Introduzione alla sceneggiatura del film

 

Scuola senza fine*

di Adriana Monti

 



Dopo aver lavorato  con un certo gruppo di donne, casalinghe, per un anno, iniziammo a girare il film Scuola senza fine , quasi per caso,  nel 1979. Riuscii a trovare gratis  l’attrezzatura necessaria per il film  e anche del denaro per pagarlo.  Le donne che avevano frequentato le 150 ore avevano completato la scuola secondaria nel 1976. Non avevano voglia di tornare a passare i loro pomeriggi a stirare o giocare a carte.  Ci inventammo nuovi seminari su letteratura, il corpo e l’immagine.

Riscoprire il piacere di leggere e studiare fu come rivivere la propria adolescenza. Era importante per loro avere un’insegnante cui raccontare per iscritto quello che avevano fatto e pensato, la loro storia passata, i loro piani per il futuro.  L’insegnante del corso era qualcuno che le ascoltava e le faceva pensare. Lea Melandri proveniva dal movimento  delle donne, all’interno del quale era considerate una raffinata teorica. Lea era stata la promotrice prima del “Gruppo dell’inconscio” e poi del gruppo ““Sessualità e Scrittura”, aveva  perciò famigliarità con le questioni legate all’inconscio, alle relazioni delle donne tra loro, alla relazione di ogni individuo con la cultura e la conoscenza. Riuscì a rafforzare la loro capacità espressiva e trasformò i corsi di educazione degli adulti in gruppi di studio e ricerca cui si unirono in seguito nuove altre corsiste e  altre insegnanti.

Il processo messo in atto ebbe un risultato pari a quello di stappare una bottiglia di champagne. Gli scritti delle donne crebbero, maturarono e cominciarono ad essere letti e discussi nel corso, mentre Lea, il cui libro L’infamia originaria pronto per la pubblicazione ( e uscito nel 1977),  non scrisse poi per diversi anni. Le studentesse, incoraggiate all’inizio da Lea e poi dalla scoperta di Freud, poi dalle altre insegnanti e da materie come  scienza, filosofia, analisi dei linguaggi (visivi, scritti e gestuali), riempivano pagine e pagine di blocchi e quaderni con le loro riflessioni e idee personali sulla cultura, su se stesse, le loro famiglie, la natura e i loro sentimenti.

Il gruppo cambio’ nel corso degli anni e nel 1981 diventò una Cooperativa di grafica. Nei primi anni, durante le riprese del film (1979-1981), era importante per le donne essere capaci di socializzare senza i soliti pregiudizi. Pranzi, cene, danze, feste e andare in discoteca era il modo più comune per divertirsi.

Il film mostra come le donne si relazionavano in quel periodo e come la loro vicinanza fosse tangibile - forse perché venivano dallo stesso quartiere, o perché condividevano gli stessi ideali e lo stesso modo di pensare, o semplicemente perché si volevano bene. Per molte donne, riscoprire la relazione materna all’interno del rapporto con l’insegnante, significò esprimere pensieri che erano spesso sottovalutati o messi da parte (la maggior parte delle casalinghe che seguivano il corso avevano rinunciato a perseguire un’educazione per andare a lavorare o non potevano usare l’istruzione ricevuta in precedenza perché erano rimaste a casa dopo il matrimonio). L’opportunità di rivivere quel tipo di relazione in un ambito scolastico diede luogo a un interessante modo nuovo di scrivere e pensare.

All’inizio, la loro abilità di andare dritte al cuore dei problemi filosofici e scientifici sorprese tutte noi. I loro scritti mostravano una capacità di pensiero indipendente non bloccato da paroloni o da ideologie o teorie intimidatorie; loro giocavano con le teorie o le usavano come formule magiche ma arrivavano sempre a porre  domande alle quali nessuno aveva ancora risposto.  Questo tipo di approccio con la cultura causò ovviamente una serie di problemi non indifferenti, ma questo non fa parte di ciò che si mostra nel film.  Lascio il compito di tracciare questa parte della storia a scritti e documenti che verranno nel futuro.

Il film registra l’inizio del lavoro e ricrea l’atmosfera che esisteva allora. Le occasioni di socializzazione mostrano come le singole individue si relazionano con il gruppo, mentre nelle parti individuali, attraverso gli scritti, emerge come avviene lo sviluppo dei pensieri  - alla tavola di una cucina nel mezzo della notte, sul palcoscenico o di fronte a un foglio bianco, danzando o guardando a dei vasi di fiori che evocano i campi, o camminando verso casa.

Ogni tanto, durante quei tre anni, prendevo la macchina da presa e filmavo. Poi ho lasciato tutto da parte per tre anni.

Le riprese della prima parte del film erano state decise collettivamente. Poi tutte persero l’interesse al lavoro. Io decisi di finire il lavoro da sola e a quel punto è nata la seconda parte del film dove le singole parti presero forma. Ho trovato doloroso contenere in un linguaggio l’intensità di quella esperienza e della vita condivisa insieme in quegli anni, ma dovevo dare il meglio che potevo per trasmetterla.

Questo è quello che mi dicevo ogni volta che mi chiudevo nella stanza della moviola. Lavorare sul film era quasi lavorare su un ipotetico, - complesso e sfaccettato - corpo materno, per il quale dovevo trovare una forma, soprattutto nella seconda parte del film, dove dovevo occuparmi direttamente e a turno di ogni donna.

Ho montato il film nelle sere libere quasi come un alibi per tenere a bada l’ansia e l’angoscia. Alla fine, nel febbraio del 1983 la copia finale del film è stata prodotta.

Titolo: Scuola senza fine
Film in 16 mm, bianco e nero
Lunghezza: 40 minuti
Produzione: Adriana Monti e le insegnanti delle  ‘150 Ore’
Fotografia e assistente alla direzione: Angelo Cordini
Concepito e diretto da Adriana Monti

In collaborazione con  Lea Melandri, Amalia Molinelli, Ada Flaminio, Antonia Daddato, Teresa Paset, Rina Aprile, Micci Toniolo, Paola Mattioli, Maria Martinotti.

* In Giuliana Bruno & Maria Nadotti (edited by), Off Screen: Women & Film in Italy, Routledge, London and New York 1988, pp. 80-2.