Satin Rouge
di Virginia Cranchi



Una giovane vedova entra una notte in un locale in cui si pratica la danza del ventre pensando di trovarvi la figlia adolescente, ma resta catturata dal fruscio delle vesti variopinte e dalle movenze sensuali delle danzatrici e inizia così una riscoperta del proprio corpo e della propria sessualità.

Satin Rouge, film vincitore dell’ultimo Torino film festival, è un melodramma godibile e suggestivo diretto da Raja Amari, giovane tunisina ex critica cinematografica.

Il racconto dei problemi familiari della giovane vedova Lilia e la scoperta della danza del ventre che accende di nuovo la sua vita, seguono due registri contrapposti: se la quotidianità assume toni grigiastri, la notte riluce dei mille lustrini delle danzatrici e l’immagine si fa splendente. Attraverso la riscoperta del corpo passa l'emancipazione dalla grigia quotidianità e dalla vedovanza della protagonista.

Il melodramma, che vede la lotta ancestrale fra madre e figlia per il possesso del medesimo uomo (un percussionista che lavora nel locale), manca però di tensione e di pathos, elementi diluiti e smorzati dall’opulenza e dal barocchismo delle scene di danza.

In questo film fascinoso e sensuale i personaggi femminili, sono mostrati spesso nell’atto di osservare fuori dalla finestra; le inquadrature non ci restituiscono le loro soggettive sull’esterno, ma ci mostrano l’immagine di una donna incorniciata e racchiusa. Frequenti sono anche le immagini della protagonista allo specchio, che non a caso aprono e chiudono il film, sebbene il gran finale sia dedicato nuovamente alla danza. Il colorismo delle immagini che riguardano il nightclub si scontra con il grigiore della quotidianità casalinga di Lilia, e con la monocromia delle scolorite e melense telenovele che segue alla televisione.

La matrice stilistica del film, come la giovane regista tunisina ha affermato, è da ricercarsi nei musical egiziani anni '40 - '60, tra l’altro presenti l’anno scorso al festival nell’ampia retrospettiva dedicata al cinema egiziano.

Satin Rouge si presenta come un film tutto al femminile che lascia poco spazio ai caratteri maschili, relegati al ruolo di osservatori, come i laidi frequentatori di locali notturni, o i vicini di casa e i parenti bacchettoni pronti a leggere ogni segno del viso (la vituperate occhiaie di Lilia) come sintomo lampante di lussuria. Il giovane musicista che madre e figlia si contendono, altro personaggio maschile sostanzialmente muto, diviene nel finale preda di entrambe, come la provocante danza di Lilia a lui rivolta lascia intendere.

Il film vuole mostrare l’emancipazione della donna tunisina attraverso la liberazione del proprio corpo dalle repressioni sessuali, ma si rivela moralista e sessista proprio in quanto concede alla donna l’unica arma che ha sempre avuto: quella della seduzione