"L'eredità
del femminismo per una lettura del presente"
2°
incontro
La conoscenza di sé di fronte ai saperi e alle pratiche sociali
e politiche
Saperi e pratiche
di Liliana Moro

Emma Baeri
Un centinaio di donne, in maggioranza milanesi ma venute anche da Roma,
Bologna, Torino, Modena, Catania e da altre città, si sono ritrovate
il 27 gennaio 2001 nella sede dell'Università delle Donne di Milano
per partecipare al secondo incontro del seminario "L'eredità
del femminismo per una lettura del presente".
Ad avviare la discussione sul tema La conoscenza di sé di fronte
ai saperi e alle pratiche sociali e politiche, c'erano Marzia Barbera
(docente di diritto del lavoro all'Università di Brescia), Lidia
Campagnano (giornalista), Maddalena Gasparini, (neurologa), Alida Novelli
(funzionaria del Comune di Rivoli), Antonella Picchio (docente di economia
all'Università di Modena), Bianca Pomeranzi (esperta di cooperazione
allo sviluppo che attualmente opera presso il Ministero degli Esteri),
Carla Quaglino (sindacalista nel direttivo regionale CGIL Piemonte), Barbara
Romagnoli (della redazione di "Carta").
I loro interventi hanno intrecciato ricostruzioni della propria attività
nel movimento femminista, riflessioni sui mondi in cui ciascuna opera,
analisi del presente, aperture sul futuro. Attorno ad alcune parole si
è addensato il pensiero di relatrici e pubblico, definizioni quanto
mai inadeguate per la situazione, due già suggerite dal tema: politica
e saperi, altre introdotte nel dibattito: potere, tempo, diritti, autonomia,
sopravvivenza, felicità e il nodo eredità/testamento.
Questioni di non poco conto, sicuramente non adeguatamente elaborate da
almeno un decennio, se, come credo, dobbiamo seguire l'indicazione di Emma Baeri: bisogna studiare a fondo gli anni Ottanta per capire
come siamo arrivate alla situazione attuale. Molte hanno avuto la percezione
che la giornata abbia rappresentato un momento alto di pensiero collettivo,
e si sia realizzata una circolazione (Raffaella Lamberti) di idee
e di sentimenti.
Si sgombra fin dall'inizio il campo da una ambiguità: "l'eredità"
che entra nel titolo del seminario, non è una urgenza nata dalla
volontà di lasciare, di passare il testimone: non poche si sono
nettamente dissociate da una simile interpretazione, proclamando la propria
decisa volontà di continuare un impegno forte in prima persona.
Si tratta piuttosto, come ha precisato Lea Melandri, di cercare nel patrimonio
di esperienza lasciato dal femminismo degli anni Settanta "una
chiave interpretativa" per l'oggi. Anche se è proprio
una frattura, "uno stacco, un divario enorme", come
l'ha definito Carla Quaglino, ciò che obbliga a fare i conti
con quel passato.
Ma nel tema dell'eredità entra anche quello del rapporto tra generazioni,
non sempre facile. Indubbiamente le giovani esprimono desideri diversi,
accolti con piena legittimità perché "trasmissione
e trasgressione vanno assieme" (Emma Baeri). Però le diverse
generazioni devono potersi guardare, riconoscere, mantenere una curiosità
reciproca (Alba Bonetti).

Maria Grazia Campari
Sui "saperi", un plurale che indica il riconoscimento della
diversità delle esperienze da cui nasce il pensiero, come ha precisato Maria Grazia Campari, e che perciò allude a una forma preziosa
di conoscenza, si sono avuti molti contributi.

Maddalena Gasparini
Maddalena Gasparini ha riportato alcuni esiti della sua lunga riflessione
sulla salute e la pratica medica, avvenuta proprio negli anni che hanno
visto le donne entrare massicciamente in questo campo e produrre alcuni
cambiamenti, anche se la pratica sociale delle scienze biologiche,
secondo la sua definizione di medicina, pone oggi a tutte noi degli interrogativi
urgenti, perché la diversa percezione del corpo femminile, che
si era andata costruendo con le pratiche dei gruppi sulla salute, nati
in anni di femminismo dirompente, deve ora misurarsi con terapie procreative
e chirurgiche dove l'autonomo sguardo su di sé delle donne sembra
svanito.
Questa situazione problematica è stata evidenziata anche da Sara
Sesti che ha nominato le difficoltà a farsi spazio del pensiero
femminile nel mondo scientifico, anche se non sono mancati piccoli o grandi
spostamenti. Tuttavia la rapidità dei mutamenti in questo campo
rischia di impedire una qualunque riflessione sulle direzioni della ricerca
e allora la "capacità delle donne di interrogarsi molto
di più sul tipo di lavoro che stanno facendo, di preoccuparsi della
comunicazione di quello che stanno studiando è certamente un'eredità
del femminismo che diventa fondamentale perché il riuscire a porre
domande, a guadagnare tempi per la riflessione e parole per la comunicazione
implica assunzione di responsabilità nell'elaborare le forme del
nostro futuro e diventa certamente un valore aggiunto nella ricerca".
Riflessioni dall'interno delle istituzioni accademiche, certamente misogine,
sono state portate da Marzia Barbera che si è presentata con percorsi
di femminista, di giurista e di accademica, immagini fortemente intrecciate
nella sua biografia. Marzia ha parlato della profonda solitudine di chi
ha maturato nel femminismo uno sguardo 'altro' e ha sofferto nella pratica
professionale la mancanza di un progetto che sostenesse questo suo sguardo
critico. Per le sue elaborazioni sui concetti di eguaglianza/equità/differenza
dice di aver trovato corrispondenze con le ricerche del mondo anglosassone
più che con quelle italiane.
Sulla ricchezza del pensiero anglosassone
circa la pratica di donne all'interno delle istituzioni ha concordato
Bianca Pomeranzi che ha anche portato diversi esempi di momenti forti
e situazioni istituzionali in cui si è trovata a dover operare
senza che l'esperienza del movimento e dell'autocoscienza, in particolare,
potesse fornirle indicazioni. Non tanto perché vi fosse prevalente
il pensiero critico (come ha sostenuto Lidia Campagnano) quanto per la
parzialità del suo oggetto: non si riuscì mai, o quasi,
ad affrontare in quell'ambito i temi del potere, della rappresentanza,
delle istituzioni, appunto. Invece un valore che è andato perso
è, a suo parere, quello dell'autonomia, del fare politica in prima
persona su ogni aspetto delle realtà.
Le ha fatto eco Raffaella Lamberti, riconoscendo che in questa fase politica
l'atteggiamento prevalente è quello della dipendenza; inoltre il
principio dell'alternanza introdotto dal sistema partitico fa apparire
come un disvalore la continuità di progetti già avviati
e ciò rende ancora più fragili le realizzazioni delle donne.
Ha inoltre fatto risalire la disaffezione alla politica ad una sorta di
cautela perché "in un mondo così degradato e duro,
le persone si mettono nel limbo; non si ha voglia di scorticarsi".
Invece la ripresa di iniziativa oggi è una questione di sopravvivenza,
ha rilevato Paola Melchiori, che ha efficacemente usato le categorie della
gioia e del dolore per leggere momenti di iniziativa collettiva.
Lidia Campagnano
Il grosso nodo, o forse buco nero, con cui tutte si sono confrontate è
stato quello della politica. Lidia Campagnano ha posto il problema
del tempo, chiedendo alla politica di scandirlo, di trovare e nominare
le fasi del nostro passato e le questioni del nostro presente, fornendo
un senso a ciò che altrimenti sarebbe un indistinto fluire, percezione
pericolosamente frequentata dalle donne. Forse perché se il rapporto
con il passato e quello con il futuro rispecchiano il rapporto con la
madre e con la figlia, risulta ancora difficile viverli serenamente nella
diversità. E proprio per la secolare difficoltà a riconoscere
le differenze all'interno delle relazioni femminili, Campagnano ha ricordato
il femminismo e l'autocoscienza come una pratica di incivilimento dei
rapporti tra donne.
Anche Maria Grazia Campari ha auspicato che a partire da questo incontro
si realizzi la possibilità di fare insieme un percorso e quindi
"incivilire le relazioni tra donne" riprendendo dell'autocoscienza
ciò che l'ha resa "uno strumento utile per un allargamento
delle nostre capacità". Ora si potrebbe "allargare
la potenzialità di questo strumento
facendo dei tentativi
di una relazione tra saperi diversi che possano in qualche modo tra loro
interrelarsi per costruire azioni di modificazione anche parziale dell'esistente".

Barbara Romagnoli
Barbara Romagnoli ha sostenuto che la pratica dell'autocoscienza
è passata, anche se in modo informale, tra le ragazze della sua
generazione, quella sui 20/30 anni, ma ciò di cui sente l'urgenza
ora è un linguaggio adeguato alla comunicazione della pratica femminista.
Sullo svanire della forza dirompente di quella pratica e sugli ostacoli
che ha incontrato si è ripetutamente tornate, mostrando l'incompatibilità
tra un progetto così radicale e la logica del potere che non può
dare nessuna opportunità a chi non è compatibile (Agnese
Piccirillo). L'ha efficacemente illustrato Carla Quaglino ricordando,
con una vivezza e un calore che ha coinvolto tutte, le lotte e le iniziative
a cui ha partecipato in Fiat e nel sindacato fin dagli anni Settanta:
nella sua narrazione hanno preso corpo i modi in cui le esigenze delle
donne vengono cancellate nei meccanismi 'banali' e concreti della rappresentanza
e della contrattazione.
La rappresentanza: una questione posta da molte, che hanno avanzato, a
partire da situazioni diverse, parecchi dubbi sull'efficacia delle commissioni
Pari Opportunità diffuse a vari livelli istituzionali e si sono
interrogate sulla soluzione delle quote, proponendone delle articolazioni
più flessibili e incisive.
Maria
Grazia Campari ha portato l'esempio della possibilità di fare liste
per le elezioni sindacali, che rispettino la proporzione dei sessi presenti
sul luogo di lavoro, e Alida Novelli ha suggerito di impiegare
il budget delle amministrazioni locali per attività/servizi che
rispondano a bisogni di vita specifici di uomini e donne, in proporzione
al sesso degli abitanti.
Antonella Picchio
Antonella Picchio è andata al cuore del problema osservando
che i saperi e la politica si stanno divaricando e non c'è nemmeno
la lucidità di vedere questa separazione. Ha poi con grazia e con
rigore portato allo scoperto la questione delle condizioni materiali di
vita delle donne, quelle su cui in passato avevano puntato lo sguardo
i gruppi di Lotta Femminista per il salario al lavoro domestico e che
ora la portano ad affermare che il progetto politico per l'oggi non è
"mappare le posizioni di potere delle donne, ma dare un segno
politico alla battaglia sulle condizioni di vita". Condizioni
che sono ancora di grande miseria, e stanno peggiorando, secondo quanto
ha rilevato Carla Quaglino.
Picchio è convinta che in realtà "non è la
forza del potere patriarcale ma la debolezza degli uomini quella che ci
affossa, perché noi continuiamo a sostenerla" nel quotidiano
e nei progetti più complessivi, che non si reggono senza il sostegno
delle donne.
Per Lea Melandri questo è così vero che ha messo in guardia
contro il rischio che siano proprio le donne a "ridare alla politica
uno statuto di consistenza e solidità che oggi non ha più"
e che si ricada nel vecchio vizio di rimpalcare delle istituzioni fatiscenti.
Non meno importante, ha osservato Melandri, è interrogarsi sul
fatto che il terreno di esperienza (corpo, sessualità, vita affettiva,
individuo ...), da cui si voleva ridefinire la politica, oggi è
qualcosa che rischia, in quanto cultura di massa alimentata dai media,
di far naufragare la politica.
E' necessario perciò ritrovare nessi,
implicazioni tra campi tradizionalmente contrapposti e ora confusi nel
gran calderone dell'informazione e dello spettacolo. La quotidiana, indifferente
esposizione di corpi gonfiati dal silicone o devastati dalle guerre e
dalla fame forse può portare a interrogarsi con rinnovata radicalità
sulle nostre condizioni di vita.
Il guaio per Picchio è che il pensiero dirompente delle donne,
che non sono adattive ma ribelli, viene depositato in luoghi che ne stravolgono
il senso.
Occorre riprendere la signoria sui nostri pensieri, come accadeva negli
anni del movimento, secondo Manuela Fraire, sottraendoli al controllo
dei politici a cui invece li abbiamo abbandonati con la conseguenza che
si sono sviluppate degenerazioni vibrioniche: dalla scoperta che il personale
è politico sono in qualche modo derivati sia il concetto di "guerra
umanitaria" sia il Grande Fratello televisivo, creature mostruose
che certo tutte noi rifiutiamo ma che sono state concepibili nella strada
aperta dal femminismo e non più vigilata. Fraire ritiene che attualmente
non abbiamo le strutture per esercitare questo controllo e che si debba
puntare l'attenzione sul linguaggio, che è capacità di concettualizzare.
"Il problema è porre dei nodi politici per cui il pensiero
delle donne sia di differenza ma non chiuso nella differenza sessuale,
sia a favore delle donne ma ripercorra il mondo" (Antonella Picchio)
per tornare a coniugare sopravvivenza e felicità.
La riflessione continuerà in un prossimo incontro in data da destinarsi
a cui si prevede la partecipazione di Annie Dizier-Metz da Parigi, di
Berit As dalla Norvegia e di Thais Corral dal Brasile.
aggiornato
03/03/2005
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