Famiglia, gli affetti pericolosi

di Chiara Saraceno

 



I delitti e le violenze famigliari che ci hanno accompagnato lungo tutto l’anno, ricordandoci che la famiglia può essere a seconda dei casi il luogo più sicuro e più insicuro in cui stare, non cessano solo perché si avvicina il Natale, che nella retorica pubblica, ma anche privata, è la festa famigliare per eccellenza.
Sembra anzi che costituiscano un inesorabile e drammatico contrappunto a quella retorica e soprattutto alla grande enfasi sulla insostituibilità della famiglia (naturalmente solo quella eterosessuale e fondata sul matrimonio) come fondamento della stabilità sociale e dei valori.

La violenza, così come l’indifferenza e l’ostilità, nei rapporti famigliari non sono fenomeni recenti. Per certi versi erano addirittura iscritti come norma nei rapporti famigliari - tra i sessi, tra le generazioni - del passato e in alcune culture ancora oggi.
Essi ci appaiono meno accettabili oggi, nella nostra società, ove ci aspettiamo che i rapporti famigliari siano basati sulla scelta e sull’affetto: ci si sposa, si sta insieme, per amore, e se l’amore cessa ci si può lasciare. Si fa un figlio perché lo si desidera.

La manifestazione di violenza o sopraffazione nella famiglia ci sembra vuoi un retaggio di modelli del passato (o di altre culture), vuoi una manifestazione di follia. E con ciò ci rassicuriamo: a noi non può succedere.
Tuttavia anche nella famiglia affettiva e basata sulla scelta i rapporti non sono sempre simmetrici; non tutti possono scegliersi (i figli, ad esempio, non possono scegliersi i genitori, così come non si scelgono i cognati e i suoceri); e non sempre si può, o si è capaci, di andarsene.
Si parla tanto, infatti, anche giustamente, della necessità di imparare a stare assieme, di lavorare sui rapporti, perché fare famiglia è un lavoro paziente, quotidiano.
Ma si parla meno della necessità di imparare anche a prendere le distanze e persino, se necessario, ad andare via, o a lasciare andare via: nella coppia, ma anche nei rapporti tra genitori e figli.
Soprattutto, il fatto che l’affettività sia diventata la cifra delle relazioni famigliari le rende molto più importanti di un tempo per la costruzione del senso di sé, dell’identità, ma anche, proprio per questo, così vulnerabili.
E più ancora rende ciascuno di noi vulnerabile entro e da parte della famiglia. Niente di drammatico, nella misura in cui questa vulnerabilità è il necessario scotto di ogni relazione significativa.
Ma può diventare drammatico quando tutta l’identità, il senso di sé, il proprio stare nel mondo sono affidati a quella relazione. La famiglia esclusiva può diventare un luogo non solo soffocante, ma anche pericoloso.

Le relazioni famigliari, quindi, lungi dall’essere date per scontate, vanno trattate con cautela e delicatezza, possibilmente anche con un po’ di (auto)ironia. Soprattutto di quest’ultima, insieme a molta pazienza e nervi saldi, c’è bisogno in questi giorni.
Proprio per la sua carica simbolica, per le attese che suscita, per la full immersion sulla scena famigliare che provoca, il clima natalizio può infatti funzionare da detonatore per conflitti e tensioni che solitamente vengono tenuti a bada con la lontananza o gli impegni quotidiani.
Può succedere, quasi ce lo si aspetta e lo si mette nel conto come un prezzo più o meno lieve da pagare per il piacere di stare assieme, anche nelle famiglie più affettuose e solidali.
Ma in alcuni casi la messa in scena del rito famigliare è una forzatura da cui si vorrebbe fuggire a tutti i costi, perché troppo grande è lo scarto con l’esperienza dell’indifferenza, o ostilità, o anche peggio, che si sperimenta in quelle relazioni. E in altri casi apre a dilemmi dolorosi.
Per molti figli di genitori separati il Natale può presentarsi come un incubo, se i genitori e i nonni non sono stati capaci di trovare alternative vivibili, in cui non ci siano vincitori e sconfitti e in cui i figli non debbano sentirsi in qualche modo sleali verso uno dei due genitori e una delle due parentele.
Anche per molte coppie «clandestine» il Natale è l’occasione in cui viene rimarcata la loro non esistenza sociale e famigliare.
Perché la «messa in scena della famiglia» che avviene in questi giorni è anche l’occasione per ribadire gerarchie di rilevanza tra parenti e tradizioni (dove si fa il pranzo di Natale e secondo quale tradizione), definire appartenenze, ma anche esclusioni.
C’è chi, per non perdere nulla e non offender nessuno, si imbarca in una lunga serie di pranzi-cene; chi non ha dove andare e si sente escluso; chi fugge. C’è chi appartiene con agio, chi appartiene troppo e chi nulla.

 

Questo articolo è apparso su il manifesto del 24 dicembre 2007