ADRIANA PERROTTA RABISSI, SCORZE
Angela Giannitrapani e Liliana Moro
Scorze sono involucri duri, impenetrabili, in cui l’autrice colleziona e protegge le scritture antipatiche: Scritture antipatiche sono scritture di nicchia, amatissime da pochi/e ignorate dai più e dalle più. “Antipatiche perché non prevedono per la lettrice o il lettore alcun momento di godimento sentimentale o estetico, procedendo incalzanti nei loro orizzonti feroci di senso”. Lo scopo di questa pubblicazione è quella di mostrarne alcune. L’autrice ne sceglie sei, scrittrici scomode per lettura e messaggio che non acquietano la coscienza ma la pungolano fino al disagio. Un disagio necessario e utile a tenerla sveglia e metterla a confronto con altre. La loro lettura ha avuto su di lei un tale effetto di certo, ma ha anche suscitato amore e affezione al punto tale da stimolarla, a sua volta, a scrivere. Così il libro si imposta in modo del tutto originale: nei sei capitoli che lo compongono sono previsti uno o due racconti di Adriana Perrotta Rabissi stessa, ispirati per assimilazione o per contrasto alla scrittrice prescelta. Alice Ceresa, Paola Masino, Dolores Prato, Cristina Campo, Marguerite Yourcenar e Agota Kristof si susseguono indagate dall’autrice. Il suo entrare nelle loro scritture è già stilisticamente scrittura: Perrotta le restituisce a chi le ha lette, o a chi non lo ha ancora fatto, con perizia analitica e lettura emotiva tali da offrire una vera analisi critica ma scevra da tecnicismi e freddezze. Pur avendole definite antipatiche, nulla di questa antipatia traspare e piuttosto se ne percepisce l’intensa lettura che deve aver generato, dopo lo spaesamento e il disagio o l’angoscia, tutta la ricchezza del viaggio letterario e del coraggioso confronto con lei lettrice. Così, Alice Ceresa ci viene presentata nei tratti che contraddistinguono la sua scrittura eccentrica e la singolare raffinatezza stilistica: Come nei suoi “La figlia prodiga” e “Bambine”. “Nascita e morte della massaia” Scritto tra il 1938 e il ’40 è diventato un punto di riferimento per la lettura femminista, grazie alla pubblicazione da La Tartaruga nel 1982. Non si può certo definire una scrittura edificante o consolatoria ma “… questi sono i libri che alla fine amiamo di più, ci costringono nostro malgrado a un combattimento corpo a corpo con la nostra interiorità, diventando così strumenti di conoscenza di noi stesse”. Dolores Prato ha avuto una vicenda esistenziale e editoriale del tutto particolare e questo l’ha tenuta lontana dal grande pubblico, nonostante la sua scrittura abbia un grande valore così come la rappresentazione dell’originario abbandono materno che si reitera nelle sue pagine. Adriana Perrotta la ripesca dall’oblio grazie alle recenti pubblicazioni integrali del suo capolavoro “Giù la piazza non c’è nessuno” con le sue oltre 700 pagine. A Cristina Campo, con la sua “visionarietà della scrittura, concentrata sul mistero della vita, del sacro, della morte”, sono state alienate non poche simpatie nonostante “la sua sensibilità poetica “. Marguerite Yourcenar, che qui viene analizzata in particolare per “Clitennestra o del crimine” in “Fuochi”, è particolarmente considerata per gli interrogativi e il nuovo punto di vista con i quali guarda al mito. La biografia di Agota Kristof è alla base del suo corpo a corpo con la lingua di adozione , il francese. Lingua nemica che si contrappone all’ungherese sua lingua madre. Lo spaesamento di esule e l’estraneismo linguistico la spingono a scrivere di fughe e divisioni, in una folla di personaggi che si ribaltano per identità e storie. Ma, al di là delle loro specifiche caratteristiche, Adriana Perrotta sottolinea in tutte il lavorio sulla parola, la ricerca continua di una lingua letteraria propria, abbandonando quella ingabbiata in criteri letterari standard, vuoi perché immigrate o perché prive di quella materna oppure perché l’impatto della tematica affrontata reclama un sovvertimento espressivo e non ultima l’estenuante quanto necessaria spinta della scrittrice a trovare una lingua che più la rappresenti in quanto donna. "Scorza", il primo racconto a firma dell'autrice che dà il titolo alla raccolta, giustamente ha questa funzione perchè introduce subito ad una narrazione spiazzante, con diversi piani di spiazzamento: ne è protagonista “il mostro di Gila” un animale repellente e pericoloso, che vive nel deserto dell'Arizona. Un esemplare in cattività esibito ai visitatori diviene al contrario oggetto di pietà da parte del narratore, con un primo ribaltamento dell'ovvio. In seguito, le sue buone intenzioni e la volontà di conoscere più da vicino l'animale sono ripagate con giorni di coma e la morte schivata per miracolo, ed è il secondo ribaltamento, ma la chiusa ci regala un'ulteriore capriola con l'effetto terapeutico del morso che era apparso letale. Ma altre scorze, costruite o sgretolate, si trovano nei racconti di questo originale libro, non voluminoso ma davvero ampio e vario. Non tutti i racconti hanno lo stesso tono del primo, che in fondo propone un lieto fine, tutt'altro: lo spaesamento si apre il più delle volte a una tragedia. La dolce bambina malata si rivela un mostro; In una specie di scatola ad incastri Adriana Perrotta Rabissi ci conduce di sorpresa in sorpresa, sconferma le nostre aspettative e manda a vuoto ogni tentativo di classificare le sue narrazioni.
Proprio così, infatti, opera l'Autrice: costruendo con pochi tratti incisivi la situazione in cui vuole portare chi legge e introducendo particolari apparentemente insignificanti fino a condurre la lettrice/il lettore allo spiazzante svelamento finale. Il tutto attraverso una scrittura che è
ADRIANA PERROTTA RABISSI, SCORZE Pubblicato su Leggere Donna, Tufani editrice, n°206
13-12-2024 |