-natura sia arrivato al cuore della materia, vivente e non: cellule, geni, molecole . Non solo il pianeta e le sue risorse ma le nostre vite ne sono toccate dal concepimento al nascere al morire, come nella vita quotidiana: come sottrarsi al segno distruttivo smascherando le complicità con i modelli tradizionali del maschile e del femminile, come ribellarsi al rischio di nuove e opprimenti forme di controllo e sfruttamento dei corpi, degli uomini come delle donne , come garantire all'umanità futura la convivenza delle differenze su un pianeta accogliente? Senza rinunciare alla qualità di vita che la tecnoscienza può offrire.

Il corpo "storico" su cui ha "lavorato" con atti e pensieri la pratica femminista degli anni '70 ha lasciato il campo a un corpo oggettivamente diverso - la giovinezza e la vita durano più a lungo, più funzioni del corpo sono controllabili e possono essere sostituite da apparecchiature tecnologiche; un corpo così diverso da rischiare l'estraneità: "l'intruso è in me e io divento estraneo a me stesso" scrive Jean-Luc Nancy , a 10 anni da un trapianto di cuore e più avanti: "l'intruso non è nessun altro se non me stesso e l'uomo stesso". La medicina e la biologia sono diventate il luogo dove, spesso inconsapevolmente, si articola una domanda su di sé e sui fondamenti della propria identità, sulla natura di un disagio che include il corpo ma sempre meno si configura come malattia. Richieste impensate e fantastiche possono trovare risposte letterali: si può controllare la paternità biologica con una goccia di saliva e chiedere all'analisi del nostro DNA cosa ci riserva il futuro, illudersi di programmare il segno zodiacale di un figlio e di congelare la bellezza della gioventù, chiedere di vivere sempre più a lungo dimentichi che la terra è già sovrappopolata (dagli altri?).

L'analisi, incompiuta, del movimento delle donne sulle "passioni del corpo" e il desiderio di conoscenza che animò le pratiche del self help e dei consultori autogestiti misero in comunicazione l'apprendimento della materia scientifica con la vita. Quando le tecnologie riproduttive sono diventate pratica diffusa (a cavallo fra gli '80 e i '90 del secolo scorso) e l'inquietudine che ne veniva chiedeva un supplemento di analisi, ho pensato che la cosa migliore era ripartire da quella pratica di confronto fra donne che aveva saputo dire e produrre cambiamenti intorno ai temi della sessualità, dell'aborto, dei rapporti (privati) fra gli uomini e le donne.
Nel 1997, con Anna Rollier, genetista e docente di bioetica, abbiamo coordinato una serie di incontri presso la Libera Università delle Donne di Milano con donne che su questo tema avevano costruito conoscenza ed esperienza professionale; abbiamo provato -noi e le donne intervenute- a interrogare i saperi che ruotano intorno alla procreazione assistita (genetica, medicina, psicanalisi, diritto…) senza dimenticare che essi fondano la loro esistenza e legittimazione sul corpo nella sua interezza con la persona, su quella soggettività che fatica a trovare lo spazio per esprimersi dentro i confini degli specialismi ma che facilmente sommerge, una volta messa in campo, i richiami alla biologia della corporeità. A quell'esperienza seguirono un convegno alla Casa della Cultura di Milano e diversi corsi di aggiornamento e formazione in tema di infertilità destinati a chi lavora nei Consultori Famigliari di Milano. Alcune classi del Liceo Classico Beccaria di Milano parteciparono al Convegno all'interno di un percorso guidato dall'insegnante di filosofia, che si estese per tutto l'anno scolastico e di cui testimoniano scritti individuali e collettivi degli studenti e delle studentesse: ascoltando dei "bambini a venire" hanno guardato a sé, ripensato alle radici biologiche dell'esistenza e alla opportunità di intervenire su di esse, alle regole che su di esse si sono costruite e alla possibilità che mutino radicalmente. Ormai all'Università, in un contributo sulla passata esperienza formativa scrivono: "nei media viene contrapposto il naturale a ciò che è manipolato dalle biotecnologie. Si schiera la scienza contro la natura, come se si potesse parlare di una natura sempre identica a se stessa, incontaminata ... Spesso in questa confusione i mass media hanno buon gioco a collocare da una parte gli scienziati e dall'altra la chiesa … sembra che la riflessione etica sia solo appannaggio della chiesa cattolica la quale difende "la naturalità" ovvero l'immodificabilità della natura"

E' dalla filosofia che nasce, pochi decenni fa, la bioetica, luogo "terzo" nelle contese di legittimità degli interventi sul vivente, dalla creazione e diffusione degli organismi geneticamente modificati all'uso degli embrioni che solo da pochi decenni possono essere "creati" fuori dal corpo femminile e crioconservati (sono circa 30.000 solo in Italia). La bioetica modella strutture interdisciplinari consultive (come i Gruppi e Comitati dei Parlamenti nazionali e sovranazionali) e decisionali (i comitati etici degli Ospedali e degli Istituti di ricerca pubblici e privati). La conoscenza scientifica è spesso usata a sostegno di tesi contrapposte; la morale cattolica passa per l'unica istanza limitante un progresso tecnologico inarrestabile; l'esistenza e le differenze fra i sessi sono semplicemente ignorate. Esemplificativo è il caso dello "statuto" dell'embrione: persona, come vuole la morale cattolica o mucchietto di cellule, come vuole una scienza asettica? Una domanda improponibile se si prende coscienza della posizione da cui si guarda a esso: passato prossimo nello svolgersi della vita per chi è molto giovane e ancora incerto dell'accoglienza nel mondo (su questo fa leva chi nelle scuole lavora perchè venga proibita l'interruzione volontaria di gravidanza), ingombro per la giovane donna involontariamente incinta che vuole decidere del suo corpo e della sua vita, esito sospeso della fecondazione in vitro che si presta a reiterare la pretesa maschile di controllare il corpo femminile (tanto più che la funzione maschile appare ridotta a quella dello spermatozoo!), fonte delle cellule staminali embrionali per chi fa ricerca in biologia cellulare, promessa ai malati di riparazione di un organo altrimenti inguaribile. La domanda su cosa sia un embrione, come molte altre "entità" generate dalla tecnoscienza e sconosciute alla nostra storia, richiede che saperi diversi trovino nella persona terreno di confronto e definizione dei limiti.

Gli sviluppi della tecnoscienza obbligano l'ineludibile "partire da sé" della pratica femminista a trovar posto nella rete dei legami sociali perché si possa giudicare dei diritti, o se si preferisce del "bene" individuale e collettivo.

L'articolo è stato pubblicato sulla rivista Pedagogika nel Novembre 2003