Donne in scena

di Lea Melandri

Nessuno avrebbe immaginato, alcuni anni fa, che allo "sprofondamento silenzioso" del femminismo sarebbero subentrate sulla scena del mondo proprio quelle figure di donna che esso aveva messo in discussione da più di un trentennio. La ninfetta, la madre mortifera, l'eroina, la salvatrice, ombre domestiche inseguite e temute dall'immaginario maschile, sono balzate inaspettatamente dagli interni delle case al cuore della politica mondiale.



Le "donne nere" di Beslan, "lupe feroci, carnefici di bambini", e le facce luminose, "caritatevoli" delle due Simona, nonostante la diversità sono sembrate l'incarnazione di quel sottosuolo "inquietante", scoperto da Freud, che sta dietro "ciò che in apparenza ci è più famigliare e consueto". "Belle facce qualunque, amiche, sorelle e figlie", come ha scritto qualcuno, sia le due giovani volontarie impegnate in Iraq, sia Cinzia Banelli, la brigatista del delitto D'Antona, appaiono tuttavia animate da un'oscura passionalità che le fa diverse e sconosciute. Pur trattandosi di fantasmi che hanno preso corpo e parola sotto i riflettori del media, a decifrare l'"enigma femminile" sono stati quasi esclusivamente gli uomini.

Una "maschilità" travolta da sogni di potere, fanatismi guerrieri, rituali barbarici, anziché interrogare se stessa si è prodigata in analisi suggestive, concedendo a un soggetto sociale negato un posto di primo piano nelle sorti del mondo. Più necessarie del petrolio, le donne sarebbero, a detta di alcuni, la vera "risorsa" che sta la centro dello "scontro" tra Occidente e Islam. Dopo averle a lungo tenute sotto una "tutela mortificante", anche la civiltà che ne ha permesso la liberazione, viene chiamata a fare propri i valori disconosciuti di cui le loro vite sono testimonianza. Ma è abbastanza sorprendente la trasformazione che subisce l'idea di "risorsa" quando è il mito a prevalere sul destino storico del femminile: "protagoniste dell'eccesso", le donne si mostrerebbero oggi, nel bene e nel male, portatrici di quella "ricerca di assoluto", di quelle "pulsioni forti", che possono tirarci fuori dalla "banalità della vita quotidiana" (La repubblica,9.9.04).

Consapevole di aver ricalcato il più antico stereotipo del femminile, qualche commentatore ha aggiunto, parlando delle due Simona, che "il loro coraggio era confortato dalla ragione". Cuore, dunque, ma anche intelligenza. Una visione più realistica, anche se calata dalla prospettiva astorica della Parola di Dio, è comparsa nella Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica del cardinal Ratzinger, là dove, parlando della necessaria alleanza tra i sessi, si sottolinea con preoccupazione il fatto che le donne, legittimate dal femminismo a "vivere per sé", siano spinte oggi ad abbandonare quel ruolo materno, biologico o spirituale, che le ha volute da sempre donatrici di vita per la crescita e la protezione dell'altro. Sovraesposte, al centro del palcoscenico riservato finora all'uomo, le donne continuano tuttavia a parlare per bocca o con parole altrui.


(Carnet - novembre 2004)