Corriere della sera 6 febbraio 2005

Aborto e fecondazione, il coraggio di un passo indietro
Lucetta Scaraffia



Maddalena Sisto "Mad"

 

Silvia Vegetti Finzi ha opportunamente ricordato su queste pagine come il movimento femminista, sin dagli anni Ottanta del Novecento, abbia compiuto «un lungo lavoro di riflessione e di discussione» sulla necessità dei limiti da porre al desiderio personale e lamenta che pochi se ne siano accorti. Dimentica però che questi dibattiti non solo hanno coinvolto un numero esiguo di persone, ma che queste stesse persone, quando poi ci si trovava a discutere di questi temi in pubblico, non si distaccavano per nulla dalla posizione del politicamente corretto femminista che portava a protestare contro l' offesa della libertà delle donne tutte le volte che sul piano legislativo si è tentato di regolamentare in modo più rigido il diritto di aborto o l' uso degli embrioni o la fecondazione assistita. Questa è una prova delle difficoltà che incontra in Italia il discorso pubblico sui temi dell' aborto e dello statuto dell' embrione, fitto di non detti e contraddizioni che rendono spesso le discussioni sterili e ripetitive. Ci sono altri esempi: il richiamo che viene dalla Vegetti Finzi e da altre voci femministe sulla parte positiva che avrebbero sempre le donne nei confronti di queste scelte riprende in realtà uno degli argomenti usati più spesso contro i fautori della legge sulla fecondazione assistita e, cioè, che insistere su una regolamentazione severa sarebbe segno mancante di fiducia nella natura umana. Pochissime, cioè, sarebbero in realtà le donne disposte a partorire bambini a sessant' anni o a selezionare gli embrioni eugeneticamente, così come gli scienziati sarebbero anch' essi ispirati a una superiore visione etica, quindi immuni da qualunque tentazione demiurgica o da ambizioni personali. I fautori dell' attuale legge vengono così naturalmente collocati nella parte odiosa di chi è diffidente, pessimista, oltre che verso le conquiste della scienza, anche verso la supposta naturale bontà del genere umano. Ma un secondo e più grave ambiguo non detto grava sul discorso pubblico: quello dell' esperienza personale. È questo un ambito delicatissimo che comprensibilmente non deve entrare nel dibattito pubblico, ma bisogna pur tenere presente che chi, nella propria vita o in quella di persone vicine, abbia provato la dolorosa e drammatica esperienza di un aborto - terapeutico o no - senza dubbio è influenzato da questa nella discussione sullo statuto dell' embrione. Se infatti l' embrione viene difeso come persona, o meglio come progetto di essere umano ormai avviato e quindi destinato al completamento, l' inevitabile conseguenza è una rimessa in discussione anche della legge 194. E, a questo proposito, si arriva a toccare un ricordo drammatico nella vita di molti di noi: si comprende bene, quindi, il bisogno di non rimettere tutto in discussione, di non abbandonare una sorta di alibi e come questo bisogno possa inevitabilmente distorcere poi il giudizio pubblico. Si tratta di un discorso molto difficile da fare, naturalmente, perché tocca corde scoperte e dolorose nelle coscienze di noi tutti, cattolici e laici, ma in questo c' è forse una differenza fra cattolici e laici: e non già perché i cattolici non abbiano mai abortito o partecipato a pratiche abortive, ma perché culturalmente essi non hanno potuto negare a se stessi la gravità della decisione presa, che ha quindi continuato a pesare nella loro coscienza. Per chi non è credente, anche se ha provato senza dubbio lo stesso dolore e disperazione, c' è stata però la possibilità di considerare lecito questo atto, data dalla legge e dall' opinione pubblica: tornare dietro e ripensarci, riaprire un capitolo, in qualche modo chiuso, può essere molto più difficile. Non a caso nei dibattiti pubblici ha il coraggio di parlare della propria esperienza personale in genere solo chi ha fatto una scelta controcorrente, tenendo un bambino minorato o accettando una gravidanza indesiderata. Si tratta infatti di vicende in qualche modo eroiche e vittoriose che si possono raccontare con gioia, pur comportando fatica e dolore. Questa difficoltà a tornare indietro, a ripensare all' idea di embrione che ci siamo fatti, si riaffaccia anche quando ci arrivano dalla ricerca scientifica informazioni sempre più dettagliate sulla complessità biologica dell' embrione e del feto, che ci dovrebbero suggerire una doverosa prudenza per quanto riguarda la tutela dell' embrione. Un esempio clamoroso: non si ha il coraggio di un ripensamento neppure per la legge che regola l' aborto terapeutico, anche se, con le attuali tecnologie, un feto di ventitré settimane è un neonato che può sopravvivere. Almeno si dovrebbe cambiare il nome all' intervento e non chiamarlo più aborto, ma parto prematuro. Il progresso scientifico non ci porta, infatti, solo nuove possibilità di manipolazione delle origini dell' uomo, ma anche nuove prove sull' esistenza fin dall' origine di un essere vitale, prove su cui bisogna riflettere senza paura.