Le donne e la nuova scienza:
un valore aggiunto alla ricerca
di Sara Sesti

Agnese Seranis, Margherita Hack, Sara Sesti
I cambiamenti
intervenuti nella scienza negli ultimi anni sono così invasivi
che ogni giorno ci troviamo ad affrontarne le ricadute nella nostra
vita. Per capire quale ruolo possono avere le donne nella ricerca il
Centro Eleusi-Pristem dell'Università Bocconi di Milano porta
avanti da tre anni uno studio sul rapporto donne e scienza, che ha già
prodotto due momenti di sintesi: la mostra "Scienziate d'Occidente.
Due secoli di storia" e il quaderno Donne di scienza, cinquanta
biografie dall'antichità al duemila.
Inizialmente gli obiettivi
dell'indagine sono stati di dare visibilità alle scienziate e
di capire, attraverso la ricostruzione delle loro biografie, quali siano
i motivi della scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica per
quanto riguarda il passato, e per il presente le defezioni delle ragazze
alla fine della carriera scolastica e gli steccati che ancora incontrano
nelle cosiddette discipline "eccellenti".
Alcune questioni
ci sembrano però ancora aperte e crediamo importante proporle
alla discussione, in relazione alle trasformazioni avvenute, per cercare
delle possibili risposte. La prima è se si possa parlare di un
"genere" della scienza, se esista cioè un modo specifico
delle donne di accostarsi al sapere scientifico, la seconda se la presenza
sempre maggiore delle donne nella ricerca - le Facoltà di Biologia
e di Medicina sono addirittura prevalentemente femminili - possa fare
qualcosa per migliorarla.
Chi risponde in modo negativo alla prima domanda
ritiene che la scienza sia solo un modello matematico della realtà
e come tale non abbia senso attribuirle un sesso, poiché si tratterebbe
di un pensiero che ha in sé i parametri della propria validità
ed è quindi indipendente da chi lo formula. Affermare invece
che esiste un approccio "femminile" alla scienza è
rischioso. Il rischio consiste nel dire banalità o nell'arrivare
a sostenere posizioni decisamente discutibili, come hanno fatto alcuni
movimenti femministi statunitensi o del mondo anglosassone, quando hanno
affermato che la scienza è contraria alla natura delle donne,
che urta la loro sensibilità e le ferisce, perché le donne
sono dalla parte della Natura e una cultura di dominio non può
essere per loro.
Tuttavia la nostra ricerca sembra indicare che si possa
parlare di un approccio femminile al sapere scientifico, almeno per
due aspetti: le scienziate danno più importanza al linguaggio
cioè alla parola, al modo di esprimere i contenuti delle ricerche
e danno anche più importanza alla tecnica, intesa sia come tecnologia
che come pratica, metodo, calcolo. Queste capacità, che non sono
da ascrivere al DNA o ai cromosomi, ma che sono legate alle condizioni
in cui storicamente le donne hanno operato, diventano adesso sempre
più importanti.
Prima di tentare una possibile risposta alla seconda domanda occorre
nominare alcuni dei cambiamenti intervenuti in ambito scientifico negli ultimi anni e
i problemi che ne sono derivati.
La Fisica, che aveva raccolto grandissimi
investimenti sia di professionalità che di studi economici all'inizio
del secolo, ha ceduto il posto alla Biologia, che è diventata
il volto nuovo della scienza investendola di continue trasformazioni.
Se pensiamo che la scoperta della struttura del DNA è del 1953
e che nel 1976 già si facevano esprimenti di ingegneria genetica,
possiamo dire che dal punto di vista scientifico, il ventesimo secolo
è stato brevissimo e ci sembra che proprio la rapidità
dei cambiamenti sia il primo problema da affrontare perché spesso
la trasformazione non riesce ad essere accompagnata da una riflessione
adeguata da un punto di vista culturale ed epistemologico, cioè
della comprensione dei linguaggi e dei concetti.
Un altro problema è
dato dal fatto che in tempi brevissimi le trasformazioni si traducono
in innovazioni tecnologiche che entrano nel mercato per cui la scienza
è pressata da interessi che sono politici, economici e quindi
è sollecitata a rispondere a domande che non sono più
solo quelle teoriche del sapere quali sono le nuove frontiere della
conoscenza, ma riguardano la capacità di migliorare prodotti
e mercati, la richiesta di essere i primi in un certo settore tecnologico
o strategico.
Gli interventi soprattutto nel settore della Biologia,
dove ormai si punta nella modifica del vivente all'innovazione anche
per quanto riguarda la terapia - non si pensa più al farmaco
chimico di sintesi, ma al prodotto biologico con cui curare i nostri
mali - preoccupano per quelli che possono essere i rischi dal punto
di vista evolutivo, di intervento sul vivente e sul mondo - rischi denunciati
puntualmente dalla scienziata indiana Vandana Shiva.
Molte perplessità
nascono, inoltre, per lo sconquasso che le ricerche biologiche creano
nella nostra cultura, nel nostro immaginario, nei simboli con cui abbiamo
fin qui elaborato il nostro rapporto con la natura. L'idea che siamo
noi a fabbricare il mondo vivente, ad agire come dei e a modificare
tutto sconvolge il mondo simbolico che riguarda il nostro rapporto con
piante ed animali e rispetto al passato non abbiamo il tempo di accompagnare
la trasformazione che stiamo operando con un pensiero che ci renda sereni
rispetto ai cambiamenti e consapevoli di poterli governare.
Se torniamo alla seconda domanda: "le donne, presenti in grandissimo
numero nella nuova scienza possono fare qualcosa per migliorarla?",
riteniamo che la risposta possa essere affermativa. La ricerca, per
come si sta svolgendo oggigiorno, non è un'attività eminentemente
teorica: c'è il contributo del pensiero, c'è un nucleo
profondo, duro, costituito dalla riflessione, dall'immaginazione e dallo
slancio teorico, ma tutto questo è agganciato ad un sociale economico
e politico che ormai pesa fortemente sulle direzioni della scienza.
Crediamo dunque che le donne possano avere un ruolo importante in quanto
si interrogano molto di più sul tipo di lavoro che stanno facendo,
si preoccupano del linguaggio, del trasferimento e della comunicazione
di quello che stanno studiando e questi sono certamente elementi che
possono portare un contributo di genere. L'attenzione a quello che facciamo
e alla comunicazione, sviluppata nella storia che abbiamo vissuto, diventa
adesso un elemento fondamentale perché il riuscire a porre domande,
a guadagnare tempi per la riflessione e parole per la comunicazione
implica assunzione di responsabilità nell'elaborare le forme
del nostro futuro e diventa certamente un valore aggiunto nella ricerca.
Proponiamo la nostra indagine storica come possibile
punto di partenza, pretesto per avviare una raccolta di informazioni
e approfondimenti che amplino le conoscenze in questo campo dal punto
di vista delle donne. A tre anni dal suo avvio il nostro lavoro ha dato
un bilancio molto soddisfacente sia per il successo di pubblico che
per le sue ricadute sulla didattica. Diverse Università - dal
Politecnico di Milano a quelle di Pavia e di Palermo - hanno ospitato
la mostra affiancandola a convegni o a conferenze di argomento scientifico.
Associazioni e istituzioni culturali di vario tipo - dalla Scuola Superiore
del Ministero dell'Interno, al Forum delle Donne del Mediterraneo del
Reseau UNESCO, a biblioteche di piccoli Comuni - l'hanno inserita in
attività differenti. Istituti scolastici superiori - da Trieste
a Bagheria - hanno tratto spunto dai suoi materiali per attività
di orientamento o come punto di partenza per aree di progetto e hanno
prodotto libri, ipertesti e tesine.
PS. La mostra è stata archiviata nel 2004; il libro è stato ristampato dal 2006 al 2020