Scialla!


Concita De Gregorio

 


Che bella commedia da risate e da magone ha scritto e diretto Francesco Bruni, che modo lieve di raccontare quel che pesa e che densità nella leggerezza. Quanto si ride, in sala, quanto ci si riconosce ogni minuto – noi che viviamo a Roma, noi che siamo cresciuti in un tempo da questo così diverso eppure così vicino, noi che coi figli di 15 anni restiamo incantati a guardarli ogni giorno. E ogni giorno proviamo a capirli, a punirli, a proteggerli, a farli andare soli, ad ascoltarli, a sostenerli, a ridere con loro perché poi quasi sempre ci dimentichiamo di avere trent’anni di più, poi ce lo ricordiamo e non sappiamo come fare, quasi mai, perché siamo più fratelli che padri e non va bene così, non si deve, accidenti, e nessuno che ci spieghi come fare. Noi che andiamo a tentoni, noi che ascoltiamo il loro rap e diciamo però, mica male, noi che fino all’altro ieri vedevamo alle loro spalle i Simpson poi i Griffin e South Park ridendo e pensando, intanto, speriamo bene.

È un film sui padri e sulle madri fra i 40 e i 50, Scialla!. Poi è anche un film sui loro figli, su come sono cosa dicono come pensano cosa fanno di sé. Che sono loro davvero, sono i figli del regista e i nostri, sono Filippo Scicchitano che al Viscontino nel compito delle medie con la professoressa Altavista, quella vera, scriveva “da grande farò lo spacciatore” e ora che non è spacciatore ma attore lo dice sul set a Raffaella Lebboroni, prof (magnifica) nella finzione e madre vera di uno dei sedicenni del liceo Virgilio che fanno da comparsa, Arturo. La realtà e la finzione si sovrappongono e per una volta non in tv. Non è la televisione a dettare il tempo, il lessico, la storia né l’eventuale successo o insuccesso del film. È la vita come ci entra in casa ogni giorno. Coi ragazzi che dicono “scialla”, stai sereno, non t’irrigidire, non t’incazzare, dicono “non t’accollare, ma’”, non mi stare addosso e fra loro si chiamano “bro”, fratello, “bella”, “zi”. E se il padre prova a usare lo stesso linguaggio (“Ci sono le pischelle?”) rispondono serissimi “ma come parli?”, e poi dicono: “Stare appresso alle pischelle è da froci, rovina la credibilità di strada”. La credibilità di strada.

La storia è quella di un padre, Fabrizio Bentivoglio, perfetto nella parte di un cinquantenne che mangia marmellata biologica e tifa Cus Padova rugby mentre intorno infuria Roma-Lazio, un ex insegnante di latino venuto a Roma dal Nord a scrivere biografie di calciatori e pornostar giacché i suoi saggi e romanzi non li pubblica né li legge nessuno. È la storia di un figlio che non sa di avere, e che la madre gli consegna alla vigilia di un viaggio in Africa. Di una pornostar (Barbora Bobulova) che da bambina si è calata in una fogna a recuperare l’anello di una vecchia signora. Del Poeta, boss della malavita che spaccia coca e cita Pasolini perché da ragazzo, al Tecnico, ha avuto un professore che gli ha insegnato l’amore per l’arte. È Vinicio Marchioni, il “Freddo” della serie “Romanzo criminale”.

Poi sembrerà un po’ esagerato che la pornostar suoni Chopin e legga Un amore felice di Szymborska, che il boss abbia in casa uno Schnabel e costringa le sei ragazze invitate in piscina a vedere I 400 colpi al cineforum in villa, sai che palle. Però stai a vedere che no, non è esagerato, vai a leggere certe storie vere dei boss, vedrai che sorprese. E fa ridere continuamente il disincantato stupore del prof davanti alla pornostar: dove eravamo rimasti? “Alla Dp” che voleva dire? “Doppia penetrazione”. Ah già, devo fare un glossarietto. Le lezioni di Latino e di Epica di un quindicenne che “Achille e Patroclo erano froci”.

Il bar Brunori di San Saba, il liceo Virgilio, la casa col terrazzino e i panni stesi, le canne, la cocaina, gli Hummer, la galera, la ragazza che per lavorare impara il linguaggio dei segni vediamo se così c’è un posto a scuola, le strade di Roma con i murales con Iron Man Gagarin e Jimi Hendrix, “si li faccio i compiti ma’, lo metto l’apparecchio, non t’accollà, se ribeccamo”. E quando poi alla fine, sui titoli di coda, il Poeta in galera chiede al prof di cambiare il finale della biografia che gli ha commissionato. Quando gli dice “perché c’è un produttore che vuole fare un film e serve un finale che fa più scena, una roba criminale che je piace ai regazzini perché i pischelli che vanno al cinema so’ audience, e l’audience so’ soldi”. Ecco, quando il prof lo guarda e gli dice “no, grazie” si ride anche di questo, è talmente inverosimile che fa ridere e lascia una scia lunga di pensieri e di sorrisi, una scia lunga fino a casa.

 

da Repubblica del 16-11-2011