Ti amo ti picchio

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i Assunta Sarlo

 

L'ultima che ha bussato al centro antiviolenza di Trieste ha portato con sé una storia lontana dagli orrori delle cronache di donne ammazzate in tribunale o buttate nei sacchi della spazzatura: è "semplicemente" la storia di uno che ti picchia e poi dice che ti ama e che non lo farà mai più. In questa vicenda, è stato un carabiniere a fare la differenza. È arrivato in quella casa per la seconda volta e le ha detto: "Guarda che ti ho vista per mano con lui dopo che t'aveva menata. La prossima volta non vengo mica". Lei si è svegliata.

Ha detto basta a un ciclo di violenza che la psichiatra francese Marie-France Hirigoyen in Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia (Einaudi) disegna in quattro momenti che si ripetono. Lui è teso, irritabile - "problemi quotidiani", dice - e lei diventa la responsabile di tutti i guai. Quella successiva è la fase di attacco, in cui insulti e minacce fanno da prologo alla violenza. La donna tace, ha paura di farlo arrabbiare di più, si ripete che passerà. Poi arriva il pentimento: "Ero sotto stress, avevo bevuto, mi hai provocato".
La relazione si ricuce, lei spesso non aspetta altro. E vive la riconciliazione come la conferma di ciò che spera, che amore e pazienza le restituiscano l'uomo che aveva conosciuto. È il momento in cui, di solito, le donne ritirano le querele, in cui lo spazio privato riassorbe e ammortizza la violenza: così il circuito può ricominciare, e da lì prima o poi si finisce nelle statistiche. Donne ammazzate (57 nei primi sei mesi di quest'anno), stuprate o maltrattate nelle mille declinazioni che il termine può assumere: lividi, persecuzioni, molestie, offese. Fino a distruggerti.

L'Istat, nell'indagine nazionale dello scorso febbraio, calcola che 6.743.000 donne italiane tra i 16 e i 60 anni sono state oggetto di violenza fisica o sessuale nella loro vita, mentre oltre 7 milioni hanno subito una violenza psicologica e che, nella maggior parte dei casi, la violenza arriva dal partner o dall'ex. Come il 69,7% degli stupri. E, a smentire chi vuole giocare la questione esclusivamente in chiave di sicurezza urbana, ecco l'affermazione dell'Istat: "Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più elevato quanto è più stretta la relazione tra autore e vittima".
Più in generale, in Europa la prima causa di morte delle donne tra i 15 e i 60 anni è la violenza per mano maschile. E l'Onu ci dice di una donna su tre al mondo che è vittima di soprusi, violenze, stupro. Sul tutto, uno spaventoso silenzio: in Italia il 95% delle violenze non viene denunciato, solo il 18,2% delle donne è consapevole che siano reato, il 44% le giudica "qualcosa di sbagliato", il 36% "qualcosa che è accaduto". Raccomandavano in un tempo non lontano le mamme, e i preti nei confessionali: "Porta pazienza figlia mia...". Ora, davanti a dati in costante aumento, c'è un appuntamento in piazza a Roma, il 24 novembre, vigilia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne (www.controviolenzadonne.org).

Dice la legge spagnola, la più avanzata d'Europa e la prima del governo Zapatero, varata il 28 dicembre 2004: "La violenza di genere non è un problema della sfera privata. Al contrario, è il simbolo più brutale dell'ineguaglianza che esiste nella società. È una violenza che viene esercitata sulle donne solo perché sono donne, perché sono considerate dai loro aggressori prive dei diritti elementari di libertà, rispetto e capacità di decidere".
Il soggetto minore porta con sé un corpo violabile, dicono i movimenti delle donne: è l'essere storicamente ineguale a farti debole e facile bersaglio, in casa e in strada. Se non si parte da qui, poco si capisce. E meno si può fare. Soprattutto quando medici, polizia, donne dei centri, cronisti, riferiscono, oltre che di violenze in aumento, di modalità sempre più crudeli. Dici no a una richiesta sessuale e lui ti ammazza con un pugno, chiedi all'amico sbagliato che ti accompagni a un controllo di gravidanza e diventi l'ultima vittima di stupro. Sono state in cinque a subire violenze fisiche o sessuali nella zona di Milano giovedì 11 settembre, crudelissimo giorno qualunque: una l'hanno trovata in strada con la faccia devastata che indicava piangendo la finestra di casa.

Sono le donne più forti e autonome - e lo sono - a fare gli uomini più aggressivi, uomini che perdono dominio e fanno la guerra? È la relazione tra gli esseri umani a mostrarsi ammalata, imbastardita, privata di idee condivise sullo stare al mondo? E come e quanto può una legge intervenire in questa trama, sciogliere i nodi stretti dalla cultura e dalla storia che spesso avvinghiano le donne e autorizzano gli uomini a dominare con le buone o le cattive? La nuova legge sulla violenza sessuale voluta dalla ministra delle Pari opportunità Barbara Pollastrini, che dalla finanziaria ha ricavato lo stanziamento per l'osservatorio sul tema, è all'esame della commissione Giustizia.
Dopo mesi, un passo l'ha fatto: il nuovo reato di stalking, quello di chi ti perseguita e minaccia, avrà una corsia più veloce, assieme all'estensione della legge Mancino, che già sanziona anche gli atti discriminatori in base all'orientamento sessuale. Sul resto - aspetti penali, di tutela, di prevenzione - la discussione si annuncia più lunga, conflittuale, dentro e fuori dal Parlamento, soprattutto su alcuni punti che riguardano la riconciliazione familiare.
Tre anni conta invece l'esperienza spagnola: è utile guardare cosa è accaduto lì. Concha Gisbert lo fa dall'osservatorio privilegiato della segreteria delle Politiche di eguaglianza, voluta da Zapatero per monitorare le leggi contro la violenza di genere e sull'eguaglianza. Leggi che, assieme ad altre, stanno cambiando faccia alla Spagna cattolica e machista uscita dal franchismo.

Ci vorrà molto più tempo per cambiare le teste, premette Gisbert, ma aggiunge: "La Spagna oggi è un Paese più civile, perché ha rotto il silenzio pubblico e ha assunto il punto di vista femminista sull'origine della violenza. Questa questione è diventata un aspetto della nostra democrazia. Ne parlano il premier, la vicepremier: l'assunzione politica di un tema che era dei movimenti delle donne è stata decisiva". Per questo sono stati creati tribunali ad hoc e strumenti penali come l'aggravante se l'aggressore è legato alla vittima da un rapporto affettivo e l'allontanamento immediato da casa.
Tutto ciò ha riscontro nell'aumento costante delle denunce, ma suscita polemiche. "Parte della magistratura", spega Gisbert, "ha contestato davanti alla Corte costituzionale alcuni aspetti del trattamento differenziato previsto per la violenza di genere. È vero che la vita dei magistrati si complica e la vita privata si va giudizializzando. Però...". Il però sta in un concetto: la legge spagnola si prefigge una protezione integrale e investe i poteri pubblici di compiti di monitoraggio, sostegno alla vittima e prevenzione: perché la violenza, in maniera altrettanto integrale, rovina la vita - familiare, di relazione e lavorativa - delle donne.

"Il 60% delle donne uccise in Spagna", prosegue Gisbert, "non aveva mai denunciato le violenze: nessuno ha potuto aiutarle. La legge si occupa della formazione di poliziotti, insegnanti, strutture sanitarie, oltre che di media e pubblicità, ovvero di modelli e stereotipi sui ruoli. Ora stiamo lavorando a un passaggio decisivo: coinvolgere i medici di famiglia. Sarà importante anche per le immigrate, la cui difficoltà a uscire dal silenzio è uno dei nostri problemi più gravi.
Ci sono contraddizioni. Le associazioni di donne ci dicono che le vittime non ce la fanno a denunciare subito il marito, il partner. Ma se la denuncia non c'è, non possono scattare le misure di sostegno".
Ogni tre mesi il parlamento spagnolo valuta i risultati della legge, alla quale hanno fatto seguito, in un complessivo sforzo di uscita da una società patriarcale, il codice di parità e la legge sull'equa rappresentanza in politica. C'è un osservatorio nazionale e due europarlamentari socialisti hanno di recente chiesto che il concetto della legge spagnola sulla violenza di genere diventi comune a tutta l'Unione.

Imma Tromba e Beatrice Biggio lavorano al centro antiviolenza di Trieste. "Dal pronto soccorso alla magistratura", dicono, "vediamo tutti i giorni l'incapacità e la resistenza culturale a leggere il maltrattamento come un "quadro" e non come un qualunque conflitto tra adulti di pari potere. C'è un aspetto simbolico e concretissimo nello spezzare il silenzio e mettere a disposizione leggi, luoghi, risorse per la vita delle donne: la violenza viene alla luce. In quasi un decennio, i casi del nostro centro sono passati da 20 a 200 l'anno".

 

Articolo apparso su D di Repubblica

29/11/2007

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