Viene da
pensare che, sotto l'effetto di un sotterraneo terremotamento, si stiano
aprendo nel tessuto sociale alcune faglie e che, lungo quelle linee di
demarcazione, sia oggi possibile accostarsi a pulsioni, desideri, conflitti
ancora in parte sconosciuti e difficili da contenere. Non a caso è
la provincia "benestante" a offrire, dietro le apparenze di
ordine e vivibilità, la mappa più completa del dissesto.
Al composto allinearsi delle siepi che separano solitarie villette, insieme
ai loro nuclei famigliari, fanno riscontro fratture e circoscrizioni di
ben altra gravità: "interni" vissuti come un rifugio
rispetto a un mondo carico di minacce; adulti smarriti di fronte alle
lingue divenute troppo rapidamente straniere dei loro figli; ricchezze
"rispettabili" contro povertà temute e guardate con sospetto.
Ma come tutti i confini, anche questi divisori sociali sembrano fatti
per riportare alla luce legami nascosti. Le siepi sono un invito irresistibile
a guardare oltre, nel recinto del vicino, le famiglie invocate come "cerchio
caldo" e protetto mostrano ormai scopertamente il tarlo che le rosicchia
dal di dentro, la cattiva opinione che i genitori hanno dei figli è
costretta a convivere con dipendenze protratte sempre più a lungo,
i televisori e i computer sempre accesi impediscono di ascoltare il rumore
dell'onda montante pronta a travolgere affetti consolidati.
Nella lucida analisi di Ulrich Beck (U.Beck, I rischi della
libertà, Il Mulino 2000), la sensibilità acuita per
l'esistenza singola e, contemporaneamente, la consapevolezza di appartenere
all'intera popolazione del pianeta, vengono messe in relazione con l'indebolimento
della "vecchia socialità", fatta di legami duraturi e
identità stabili, di classe, di ceto, di sesso, quei ruoli precostituiti
che sono stati finora per l'individuo garanzia di "evidenza sociale".
I "figli della libertà", chiamati a rispondere singolarmente
delle loro vite, si vedono, nel medesimo tempo, spinti verso un anonimato
e un'assenza di regole mai conosciuti prima. "È possibile
-si chiede Beck- tessere liberamente legami?" Il dubbio è
che questa fase di passaggio sia più incline alla riesumazione
di posizioni narcisistiche originarie, o di legami arcaici divenuti oggi
un impedimento, ma forti della sicurezza che dà il già noto.
Qualcosa forse si è rotto definitivamente nelle forme tradizionali
dell'appartenenza, ma parentele, ruoli sessuali e sociali, restano pur
sempre i modi fin qui conosciuti della convivenza umana. La socialità
ha sempre rappresentato la difficile arte di contenere desideri e pulsioni
ritenute minacciose per l'incontro con l'altro. Di quel "residuo"
di materia viva e recalcitrante, che ogni contratto sociale si è
lasciato alle spalle, si sono conosciute trasgressioni, spesso violente,
e trasposizioni immaginarie nella letteratura, nell'arte, che tuttavia
non avevano mai perso il loro carattere di eccezionalità. Oggi
si ha invece l'impressione di assistere a un capovolgimento: la socializzazione,
cadute in discredito l'autorità della famiglia, della scuola, del
lavoro, passa prevalentemente per vie mediali, cinema, televisione, pubblicità,
e si avvale della comune posizione di spettatori a cui sono ricondotti
gli individui dal racconto delle vite per immagini, dalla suggestione
del suo alfabeto fantastico ed emotivo. L'"evidenza sociale",
la possibilità di essere riconosciuti in qualche modo dai propri
simili, non passa più attraverso aggregazioni comunitarie, ruoli,
rapporti di potere, ma "democraticamente" e "anarchicamente"
attraverso quel grumo di passioni che sta alle radici dell'umano, e che
solo oggi sembra aver trovato il palcoscenico necessario per scoprirsi
in tutta la sua virulenza e la sua ampiezza. Ma che conseguenze può
avere una "comunità mediatica", un cerchio fatto non
più di corpi e presenze reali, ma immagini, icone, che si muovono
dentro una cornice costruita, finalizzata, che li fa apparire e scomparire,
che attraverso di essi accende e spegne emozioni, che promette allo spettatore
di farsi a sua volta protagonista, ma a patto di adattamenti e finzioni?
Il repertorio immaginario che veicola, attraverso sofisticati mezzi tecnologici,
passioni e simboli antichi ottiene innanzitutto un effetto di svelamento.
Le "viscere" della storia sembrano prendersi la loro rivincita
e riportare allo scoperto esperienze primarie di amore e odio, comunanza
e rottura. Sfoltita drasticamente la folla dei volti che la civiltà
ha sovrapposto alle sue origini, tornano in primo piano le figure dei
due prototipi dell'umanità, l'uomo e la donna, la loro drammatica
alterna vicenda di ricongiungimenti e saparazioni. Che il rapporto tra
i sessi potesse costituire la cellula prima di tante altre successive
divisioni -animalità e coscienza, forza e debolezza, grande e piccolo,
amico e nemico, ecc.- è stata un'intuizione oscura, sempre presente
nella memoria dei popoli. Ma a restituirgli il rilievo che sotterraneamente
ha conservato nel tempo sono state paradossalmente due forze opposte,
oggi dominanti: la fuoriuscita di materiale onirico e il salto che il
femminismo ha fatto fare alla conoscenza di sé. Non c'è
contraddizione perciò nel riconoscere che a minare la virilità,
la sicurezza del dominio maschile sull'altro sesso, siano, contemporaneamente,
la sovraesposizione mediatica di corpi femminili disinibiti e, al contrario,
la distanza che le donne hanno cominciato a prendere da quel modello,
dalla sua esaltazione immaginaria come dal suo asservimento. La separazione
che il sesso maschile ha eretto a difesa di una identità propria,
inconfondibile, è costretta oggi a mostrare il volto che ha tenuto
a lungo coperto: il bisogno del bambino di tenere a bada la potenza materna
per il timore di esserne schiacciato o di perderla, a rischio della propria
sopravvivenza . Paura della vicinanza come della lontananza, della dipendenza
dalle forti attrattive del femminile e del rischio di non riuscire a piegarle
al proprio esclusivo interesse. Di questa "preistoria" delle
relazioni umane parlano le stragi famigliari di Chieri (Torino) e di Reggio
Emilia, e altri meno clamorosi uxoricidi: uomini incapaci di sopportare
una separazione, un tradimento, la limitazione del proprio potere su moglie
e figli, oppure, come nel caso del delitto di Leno, la ritorsione violenta
contro la ragazza che ha rifiutato di placare voglie sessuali maschili
incerte e insoddisfatte. Sul rovesciamento delle posizioni, la fragilità
e la dipendenza dell'uomo contro la ritrovata potenza femminile, si è
scritto e fantasticato molto in questi ultimi anni. Sembra invece essere
passata senza rilievo la particolare modalità con cui, nei recenti
fatti di cronaca, si è fatta strada questa scoperta. Gli "oggetti"
minacciosi, fonte di intollerabile sofferenza -ex-mogli, parenti di lei,
vicinato, ecc.- sono prima di tutto collocati sulla traiettoria di uno
sguardo freddo, raziocinante, che li scruta, li interroga, senza perdere
di vista se stesso e che, per un maggiore controllo del teatro d'azione,
usa dei medium collaudati, lettere, diari, videocassette, messaggi su
cellulari, come se il "racconto" delle passioni fosse divenuto
l'ingrediente indispensabile di una perversa, stravolta "autocoscienza".
È a partire da questo inquietante miscuglio di barbarie e di modernità
che si possono ripensare separazioni necessarie a legami sociali più
liberi: tra uomini e donne, adulti e bambini, singoli e collettività.
L'articolo
è stato pubblicato dalla rivista Carnet nel dicembre
2002
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